Salta al contenuto principale
TDP Originals

Totò Schillaci, il riscatto del Sud

L’umiltà della classe operaia, attaccante con la fame di chi segna con ogni parte del corpo e passo da ala, Totò Schillaci ha saputo dare un saggio di come il duro lavoro fa arrivare lontano, anche a vincere il titolo di capocannoniere di Italia 90.
Image
Totò Schillaci - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Stadio Olimpico di Roma, 9 giugno 1990. È la gara d’esordio dell’Italia nel mondiale di casa. C’è l’Austria da affrontare. I tifosi azzurri stanno vedendo Vialli e Carnevale sbagliare gol a ripetizione e la partita non si sblocca. C’è preoccupazione. Ma c’è anche un uomo che sta invece gioendo di queste difficoltà. L’unico in un Olimpico strapieno e in quel momento costernato. La cosa strana è che quell’uomo è nella panchina italiana. Sta sperando che i suoi compagni di reparto in campo sbaglino per poter entrare e risolvere lui la situazione. 

Quell’uomo è Salvatore Schillaci, ventisei anni a dicembre, e a quel campionato del mondo ci è arrivato con una convocazione dell’ultimo minuto. In punta di piedi, ma anche coi suoi quindici gol con la maglia della Juventus. Quando il CT Azeglio Vicini gli dice di scaldarsi, è quasi incredulo: “Ma sta dicendo a me?”. Sì, tocca a lui. Perché nessuno lo sa ancora, ma sta per iniziare una delle fiabe più belle rimaste nell’immaginario collettivo del calcio internazionale. 

Gli inizi: AMAT Palermo e Messina

Totò è nato a Palermo il 1° dicembre 1964. Originario del quartiere Capo, ma vissuto nel non tranquillo San Giovanni Apostolo o CEP, il giovane Salvatore vive in una famiglia per nulla agiata, con tre fratelli e una sorella, e aiuta papà portando i secchi del cemento e le gomme di un’officina. 

Tra la polvere, trova il tempo di dedicarsi alla sua passione, il calcio. Viene notato e ingaggiato sedicenne dall’AMAT Palermo, la squadra dell’azienda che gestisce i trasporti pubblici del capoluogo. Impressiona bene per due anni, così arrivano i primi contatti che contano, in particolare dal Palermo, ma l’AMAT vuole guadagnare il più possibile dalla sua cessione e l’affare salta. Si fa avanti allora il Messina, militante in C2, e questa volta le parti si accordano. 

Alla prima stagione, 1982/83, il tecnico Alfredo Ballarò lo lancia con coraggio. Schillaci fornisce assist, impreziosendoli con le sue prime tre reti, giocando ben ventisei partite, e arriva la promozione. Segue un anno interlocutorio, poi nel 1984 torna per la terza volta sulla panchina peloritana il Professore Franco Scoglio. L’allenatore di Lipari nota che Schillaci ha un’etica del lavoro eccezionale, ne apprezza l’impegno e la voglia di andare oltre ogni ostacolo: “Sei un attaccante, fai quel che vuoi e gioca come ti senti”. Il giovane Totò apprezza molto la libertà e la fiducia concesse del mister, comincia a sentire la vicinanza della tifoseria, e aumenta i giri del motore piano piano, come un vero Diesel. 

Nel 1985 sono quattro i gol, l’anno dopo undici, utili per portare il Messina in Serie B. A ventidue anni arriva quindi un palcoscenico dove emergere appieno. Il primo torneo cadetto, nonostante la promozione sfiorata, non è facile, cinque reti tra campionato e Coppa Italia, inframezzate da qualche infortunio. La stagione 87/88 è quella della consacrazione: quindici marcature complessive, condizione atletica e fiducia ai massimi livelli. Schillaci è pronto al grande salto.  

Capocannoniere in B e la chiamata della Juventus

Nel 1988 approda a Messina Zdenek Zeman. Il boemo esalta Schillaci, che ricorderà sempre bene i metodi dell’allenatore: “Lui era uno che si lamentava sempre, ma lo faceva con tutti perché da tutti pretendeva sempre il massimo. Non si accontentava mai. Sotto l'aspetto atletico pretendeva tanto e in campo i risultati si vedevano”. 

E i risultati per il bomber palermitano sono ventitré reti, con il titolo di capocannoniere, più due sigilli in Coppa Italia. Il gioco spregiudicato di Zeman è perfetto per la sua rapidità da ala sinistra e il suo senso del gol da bomber vero. Col Messina arriva a quota settantasette e ben duecentocinquantasei presenze tra campionati e coppa nazionale (secondo di sempre per i peloritani). 

È tutto apparecchiato per un futuro radioso, l’anno prima svanito perché Massimino aveva chiuso le porte al Napoli. Nell’estate del 1989 la Juventus si fa avanti con un’offerta di sei miliardi di lire, impossibile da rifiutare. Dalla Sicilia alla Serie A, il sogno di Schillaci è realizzato.   

Alla prima stagione coi bianconeri l’attaccante palermitano realizza quindici gol in trenta gare di campionato, più due in Coppa Italia e quattro in UEFA, contribuendo attivamente alla conquista di queste ultime contro Milan e Fiorentina. A venticinque anni, con una gavetta importante alle spalle, Schillaci non trema, e l’allenatore Zoff avrà parole al miele per lui:” Era davvero forte, un bomber imprevedibile, ma soprattutto un uomo vero, semplice e perbene. Gli chiesi di giocare come a Messina, ma temeva l’avvocato Agnelli in tribuna. Così gli parlai a quattr’occhi una volta, gli dissi che un vip tifa come un operaio. Bastò questo per diventare un grande”. 

Schillaci si guadagna la convocazione della nazionale per il mondiale di Italia 90, dopo aver disputato solo un'amichevole contro la Svizzera tre mesi prima.

Il sogno di mezza estate: Italia 90

E torniamo a quell’8 giugno 1990. A quell’Italia-Austria fermo sullo 0-0. In panchina per l’attacco scalpitano Serena, Baggio, Mancini e Schillaci. Ecco perché la reazione del siciliano all’ordine di scaldarsi è d’incredulità. 

Sa bene di partire dietro a tutti i suoi “colleghi” di reparto, solo un anno prima si trovava a segnare in B per il Messina. Ma tocca a lui, è il minuto 75, gli lascia spazio Carnevale. È uno di quei bivi che la vita offre e che cambia tutto in un attimo. Trascorrono quattro giri di lancette e Donadoni dal limite trova un’imbucata per Vialli. Il centravanti della Samp entra in area dalla destra, arriva sul fondo e crossa al centro perfettamente, una parabola che scavalca un gigantesco centrale austriaco e inganna l’altro, anche lui marcantonio, anticipato da chi sta in mezzo a loro, Totò, che sarà più basso di quindici, venti centimetri ma stacca da terra coi tempi giusti e insacca sotto la traversa facendo partire ufficialmente le Notti magiche. 

Ed eccoli quegli occhi, gli occhi spiritati e le braccia al cielo che esprimono la gioia più pura di chi sta vivendo qualcosa di unico. L’Italia supera il primo ostacolo grazie al suo esordio con gol in un mondiale con la maglia azzurra. 

Contro gli Stati Uniti, Schillaci scenderà in campo al 52’, ci penserà Giannini a chiudere la pratica, con Vialli che fallisce un rigore, un’altra manovra del destino. Nella terza decisiva sfida per il primato nel girone, da contendere alla Cecoslovacchia, il siciliano c’è dal primo minuto, diventando poi titolare inamovibile insieme a Roberto Baggio. Al nono, corner dalla destra di Donadoni, Giannini dal limite colpisce male di sinistro, la palla tocca terra e si rialza sul vertice destro dell’area piccola dove è appostato Schillaci. Colpo di testa, ancora, e gol sotto la traversa. Nella ripresa, il centravanti palermitano chiede invano un rigore e la sua espressione trasognata buca lo schermo. Sarà Baggio a chiudere i conti, con una serpentina stupenda a dodici minuti dalla fine. E da primi nel girone, si va ad affrontare gli ottavi contro l’Uruguay. 

Notti magiche (e infine amare) da capocannoniere

La sfida coi sudamericani si rivela complicata. Gli uomini di Vicini attaccano, ma non riescono a segnare. Al 65’ Baggio riceve un lancio e serve di prima Serena, il quale tocca per Schillaci, che da circa venti metri lascia partire dinamite pura dal suo sinistro. Alvez è fuori dai pali e prova a deviare con la mano di richiamo ma viene scavalcato da quella botta abbastanza centrale che cade in rete a strapiombo, imprendibile. 

L’Olimpico esplode di gioia, come anche Bruno Pizzul in telecronaca, che si sta abituando a urlare “Gol di Schillaci”. Il capolavoro del numero 19 spiana la strada verso i quarti, messi in ghiaccio dal raddoppio di Aldo Serena all’83’. I giornali stanno impazzendo: “Totò abbracciamoci”, “Salvatore della patria” sono solo esempi dell’esaltazione che il centravanti siciliano sta vivendo, con pure la gioia di vedere nascere il suo secondogenito Mattia proprio durante il torneo. 

Adesso c’è l’Irlanda, anche lei protagonista finora di un sogno. Lì davanti molti italiani vedono già l’incarnazione di Paolo Rossi in Spagna 82. Soffre, lotta, insegue ogni pallone, dribbla, guadagna punizioni, soprattutto segna. “Non mi interessava niente della pressione e dei complimenti ricevuti, pensavo solo alla partita successiva” dirà anni dopo. 

Il 30 giugno la selezione di Jack Charlton non fa sconti, rendendo scorbutica la contesa. Ma al 38’ arriva puntuale la cambiale per gli irlandesi, firmata da un certo palermitano. Dopo una combinazione tra Baggio, Schillaci e Giannini, Donadoni vede uno spiraglio e calcia dal limite verso la destra del portiere. Il tiro è potente e Bonner lo respinge di pugno, ma incespica cadendo malamente. Appostato sulla sinistra c’è il Salvatore nazionale, destro di controbalzo dalla parte opposta e 1-0. Applauso verso il pubblico e poi si inginocchia, quasi a dire grazie. Uno stato di forma inspiegabile, sta segnando in ogni modo possibile, sempre al posto giusto nel momento giusto e il pallone è come attratto da lui. 

Nel secondo tempo, calcia una punizione dal limite, traversa, la palla rimbalza a centro area e lui di corsa va a riprenderla per tirare in porta. Non inquadra lo specchio, ma questa circostanza è emblematica del suo mondiale: onnipresente, infaticabile, affamato, come diceva di lui Franco Scoglio (“Non ho mai visto un giocatore con la sua fame di gol”). Si va in semifinale, con la strada indicata da Totò. “Sto vivendo un sogno”. Lo ripete ormai costantemente, a ogni intervista. Quelle Notti magiche lo hanno trasformato.     

Dopo aver giocato solo a Roma, la nazionale di Vicini scende al San Paolo di Napoli. Si va a casa di Maradona, il 3 luglio. La tensione è palpabile, si percepisce non certo uno spirito contrario verso gli Azzurri, ma nemmeno una totale ostilità nei riguardi dell’Albiceleste. 

L’Argentina di Carlos Bilardo finora ha avuto un cammino incerto, con due vittorie, due pari e la sconfitta all’esordio col Camerun. L’Italia ha solo successi. Ma non si va in campo con le partite trascorse. Zenga salva su Burruchaga, poi al 17’ Schillaci vince con una serpentina quattro contrasti sulla sinistra, alza il pallone centralmente verso De Napoli, subito verticale per Vialli dopo il velo di Giannini, triangolo chiuso dallo stesso romanista, sombrero, arriva in area e colpisce di testa verso Vialli, tiro al volo dall’altezza del dischetto, respinta di Goycochea, Schillaci è inevitabilmente lì, appena dentro l’area piccola, tap-in con la tibia destra e gol. 

Braccia al cielo, corsa verso il popolo, occhi spiritati per il quinto centro nel torneo; “è il suo momento magico” commenta in diretta Pizzul. Il calciatore siciliano racconterà invece che durante l’esultanza sentì Giannini corrergli dietro e urlargli “che culo che c’hai!”. L’Italia può gestire la pressione. Al 67’ però, su uno spiovente morbido da sinistra di Olarticoechea, l’atalantino Caniggia anticipa di nuca in un colpo solo Ferri e l’uscita avventata di Zenga, indirizzando la sfera all’angolino di destra. 1-1. 

Primo gol subìto dall’Italia in questo mondiale, con l’imbattibilità che si ferma a 517 minuti. I tempi regolamentari non bastano, si va ai supplementari. La nostra nazionale sembra averne di più e al minuto 109 Giusti colpisce con una gomitata Baggio: rosso. Si prova l’assalto, ma nulla di fatto. Per la prima volta ai campionati del mondo, l’Italia disputerà i calci di rigore. Schillaci non se la sente, sa di non essere un cecchino come rigorista ed è molto stanco. Purtroppo, Donadoni e Serena sbagliano, con l’Argentina che segna quattro volte dal dischetto, guadagnando la finale contro la Germania.     

Totò è lì, seduto per terra immobile, come tutti gli italiani in quel momento. Senza essere mai stata in svantaggio, con un solo gol al passivo, l’Italia ha perso senza aver perso davvero in campo. L’amarezza è grande e rimane la finalina per il terzo posto da giocare, a Bari contro l’Inghilterra, sconfitta anche lei alla lotteria dei rigori dai tedeschi. 

La sfida è aperta, Baggio segna al 72’, Platt pareggia dieci minuti più tardi, ma all’86’ la nostra nazionale guadagna un penalty, che Baggio consegna a Schillaci: “Vai, battilo tu e vinci la classifica cannonieri” gli dice Roberto. Totò accetta e segna il suo sesto gol, applaudendo ancora il pubblico, ma con un’espressione che descrive il rammarico della finale mancata. “Per me è stato un mondiale strepitoso e fortunato. È stato bello perché spero possa dimostrare a tanti ragazzi che si può arrivare anche con molta umiltà e semplicità. Credo di aver dato questo alla gente”. 

Schillaci verrà premiato come miglior giocatore di Italia 90 e a fine anno si classificherà secondo al Pallone d’oro, vinto da Lothar Matthaeus, che quel mondiale lo conquistò. 

Le ultime due stagioni a Torino e l’Inter

Totò è l’eroe in patria, dopo la rassegna mondiale, viene ospitato in diverse trasmissioni ed è riconosciuto a livello internazionale. Il connubio Italia 90-Schillaci è ormai inscindibile. E se la fama è ormai alle stelle, in campo con la Juventus le cose cambiano. 

Con l’arrivo di Gigi Maifredi in panchina, i bianconeri disputano un’annata disastrosa, sconfitti in Supercoppa per 5-1 contro il Napoli e settimi in campionato. Il centravanti siciliano segnerà cinque gol in A e tre in Coppa delle Coppe, bottino discreto ma in linea col calo vissuto dalla squadra. Sarà anche protagonista di un battibecco col bolognese Fabio Poli, che gli rifilerà uno sputo mandandolo su tutte le furie e facendogli dire “ti faccio sparare”. Si scuserà per l’accaduto, ricevendo qualche critica pesante. Nel 1991/92 arriva Trapattoni, che coglie la finale di Coppa Italia e il secondo posto in Serie A, mentre Schillaci realizzerà sei gol in campionato e uno in coppa. Ma è chiaro che il feeling con la società torinese si è spezzato. 

La sua spettacolare rovesciata nella sfida contro il Verona è l’ultima prodezza a Torino. Gian Luca Vialli è il nuovo acquisto e Totò non si sente più a suo agio, i problemi con la moglie irritano i dirigenti; ha avuto pure un litigio con Baggio (ricucito in fretta) e subìto brutti cori a Bari e Napoli. Dopo centotrentadue presenze e trentasei gol con la Juventus, accetta la corte dell’Inter nel 1992. 

Il presidente Pellegrini sborsa otto miliardi e mezzo di lire per accaparrarselo e Schillaci accetta molto volentieri di vestire i colori nerazzurri, da lui sognati al punto che avrebbe preferito stare fermo un anno ad aspettare, se la trattativa si fosse arenata. 

L’esordio è con gol, contro la Reggiana in Coppa Italia, seguito poi dal rigore contro l’Udinese nella sconfitta 2-1 alla prima in A. Il tecnico Osvaldo Bagnoli ritiene fondamentale il suo apporto, ma gli infortuni penalizzeranno non poco il suo rendimento. L’intesa con Shalimov e Sosa è buona, ma manca il gol nella parte centrale del campionato. 

Nel frattempo, l’Inter inizia a carburare e arriva a ottenere diciannove risultati utili consecutivi, buoni per tenere vive le speranze scudetto, con vittoria di rilievo a Torino sulla Juventus, ed è qui che Schillaci riprende a segnare, quattro reti in quattro partite (con una bella doppietta alla Sampdoria) e cinque assist, ma alla penultima giornata i nerazzurri perderanno a Parma, consegnando il tricolore al Milan di Capello. 

Totò chiuderà con sei centri in ventuno gare più una rete in Coppa Italia. Nel 1993/94 arriveranno tre marcature nelle prime tre gare, ma l’Inter, nonostante acquisti importanti come Bergkamp, vivrà una stagione da incubo in campionato, ritrovandosi a lottare per la salvezza. Bagnoli verrà esonerato, al suo posto il tecnico della Primavera Giampiero Marini, il quale otterrà il tredicesimo posto utile per la permanenza in A e soprattutto la vittoria della Coppa UEFA in finale contro il Salisburgo. 

A tale trionfale cavalcata Schillaci contribuirà fino ad aprile, quando decide di rescindere il contratto, non potendosi quindi fregiare del successo nella coppa continentale. Chiuderà la sua ultima stagione a Milano con nove presenze e cinque gol, perché ancora una volta i problemi fisici lo fermano molto, e con un totale di dodici reti in trentasei apparizioni. A trent’anni vuole provare un’esperienza all’estero, così si trasferisce in Giappone, al Jùbilo Iwata.

Il Giappone, il ritiro e il dopo carriera

Come primo calciatore italiano a giocare nel Sol Levante, viene accolto quale l’eroe del mondiale di quattro anni prima. Il giocatore dimostra nuovamente la sua classe, andando a segno sessantacinque volte in novantatré partite e vincendo il campionato nel 1997; un nuovo grave infortunio lo tiene lontano dai campi, così nel 1999 arriva il ritiro, a trentacinque anni. 

Un anno prima c’era stata la possibilità di indossare la casacca del suo Palermo, in un’amichevole che i rosanero, misti a elementi della propria Primavera e ad ex calciatori del Royal Tilleur Liegi, giocarono alla Favorita contro il Camerun, futuro avversario dell’Italia a Francia 98. Ma un problema alla schiena lo farà desistere, consentendogli solo di battere il calcio d’inizio. Poteva aprirsi uno spiraglio per chiudere la carriera in quella che era casa sua, però non se ne fece nulla.              

Fu consigliere comunale a Palermo per Forza Italia, poi gestisce dal 2000 il centro sportivo Louis Ribolla, da dove provengono prospetti come Antonio Di Gaudio e il nipote di Totò, Francesco Di Mariano, che dal 2022 milita nel Palermo, realizzando il sogno dello zio. È stato proprietario di una squadra giovanile palermitana e direttore tecnico dell'Asante, club del capoluogo in Terza Categoria legato a una ONLUS per atleti migranti. 

Si è anche prestato a giocare delle partite di livello dilettantistico, giocando nell’ultima giornata per l’Altamura e il Crocetta, militanti in Eccellenza pugliese e nella Terza Categoria Piemonte. Ha partecipato a diverse trasmissioni, come Quelli che il calcio, recitato in un paio di film con camei o apparizioni (Squadra AntimafiaBenvenuti a tavola – Nord vs Sud) e partecipato come concorrente a L’isola dei famosiPechino ExpressBack to school.

Totò ci ha lasciati il 18 settembre 2024, a sessant’anni non compiuti, per le complicanze di un tumore al colon contro cui combatteva dal 2022. La sua camera ardente fu allestita allo stadio Barbera, lì avrebbe voluto tanto giocare. Lascia la moglie Barbara e i figli Jessica, Mattia e Nicole, avuti dalla prima moglie Rita. Il 4 giugno 2025 gli è stato dedicato un murales a Palermo, nel suo quartiere CEP, vicino a una strada dove i ragazzini si ritrovano per giocare a calcio, ed è stato raffigurato con indosso la maglia azzurra. 

Perché se c’è una maglia che torna alla mente quando si parla di Totò Schillaci è quella della nostra nazionale. In quell’Italia ancora spaccata tra Nord e Sud, tra cori di matrice territoriale contro il meridione, in quell’estate 1990 fummo tutti uniti, un unico urlo di gioia mentre un ragazzo di venticinque anni corre a perdifiato e segna a raffica. 

Ci ha unito dalle Alpi a Portopalo di Capo Passero, persino a Lipari, dove un prete suo lontano cugino si organizza per far vedere le gesta del suo illustre parente a tutta l’isola. Quell’Italia che si stringe senza barriere, come solo lo sport e poco altro permette di fare, grazie a Salvatore “Totò” Schillaci dalla Sicilia, da quella Palermo alla ribalta, in quei tempi, per morti e paura. 

Invece lui dà lustro alla sua terra, è andato al nord a guadagnarsi il pane come tanti suoi conterranei, e ora suda per l’Italia, con quegli occhi determinati, affamati, segnati da un’infanzia in mezzo alla calce e alle gomme, che gli avevano insegnato il duro lavoro, l’umiltà di guadagnarsi tutto con impegno, per compiere un’impresa di dedizione totale, una luce nelle notti di un’estate italiana, per sempre nel cuore di chi visse quegli indimenticabili e infine malinconici mondiali, tramandati con quello stesso sguardo di felicità pura che aveva Totò.  

Racconto a cura di Carmelo Bisucci

Ti potrebbero interessare anche ...

Marc Albrighton, l'acquedotto di Leicester

Uno dei pochi superstiti del favoloso Leicester di Ranieri. Il gregario, l’esterno intelligente che permetteva alla macchina perfetta delle Foxes...
8 minuti Leggi subito

Ezio Glerean, i "fioi" di Ezio

Ezio Glerean è uno degli allenatori più innovativi e visionari che il calcio italiano ha saputo proporre negli ultimi 25...
5 minuti Leggi subito

Raffaele Rubino, 26 novembre 2011 per sempre

In dieci anni la vita calcistica di Raffaele Rubino è passata dalle stalle alle stelle: sempre in provincia e con...
10 minuti Leggi subito