Italia '90, il mondiale delle ultime volte
Che i venti di guerra spirassero minacciosi in terra balcanica era ben chiaro già dalla primavera del 1990. I fatti del Maksimir erano stati il preludio, per alcuni, di ciò che sarebbe successo negli anni a venire. La Jugoslavia era una delle squadre più talentuose di quel tempo al punto da essere soprannominata il Brasile d’Europa. I ragazzi di Ivica Osim furono tra i protagonisti indiscussi di quel mondiale, interrotto a soli undici metri dalla semifinale dal portiere argentino Goicoechea (che farà piangere anche noi).
Quell’ “Ultimo rigore di Faruk”, parafrasando il bellissimo libro di Gigi Riva edito da Sellerio, fu la diapositiva conclusiva di una magnifica nazionale. Non ci sarebbe più stata Jugo cancellata da una guerra fratricida ed esclusa, per via dell’embargo delle Nazioni Unite, anche dall’Europeo del 1992, nonostante il pass conquistato dalle qualificazioni.
Ultima partecipazione anche per l’Unione Sovietica, orfana in quel mondiale delle iconiche maglie con la scritta CCCP ammirate fino ad Euro ’88. Ai successivi europei del 1992 partecipò la Comunità degli Stati Indipendenti compagine formata dalle ex repubbliche sovietiche.
“Last dance” anche per la Germania Ovest prima della riunificazione tedesca, il muro di Berlino era crollato il 9 novembre 1989. Memorabile quel torneo per la nazionale di Franz Beckenbauer che si laureò campione del Mondo grazie al discusso rigore di Andreas Brehme nella finalissima dell’Olimpico contro l’Argentina.
Se in terra teutonica la caduta del muro ha accellerato il processo di riunificazione, nella vicina Cecoslovacchia si è palesato sin da subito il ritorno ai due stati con la proclamazione pacifica e simultanea di Repubblica Ceca e Slovacchia, nel 1993. Così, per la Cecoslovacchia, Italia '90 fu l’ultimo atto di una gloriosa storia calcistica culminata con la vittoria agli europei del 1976, famoso per il rigore di Panenka, e le due finali mondiali perse nel 1934 e nel 1962 rispettivamente contro Italia e Brasile.
Pat Bonner e la regola del retropassaggio
“Forse non sarà una canzone a cambiare le regole del gioco” questo l’incipit di “Un’Estate Italiana”, brano della coppia Bennato-Nannini e inno di quelle Notti Magiche. Non avrà magari influito il duo rock nel cambiamento epocale che si sarebbe delineato da lì a poco, però al termine di quel mondiale ebbe inizio il dibattito per superare le continue perdite di tempo e velocizzare sempre di più il gioco.
Ne sa qualcosa il portiere irlandese Pat Bonner che, durante il match contro l’Egitto in una afosa domenica palermitana, riuscì a tenere il pallone tra le mani per circa 6 minuti di gioco effettivo. Un’eternità, e sempre da retropassaggio dei suoi compagni di squadra. Ma era pur sempre un Eire-Egitto.
Saranno difatti l’appeal e il clamore della finale di Euro ‘92 tra Danimarca e Germania a decretare la definitiva morte del “backpass”. Il portiere Peter Schmeichel fu abile nel replicare la “performance” del collega irlandese Bonner, mandando su tutte le furie Klinsmann e compagni che videro così sfumare il titolo europeo a vantaggio dei danesi.
Da quel giorno, niente più palla in mano al portiere da retropassaggio dei difendenti. Un autentico terremoto regolamentare.
Quanto era bello il Mondiale in TV ...
Ma Italia ’90 fu il Mondiale con la media gol più bassa della storia e anche questo ha favorito l’adozione di regole nuove. Il torneo successivo, quello di Usa 94, fu l’ultimo con l’attribuzione dei 2 punti a vittoria anche grazie alla spinta mediatica di broadcast e TV sempre ricerca della spettacolarizzazione di un prodotto da vendere a clienti esigenti poco inclini al pareggio.
La manifestazione in terra italiana fu l’ultima senza lo straripante potere delle tv. Si aspettavano con ansia quelle grandi competizioni estive, unico modo per vedere all’opera e tutti insieme, i campioni e gli idoli degli appassionati del gioco più bello del mondo.
Il calcio non era ancora stretto nella morsa dei diritti televisivi e dei network. La tivu del pallone’, per i tifosi di casa nostra, era strettamente legata alla trasmissione “90° minuto”, unico mezzo per trasformare in realtà l'immaginazione della radiolina che trasmetteva “Tutto il Calcio Minuto per Minuto”.
Nulla di strano, quindi, che Italia ’90 è il mondiale che precede la prima partita di Serie A trasmessa in diretta da una tv a pagamento: era il 29 agosto del 1993 e all’Olimpico si giocò Lazio-Foggia.
... ma anche i numeri di maglia
Nell’immaginario collettivo il Mondiale del 1990 è stato un vero e proprio spartiacque nella cultura “retro’” del calcio nostrano: tramontano le casacche senza nome e viene archiviata quell’attribuzione particolare, tutta italiana, dei numeri di maglia azzurra.
Una storia degna di un romanzo di Pirandello, ma che già dal mondiale successivo comincerà a frammentarsi con i distinguo per i big: la 6 a Franco Baresi e la 10 a Roby Baggio.
Un’assegnazione che seguiva l'ordine alfabetico per ruolo ad eccezione dei portieri. Sistema che ci ha regalato perle uniche come la 7 di Scirea , la 13 di Giannini, la 14 di Tardelli e le iconiche e immortali maglie numero 20 di Pablito e 19 di Totò Schillaci.
Totò ultimo bomber azzurro
Proprio Totò Schillaci rimane l’ultimo capocannoniere italiano di un Mondiale, degno erede di Paolo Rossi, anch’esso bomber nell’epico Mundial di Spagna ’82.
Schillaci riesce a gonfiare 6 volte la rete in quella competizione. Un torneo prodigioso per il 19 in maglia azzurra. Gli occhi spiritati, increduli di un destino inseguito con tanti sacrifici e tante rinunce, furono la piena esaltazione di uno sguardo spontaneamente ingenuo capace di trascinare un intero popolo dentro un sogno, svanito solo per dei maledetti tiri di rigore.
I Mondiali prima della "Bosman"
Nonostante le delusioni e i successi che seguiranno, il 1990 è da considerarsi il punto di svolta per il calcio Made in Italy. Nell’anno del Mondiale i nostri club trionfarono in tutte le competizioni europee. Non succederà più.
Fino ad Italia ‘90 i convocati giocavano quasi esclusivamente nei rispettivi campionati nazionali. Nella rosa azzurra si traduceva nel 100% di giocatori della serie A. Sarà così fino ad Usa ‘94, per poi ripetersi nel trionfale 2006: sarà stato un caso?
Poi la globalizzazione e la sentenza Bosman del 1995 provocheranno una nemesi per appassionati e tradizionalisti del football, cambiandone per sempre i principi.
L'eredità di Italia '90
Ecco perché Italia '90 si può ritenere il Mondiale delle ultime volte, un torneo che ha lasciato in eredità una visione unica del patrimonio calcistico.
Ed appare del tutto normale che, per diverse generazioni di calciofili, il nostro mondiale rappresenti un evento “cult”; un riferimento ideologico da tramandare nel tempo a perpetua memoria delle ultime Notti Magiche di una ormai lontana e indimenticabile ESTATE ITALIANA.
Racconto a cura di Giuseppe Vassallo