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Torino, una sedia sotto al cielo

Mondonico al De Meer che alza al cielo una sedia. L’immagine di chi sa, che contro l’Ajax, ma soprattutto contro la sfortuna, si stanno infrangendo gli ultimi sogni di gloria del Torino.
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Mondonico sedia al cielo - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Un signore vestito in maniera elegante, dal baffo pronunciato e il capello un po’ arruffato, se ne sta in piedi, e sta brandendo una sedia, trovata chissà dove. La alza al cielo, con fare minaccioso.

Qualcuno teme che stia per scagliarla in campo. Salvo poi ricordarsi che quel signore è Emiliano Mondonico, e la parola Signore, con lui, non è per niente casuale. Non si azzarderebbe mai a lanciarla sul terreno di gioco.

Eppure la solleva, e per qualche secondo se ne sta lì. Fermo, attonito.

Probabilmente ha capito che il suo Torino non ce la sta facendo. E che quel fallo di De Boer su Cravero, giudicato “regolare” dal direttore di gara, non può essere passato in cavalleria come uno dei tanti episodi da moviola.

È un confine preciso, che separa il Torino dal suo sogno di tornare grande.

Sullo sfondo il vecchio stadio De Meer. Quello del grande Ajax del calcio totale, quello di Johan Crujiff. Il luogo dove svaniscono gli ultimi sogni di gloria granata.

E allora forse quella sedia, il vecchio Mondo, la sta alzando al cielo per chiedere aiuto. A quelli là magari, che da troppo tempo guardano il Toro dall’alto della Basilica di Superga che domina la città, e che da troppo tempo non trovano dei loro degni eredi in maglia granata.

“Aiutateci voi ragazzi, vi prego. Ci serve un miracolo”

L’anno delle favole

Il 1991 passerà alla storia come l’anno della grande Sampdoria, campione d’Italia grazie ai gol della coppia-che-scoppia Vialli-Mancini. Ma è un anno magico anche per altre nobili decadute del nostro calcio.

Come il Genoa. Il club più antico d’Italia. Quarto classificato, quell’anno, e qualificato perciò alla Coppa Uefa.

Come il Parma, che con una clamorosa scalata dalle serie inferiori ora si ritrova magicamente catapultato nel calcio che conta.

Oppure come il Torino, che si piazza al quinto posto a quota 38 punti. Che se oggi, probabilmente, non sarebbero neppure sufficienti per salvarsi, nell’epoca dei 2 punti a vittoria valgono ai granata il ritorno in Europa. Dopo anni di pochi alti e tanti bassi.

Quel Toro, allenato da quella vecchia volpe di Emiliano Mondonico, è una squadra ben costruita e molto arcigna.

In rosa c’è un po’ di tutto. Vecchie glorie del calcio italiano, e non solo, come Pasquale Bruno e Vincenzo Scifo; giovani talenti in rampa di lancio, come Gianluigi Lentini e Christian Vieri; oppure ancora buoni giocatori scartati dalle grandi, come lo spagnolo Martin Vazquez o l’ex riserva del Milan di Sacchi Roberto Mussi.

Una squadra che, pur senza giocare in maniera troppo spettacolare, riesce a incarnare perfettamente lo spirito granata. Tanta fame, grinta, determinazione. Esattamente quello che la Curva Maratona chiede ai propri giocatori.

Ben sapendo che, da lassù, ci sono dei campioni immortali che guardano le gesta dei propri eredi in maglia granata. E che si aspettano sempre di vederli onorati, quei colori, allo stesso modo di come Il Grande Torino riuscì a renderli conosciuti e ammirati in tutto il mondo.

“Ma vuoi vedere che…”

Dopo un primo turno piuttosto agevole, contro gli islandesi del KR, il Toro elimina anche il Boavista. 2 a 0 al Delle Alpi, reti inviolate, dopo strenua resistenza, in Portogallo.

Tocca quindi all’AEK Atene. Campo molto caldo, quello dei giallo neri. Costretti però sul 2 a 2 dal coriaceo Toro, grazie alle reti del brasiliano Casagrande e di Bresciani, prima del pari finale siglato da Sabanadzovic.

Al Delle Alpi, al ritorno, basta una rete di Martin Vazquez al decimo della ripresa per superare il turno, e andare avanti.

I tifosi granata vivono con crescente entusiasmo la cavalcata europea, con la lucida consapevolezza che arrivare fino in fondo sarà tremendamente dura, dal momento che vi sono, nel tabellone, molte corazzate del calcio internazionale a contendersi, inevitabilmente, i favori del pronostico.

Ma, si sa da sempre, il Torino è capace anche delle imprese più clamorose. È la storia a dirlo. Poche squadre, come il Toro, hanno saputo scaldare il cuore dei propri tifosi sovvertendo i pronostici più chiusi possibili.

È l’istinto di sopravvivenza di chi è stato troppe volte costretto a vedere esultare l’altra parte di Torino, quella bianconera. La necessità di autodeterminarsi nell’universo del calcio. E di riprendere quel filo che solo la tragedia di Superga ha, in passato, interrotto.

Così, quando la squadra di Mondonico elimina anche il Copenaghen, carnefice in precedenza nientemeno che del Bayern Monaco, a qualcuno comincia ad alzarsi il sopracciglio.

“Ma vuoi vedere che…”

L’incubo diventa realtà: Real Madrid

Ma la storia del Torino è fatta anche di sfighe fuori da ogni logica. Sul più bello, succede sempre qualcosa a tarpare le ali al volo granata.

Così, proprio quando il club si rende conto di essere arrivato al suo punto più alto da un punto di vista del calcio internazionale, ecco sbucare i guai all’orizzonte.

Il sorteggio infatti è impietoso e laconico, per la semifinale: REAL MADRID.

Eccheccazzo. Proprio loro?

Sia chiaro: non è il Real di Di Stefano e Puskas, non è nemmeno quello dei Galacticos né tantomeno quello di Zidane e Cristiano Ronaldo.

Ma è pur sempre il Real Madrid. Hierro, Prosinecki, Luis Enrique, Hagi, Butragueno.

La sensazione è quella del malinconico capolinea di questa magica avventura.

Ma Mondonico dice: “Niente paura, andiamocela a giocare! E se abbiamo una possibilità su cento di passare, proviamoci”.

E in effetti il Toro non esce con le ossa rotte, come molti pensavano, dall’andata al Santiago Bernabeu. Il Real vince, ma “solo” 2-1. E quel gol di Casagrande, in particolare, rimanda la sentenza al match di ritorno, da disputare in un Delle Alpi esaurito in ogni ordine di posto.

Oltretutto, qualche giorno dopo la gara di Madrid, il Torino vince pure il derby con la Juve 2 a 0. E cavalca sulla cresta l’onda dell’entusiasmo.

Al ritorno il Mondo compie un vero e proprio capolavoro. Mussi, Cravero, Annoni e Bruno lasciano le briciole agli avanti dei blancos. Ricardo Rocha, dopo 7 minuti, infila goffamente il proprio portiere Paco Buyo, e a un quarto d’ora dalla fine Luca Fusi chiude la partita.

È finale. Incredibile.

E se hai battuto il Real Madrid, chi altro ti può fermare?

Un giovane promettente Ajax

L’Ajax. Solo l’Ajax ti può fermare. Probabilmente ci voleva proprio una squadra così, a volte magica altre volte improponibile, a spezzare i sogni del popolo granata.

Non ci sarebbe nulla da eccepire se i lancieri si fossero presentati con in campo almeno la metà dei talenti che hanno cresciuto e distribuito in giro per il mondo. Ma Johan Crujiff si è ritirato, mentre Marco Van Basten e Frank Rijkard già da qualche anno sono sbarcati a Milano per fare le fortune del Milan di Berlusconi.

L’Ajax che il Torino si trova di fronte è quindi un’accozzaglia di giocatori tipo “segnati il suo nome, che ne sentiremo parlare”.

In panchina, innanzitutto, c’è un giovane Louis Van Gaal. Chiamato a proseguire la tradizione di calcio innovativo lanciata prima da Rinus Michels e proseguita poi dal suo erede Crujiff, una volta sedutosi in panchina.

In porta c’è Menzo, uno dei tanti figli del Suriname e dell’Olanda Coloniale.

In difesa ci sono Blind, De Boer (Frank), Jonk e Silooy. A centrocampo Winter, Van’t Schip, Bergkamp e Kreek. Davanti Roy e Petterson.

Tolto l’attacco, dove bisognerà attendere che dal settore giovanile sbocci gente come Overmars, Kanu e Kluivert, c’è già l’ossatura (allenatore incluso) della squadra che 3 anni più tardi farà piangere il Milan nella finale di Vienna. E allora si parlerà non più di Coppa Uefa, ma bensì di Champions League.

La finale d’andata si gioca in Italia. Il Toro è straordinario nel rialzarsi, dal momento che dopo un quarto d’ora è sotto di uno, grazie a un siluro scagliato da Jonk direttamente dal bar dello stadio. Casagrande fa 1-1, ma gli olandesi tornano avanti grazie a un rigore di Petterson. Il 2-2 segnato ancora da Casagrande evita la sconfitta interna, ma non toglie ardore dalla finale di ritorno, in cui il Torino sarà chiamato a vincere, quasi per forza.

L’incredibile epilogo

Se un pittore fosse chiamato a dipingere una tela per rappresentare la storia del Torino, la finale di Amsterdam sarebbe una sceneggiatura interessante da prendere come modello.

Tantissimi sono i fermo-immagine di quella partita, che ben raffigurerebbero il sentimento granata.

C’è la palla colpita di testa da Lentini dopo 10 minuti, chè già aveva alzato i culi di tutti i tifosi, salvo poi infrangersi ignominiosamente sul palo, a Menzo battuto.

C’è l’uscita dal campo di un dolorante capitan Cravero a inizio ripresa, che toglie al Toro l’anima del proprio condottiero.

C’è quel dannato rigore non visto dall’arbitro Petrovic, e di conseguenza c’è anche Mondonico a bordo campo con la già citata sedia in mano.

C’è il secondo palo, stavolta colpito da Mussi, con un tiro deviato che aveva spiazzato il portiere olandese.

E c’è anche l’ultimo tiro, quello dell’Ave Maria, che il buon Gianluca Sordo stampa clamorosamente sulla traversa, da ottima posizione.

E su quel legno si schiantano tutti i sogni di Torino e del Torino. E i tifosi ancora non lo sanno che, nei successivi 30 anni, mai più avranno mezza possibilità di rivincita. Sarà solo Serie A, ancora, ma pure tanta, troppa Serie B. Con tanto di fallimento, evitato per un soffio.

Sono arrivati a un passo, a una sedia dal cielo.

Serve un capitano per descrivere un momento così. E allora il finale lo lasciamo alle parole di un cuore granata come Capitan Cravero:

" Esiste solo un club che può perdere una coppa così, e questo club è il Torino. Siamo maledetti. Non so che altro dire. "

Scopri un altro sogno infranto italo-europeo: Atalanta, la bella di notte.

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