Giuseppe Giannini, principe di Roma
Nella scala gerarchica, in cima c’è il re. Sotto di lui, i sudditi. Ma la gerarchia monarchica prevede, appena sotto il re, il principe, l’erede al trono. Non c’è stato soprannome migliore per Giuseppe Giannini, numero 10 della squadra giallorossa della città dei sette re. Per tutta la sua carriera, Giannini è stato l’idolo della Curva Sud, feudo del tifo più autentico e oltranzista della Lupa. E diventare idoli a Roma non è facile: il “principe” Giannini c’è riuscito e, prima di Francesco Totti, c’è stato lui, il principe del quartiere Trieste, con 436 presenze, 75 reti e la fascia al braccio per nove stagioni.
Gli inizi in giallorosso
Non c’è nulla di meglio che tifare per una squadra e giocarvi. E diventare uno dei beniamini. La lunga storia di Giuseppe Giannini con la maglia della Roma inizia il 31 gennaio 1982 all’“Olimpico” contro il Cesena: da lì, altre 436 partite lo consacreranno nel cuore dei tifosi romanisti.
Giannini all’epoca faceva la spola tra la Primavera di Romeo Benetti e la prima squadra di Nils Liedholm. Nel 1983 i giovani giallorossi vinsero il Viareggio e l’anno dopo il campionato nazionale. Giannini c’era, e in campo dispensava calcio.
La zazzera lunga e i piedi raffinati lo fecero entrare nel cuore di tutti, tifose comprese. La prima delle sue 75 reti arrivò il 28 ottobre 1984 contro la seconda squadra più odiata dalla tifoseria giallorossa: la Juventus. Stefano Tacconi, portiere bianconero, non poté nulla, e Giannini, ventenne, festeggiò la sua prima rete in Serie A.
La Roma dei primi anni ’80 (dalla stagione 1979/80 alla 1985/86) era una squadra vincente: uno scudetto, quattro Coppe Italia e l’amaro epilogo del 30 maggio 1984, quando i giallorossi si arresero ai rigori nella finale di Coppa dei Campioni contro il Liverpool. A partire dalla stagione 1984/85, Giannini trovò sempre più spazio: era troppo forte per non giocare.
A metà degli anni ’80, la Roma lo premiò con la fascia di capitano: per un romano de’ Roma e tifoso giallorosso, un sogno che si realizzava. E quella fu la fase migliore della sua carriera con la maglia della “sua” Roma.
Il ragazzo del quartiere Trieste diventa “Principe”
Giocare in piazze importanti non è mai facile: la pressione può portare chiunque a perdersi e deludere. Giannini, invece, per dieci anni fu un punto fermo, cementando la Roma tra le grandi del campionato. Tra il 1986 e il 1996, la miglior posizione in classifica fu un terzo posto (1987/88), mentre il peggior piazzamento fu il decimo (cinque stagioni dopo). Il punto più alto fu la vittoria della settima Coppa Italia della storia del club, e la delusione più grande fu la finale di Coppa UEFA persa contro l’Inter. Quella campagna europea (1990/91) vide i ragazzi di Ottavio Bianchi battere Benfica, Valencia, Bordeaux, Anderlecht e Brøndby. All’ultimo atto, i nerazzurri prevalsero nel secondo derby italiano consecutivo in finale. Giannini, ormai “principe”, segnò due reti nel torneo, ma non bastarono.
La corsa europea e la Coppa Italia vinta contro la Sampdoria distrassero i giallorossi dal campionato, concluso al nono posto: un piazzamento che non si vedeva dal 1978/79.
Eppure, quella Roma faceva sognare: ogni domenica alle 14:30 scendevano in campo Giannini, Voeller, Rizzitelli, Aldair, Carboni e, per l’ultima stagione, Bruno Conti.
La Coppa Italia fu il terreno di conquista della Roma in quegli anni: nel 1992/93, arrivò un’altra finale, ma ad alzare la coppa fu il Torino. Giannini entrò nella storia segnando tre rigori nella finale di ritorno. Vittoria per 5-2, ma la Coppa volò sulla sponda granata del Po.
Quella era, è e sempre sarà la Roma del “principe” Giannini, il numero 10 che faceva impazzire tutti. A partire dalla stagione 1995/96, con l’introduzione delle maglie personalizzate, Giannini scelse il 10. Un numero che nel calcio non è mai banale. E il 31enne Giannini lo meritava pienamente.
L’esperienza in Nazionale: da Euro ’88 a Italia ’90
Un talento come quello di Giannini non passò inosservato in ambito azzurro. Il suo unico selezionatore fu Azeglio Vicini, che lo aveva avuto anche in Under 21.
Giannini debuttò con l’Under 21 il 31 ottobre 1984 in amichevole contro la Svizzera a Locarno, facendo parte di una straordinaria generazione che conquistò l’argento all’Europeo 1986.
La stessa generazione passò in blocco alla Nazionale maggiore, che arrivò terza a Euro ’88 e ai Mondiali di Italia ’90. Proprio quel Mondiale era l’obiettivo: una squadra fortissima, un pubblico in delirio, ma il sogno svanì il 3 luglio 1990 in semifinale contro l’Argentina di Maradona.
Giannini avrebbe voluto giocare la finale nel suo Olimpico, ma dovette accontentarsi della “finalina” vinta contro l’Inghilterra il 7 luglio. Il giorno dopo, a sollevare la Coppa sotto il cielo di Roma, fu Lothar Matthäus.
Nonostante ciò, Giannini si tolse una grande soddisfazione: segnare un gol al Mondiale, il 14 giugno contro gli Stati Uniti. Era dal 1982 che un romanista non segnava al Mondiale (Graziani contro il Camerun).
Chiuse la carriera in Nazionale il 12 ottobre 1991 contro l’URSS a Mosca (0-0): 47 presenze e 6 gol in azzurro.
L’addio alla Roma e le ultime stagioni
Tutte le belle storie finiscono. Quella tra Giannini e la Roma si concluse nel 1995/96, la prima stagione con la maglia personalizzata “Giannini 10”.
Fu un addio doloroso, ma necessario. A 32 anni, il “principe” capì che era giunta la fine del rapporto con il club del cuore. Non gradì le critiche del presidente Sensi dopo un rigore sbagliato in un derby.
Giannini non si ritirò e giocò fino al 1999. Nel 1996 accettò l’offerta dello Sturm Graz, in Austria, con cui vinse subito Coppa e Supercoppa nazionale. Giocò 21 partite prima di tornare in Italia.
Firmò col Napoli, ma fu una parentesi breve: solo quattro partite. A gennaio si trasferì al Lecce, dove visse la prima retrocessione della carriera. Rimase un’altra stagione, contribuendo alla promozione in A nel 1998/99, con il numero 10 di nuovo sulle spalle.
Avrebbe potuto affrontare la Roma da avversario il 5 dicembre 1999, ma sei mesi prima aveva già annunciato il ritiro. La sua ultima partita fu il 13 giugno 1999 contro il Chievo: 513 partite, 83 gol. Ma con Roma, aveva ancora un conto aperto.
17 maggio 2000: l’addio del “principe”
Il 17 maggio 2000, Giannini salutò il suo popolo all’Olimpico. Una partita tra ex romanisti ed ex stelle del calcio (tra cui molti di Italia ’90) gli rese omaggio. Spicca la foto con Francesco Totti, allora capitano e anch’egli numero 10. Uno striscione recitava: “Facile amarti, impossibile dimenticarti.”
Giannini avrebbe dovuto giocare un tempo per squadra, ma a causa dell’invasione di campo nell’intervallo, la ripresa non si disputò. La sua partita d’addio durò solo un tempo, tra l’amarezza generale.
L’esperienza da allenatore
Dal 2004 al 2017, Giannini intraprese la carriera da allenatore. Quattro esoneri in Serie C e in Romania (Argeș Pitești). L’unico successo fu col Gallipoli: promozione in B e Supercoppa Lega Pro. Ma il caos societario lo spinse alle dimissioni nel 2010.
Poi fu al Verona (2010/11) e Grosseto (2011/12), ma fu esonerato in entrambi i casi. Nel 2013 accettò di guidare la Nazionale del Libano, ma con scarsi risultati: 3 vittorie, 6 pareggi, 5 sconfitte e mancata qualificazione alla Coppa d’Asia 2015.
Chiuse definitivamente con la panchina nel 2017 dopo l’esonero dal Racing Fondi.
Oggi gestisce la “Giuseppe Giannini Academy” a Marino, vicino Roma.
Un “10” è per sempre
Nel 2013 la Roma lo ha inserito nella sua Hall of Fame. Giannini è stato uno dei migliori calciatori italiani tra gli anni ’80 e ’90. Ha incarnato lo spirito giallorosso: testa alta, piede educato, tempi di gioco perfetti.
Dopo di lui, solo due hanno indossato il 10: Daniel Fonseca e Francesco Totti, che lo ha reso leggenda. Totti ha vinto di più, ma nessuno può dimenticare che prima di lui c’era stato Giuseppe Giannini, il “principe”.
E questo è poco, ma sicuro.
Racconto a cura di Simone Balocco