Licata, una squadra di siciliani in Serie B
Nella Sicilia centro-meridionale, un’area che non ha mai goduto di un benessere economico particolare, nonostante le bellezze naturali e storiche, un piccolo comune di 40 mila abitanti della provincia di Agrigento, Licata, ha ammirato coi propri occhi un riscatto sportivo davvero epocale, per le gesta della sua compagine calcistica. Ha sognato e toccato con mano il calcio che conta, il quale ha consentito pure un ritorno turistico notevole.
Ha iniziato ad assaporare il glorioso palcoscenico a metà degli anni 80, quando un giovane boemo muove i primi passi in panchina. Zdenek Zeman arriva nella stagione 1983/84, incontra qualche difficoltà ma la società ha fiducia e l’anno successivo, quando i gialloblù militano in C2, li conduce alla promozione in C1, con ben 58 reti realizzate in 34 partite. Ma sarà nel 1987/88 che arriverà il grande salto: con Aldo Cerantola alla guida tecnica, i licatesi, forti di una difesa che concede solo venti reti al passivo, di cui appena tre in casa, e coi gol dei suoi cannonieri, vincono il girone B, avendo la meglio su società nettamente più blasonate, come Reggina, Cagliari, Foggia e Catania.
Il giorno della storia è il 5 giugno 1988 quando, battendo fra le mura amiche il Frosinone 2-0, salgono ufficialmente in Serie B per la prima volta, con un finale di campionato al cardiopalma, concluso a pari punti col Cosenza e coi reggini dietro di soli due punti.
Il gruppo che aveva sancito l’impresa aveva in larga parte giocatori già lanciati da Zeman, che adesso si apprestavano a portare un contributo importante alla causa.
La colonia dei siciliani
Quello che ha rappresentato il minimo comune denominatore di questa fiaba di provincia è stato l’enorme apporto siciliano, un unicum per una squadra arrivata in cadetteria. Già Zeman aveva capito il potenziale di molti giovani del Palermo e li aveva condotti con sé, facendoli crescere con la sua ancora poco nota capacità di risaltarne le qualità e con un gioco a zona veramente radicale. Si era affidato a un reparto difensivo che vedeva l’esperto Emilio Zangara, a guardia della porta con in passato il vizio di andare a saltare sui corner, Castrense Campanella, terzino di spinta, lo stopper Maurizio Miranda e l’altro terzino di contenimento, Giorgio Taormina, tutti palermitani. Ad agire come libero c’era Angelo Consagra, licatese DOC con un futuro a Foggia e Bari, formatosi nelle giovanili del club e che si era fatto tutta la trafila dall’Interregionale fino alla B. A centrocampo il mediano tutto cuore e sudore era Domenico Giacomarro, marsalese, poi l’ala destra Ignazio Gnoffo, mentre in attacco agiva Giuseppe Romano, il capitano, perfetto attaccante di sponda, pure questi ultimi rappresentanti della parte rosanero della Sicilia.
Tra l’86 e l’88 erano arrivati altri elementi che contribuiranno a portare avanti il lavoro di Zeman, come anche di Cerantola. Fra questi da segnalare l’ala Antonio Maurizio Schillaci, cugino di Totò che all’epoca militava nel Messina di Franco Scoglio in cadetteria; c’è anche un giovanissimo Antonio Manicone, futuro vincitore della Coppa Uefa con l’Inter, che nella stagione 86/87 collezionerà 32 presenze e una rete. Il nutrito gruppo della Trinacria è rimpinguato da elementi come Giacomo Modica, ottima mezzala di Mazara Del Vallo; Loreno Cassia, libero siracusano che si alternava a Consagra, infortunato a lungo nell’87/88 come il titolare; sarà perciò Tommaso Napoli, manco a dirlo proveniente dal capoluogo siciliano, a ereditarne in quell’anno il ruolo di guida della difesa, appena ventenne; Diego Ficarra, nativo svizzero ma canicattinese, prelevato dallo stesso Canicattì nell’Interregionale, fa il doppio salto di categoria e non lo avverte, da giovane difensore che crescerà in presenze con la promozione in B; con lui, l’altro under 20 Giovanni Sorce, agrigentino, numero 8 rivelazione nella cavalcata dell’88, insieme con il “panormita” Salvatore Tarantino, fondamentale a centrocampo. Colui però che fece il grande salto di qualità quando contava davvero è Francesco La Rosa, ala sinistra originario di Tremestieri, nel messinese. Dopo tanto peregrinare tra Palermo, Casertana, Cavese e Ravenna, trova la sua dimensione a Licata, dove approda nell’87 e a suon di gol, quindici, vince la classifica cannonieri, mettendo la firma indelebile sull’impresa gialloblù.
Ciò che aveva già meravigliato gli appassionati che assistettero a tale ascesa del Licata fu il fatto che la squadra fu costruita tramite molti giovani senza spendere grandi cifre. Il merito di un’amministrazione così oculata e di risultati eccezionali è del presidente Franco Licata D’Andrea.
Come da lui stesso dichiarato al tempo, con appena due miliardi e duecento milioni di lire era stata compiuta una vera prodezza, considerando anche che nelle prime cinque partite casalinghe lo stadio Dino Liotta aveva bisogno di ammodernamenti e non era stato utilizzabile, costringendo la truppa di Cerantola a giocare tre partite a Ravanusa e una a Palma di Montechiaro, poi lo spostamento nel piccolo campo di Villaggio dei Fiori, a Licata, con infine il ritorno a casa al Liotta, gremito nei suoi dodici mila posti e pronto per le luci della ribalta. Coadiuvato dalla locale Banca Popolare Sant’Angelo e con lo sponsor della propria terra “Licata città del mare”, il patron D’Andrea ha garantito una gestione impeccabile, cogliendo i frutti di un’amministrazione saggia dapprima da vice dei vari Alabiso, Carella e Pontillo a partire dal 1978, quando il Licata si trovava addirittura in Prima Categoria, e reggendo il timone dal 1987.
La partenza timorosa
Per scaldare i motori, il Licata gioca un’amichevole di lusso, contro l’Inter, il 7 giugno 1988, perdendola per 4-2, ma potendo godere di vedere una super squadra giocare al Liotta, anche per riconoscerne la bravura di una storica promozione.
La stagione più importante per le aquile comincia il 21 agosto, con la Coppa Italia che intrattiene gli italiani senza campionato fino a ottobre per le olimpiadi di Seul. Il Licata, che adesso è allenato da Giuseppe Papadopulo, si ritrova nel girone 3 e l’esordio è contro il Milan di Arrigo Sacchi. Si gioca al Rigamonti di Brescia, perché iniziano i lavori di ristrutturazione nei campi che ospiteranno Italia 90. I gialloblù resistono abbastanza, ma vengono sconfitti 2-0, a segno Virdis e Donadoni.
Tre giorni dopo, si va all’Olimpico per sfidare la Lazio. Anche qui, i siciliani resistono un tempo, poi vengono travolti dalla doppietta di Ruben Sosa e dal gol di Rizzolo. Il 28 agosto, la Coppa Italia giunge per la prima volta al Dino Liotta, con un derby contro il Messina. In panchina per i peloritani l’ex Zeman, in campo invece c’è Giacomo Modica, ceduto quell’estate, e il futuro eroe delle notti magiche, Totò Schillaci. La gara si rivela molto spettacolare, segna anche Modica, ma il Licata mantiene il vantaggio e vince 3-2 col gol del nuovo arrivo Ciro Donnarumma, dal Sorrento. È la prima storica affermazione in una gara della coppa nazionale.
Il 31 agosto, sempre in casa, arriva il Pescara di Giovanni Galeone, che si afferma per tre reti a uno. Il 3 settembre, arriva l’ultimo atto, con la sconfitta a Campobasso ancora 3-1. Di certo non ci si aspettava di passare alla fase successiva, ma le prestazioni offerte, anche con avversari più alla portata, lasciano un po’ di malumore e preoccupazione alla vigilia del campionato.
L'avvio steccato
Il nuovo mister, Papadopulo, aveva portato con sé dal Sorrento il già citato Ciro Donnarumma, attaccante classe 1966 nativo di Gragnano, che nella C2 87/88 aveva raccolto un buon bottino di otto reti. Oltre a lui, il Licata aveva prelevato Francesco Boito dal Ravenna per la mediana, il terzino e numero quattro palermitano Giuseppe Accardi dal Foggia. Arrivano poi dei profili che saranno noti nel panorama calcistico italiano: un terzo portiere di appena diciotto anni, cresciuto prima in una squadra della sua città, il Cosmos Palermo e poi nel club gialloblù, Massimo Taibi; a centrocampo invece, giunge il ventisettenne Walter Mazzarri. Per il resto si preferisce mantenere l’ossatura della C1, anche confermando qualche seconda linea, come il pescarese Silvestro Baldacci in difesa, o il leonfortese Giuseppe Laneri per il reparto avanzato. In totale, su una rosa di ventotto giocatori, ben venti sono siciliani. E con questa orgogliosa sicilianità il Licata è pronto per la Serie B.
Si esordisce in casa l’11 settembre 1988, il Liotta ospita per la prima volta una gara cadetta, l’avversario è l’ostico Catanzaro, guidato da Tarcisio Burgnich e dal capitano trentacinquenne Massimo Palanca. La partita è dura, ma i siciliani resistono e strappano uno 0-0 prezioso. Il primo punto della storia del Licata in B.
Il secondo impegno è ad Empoli, con Baiano e Vignola protagonisti, ma nemmeno qui gli avversari riescono a perforare la porta licatese, che rimane inviolata, con pure un errore dal dischetto dello stesso ex Juventus Vignola. Risultato a occhiali.
Alla terza giornata, c’è un’altra prima volta: la prima gioia del gol. A segnare non può che essere il bomber Francesco La Rosa, su rigore, che risponde all’iniziale vantaggio del Taranto. Poi si va al Celeste di Messina, il derby in prima assoluta in cadetteria. Totò Schillaci fa la voce grossa (a fine stagione sarà capocannoniere a quota ventitré) con una doppietta che rende vano il gol della bandiera di La Rosa. Prima amarezza in campionato per il Licata. Serve una scossa. Che arriva puntuale sette giorni più tardi, il 9 ottobre, alla quinta giornata, la squadra siciliana alza le braccia al cielo, ottenendo due punti d’oro in casa contro il Padova, regolato per 3-1 grazie a due reti di Accardi e Laneri.
Sulle ali dell’entusiasmo, sempre al Liotta le aquile sconfiggono poi il Piacenza, grazie a La Rosa e Miranda, dopodiché volano a Parma, strapazzandolo 3-0 con La Rosa, Sorce e Donnarumma. Dopo sette turni, il Licata ha nove punti, frutto di tre vittorie, tre pareggi e una sconfitta. C’è da tenere duro, perché i risultati vanno confermati, la salvezza è sempre una lotta punto a punto, ma tutto finora fa ben sperare.
Ma è proprio qui che la luce si spegne: arrivano tre sberloni consecutivi, serviti tra le mura amiche dal Bari e fuori casa da Brescia e Avellino. Il successivo pari interno col Barletta sembra curare l’emorragia, che però riprende copiosa contro il lanciatissimo Genoa (3-0). Lo 0-0 a domicilio contro l’Udinese fa di nuovo da premessa a una nuova sconfitta a Cosenza per 2-0 (segna il povero Donato “Denis” Bergamini n.d.r.). E lo schema si ripete tra la quindicesima e la sedicesima giornata (Licata-Reggina 1-1, Ancona-Licata 1-0).
Non si vince da dieci turni di fila, in cui si sono segnati la miseria di due gol, mentre sono dodici quelli al passivo. Dodici punti la conseguenza, con la classifica che ora comincia davvero a piangere. Licata D’Andrea è costretto a esonerare Giuseppe Papadopulo, al suo posto viene chiamato Francesco Scorsa, ex libero dell’Ascoli dei miracoli in A negli anni 70.
La riscossa a piccoli passi
Scorsa arriva in una situazione di depressione, e cerca quindi di ridisegnare la squadra, affidandosi più a Romano in attacco a fare coppia con La Rosa, piuttosto che a Donnarumma, inoltre ritiene di dover dare più linfa alla difesa, che deve cercare di essere solida.
Mazzarri non troverà più spazio, già messo da parte negli ultimi tempi da Papadopulo, e litigherà anche con Scorsa. La missione salvezza riparte dalla gara casalinga contro la Sambenedettese, conclusasi 1-0 per la rete del giovane Sorce, finora forse il più in forma. Il 18 gennaio si recupera la partita in casa del Monza, sospesa per nebbia, uno 0-0 da festeggiare, perché prima della sospensione dell’8 gennaio i brianzoli stavano vincendo 4-1, ma all’epoca i risultati non venivano omologati in caso di sospensione e rinvio.
Allo Zini di Cremona, diciannovesima e ultima giornata d’andata, arriva un 2-4 pesante, che potrebbe ulteriormente minare le speranze del Licata. Ma l’inizio del girone di ritorno alza il morale: quattro risultati utili consecutivi, pareggio a Catanzaro a reti bianche, successo interno sull’Empoli 3-2 (2 Sorce, La Rosa), 1-1 a Taranto e altro derby col Messina conquistato, merito di un roboante 4-2.
La Rosa è tornato a segnare (quattro gol nelle ultime sei gare, con Scorsa in panchina), Sorce ha tenuto in piedi la baracca nel momento più complicato, la nuova guida tecnica ha ridato fiducia all’ambiente e i gialloblù escono dalla zona calda della graduatoria.
Si arriva alla meta
Si entra nella fase più importante, e il mese di marzo prevede uno scontro duro contro il Padova, invischiato nella lotta per non retrocedere, con la classifica che nei bassifondi è corta, e il Licata, per ora salvo, non può stare a guardare. Matura però una sconfitta all’Appiani, dunque bisogna rimettersi in carreggiata. Si susseguono due pareggi, 0-0 a Piacenza e 1-1 col Parma, tutto sommato buon bottino contro due compagini che devono risalire la china o guardarsi le spalle.
Il proibitivo impegno a Bari, in lotta per la promozione, riserva una battuta d’arresto quasi fisiologica, ma al Liotta le aquile sono galvanizzate, e nelle due sfide di fila che le attendono, entrambi gli ospiti, Brescia e Avellino, escono sconfitti 2-1, con Sorce, La Rosa, Tarantino e Giuseppe Romano a trascinare una città intera. Dopo lo 0-0 a Barletta, è il Genoa di Franco Scoglio, ormai in volata verso la A, a sbattere contro il muro gialloblù, che accoglie un altro risultato ad occhiali, ma stavolta come fosse una vittoria.
Il calendario di aprile è tosto, e alla trentaduesima giornata i conti sono ancora aperti. Si va a Udine, dove il Licata sta strenuamente difendendo l’1-1 segnato al 75’ da Baldacci, ma la beffa giunge al 90’. Non c’è un attimo di respiro. Letteralmente, perché a Licata è atteso il Cosenza, ancora in lotta per la promozione. Ma gli uomini di Scorsa non concedono sconti e con La Rosa e Romano confermano la legge del Liotta, che è caduto una sola volta finora.
Si va a Reggio Calabria, città che nella stagione precedente era stata crocevia verso la vittoria del girone di C1. Ma in Serie B la musica cambia, sconfitta di misura per 2-1 e via a cercare ossigeno in terra sicula. Alla trentacinquesima, Taormina fa esplodere di gioia i suoi, ma l’Ancona impatta per una sfortunata autorete di Gnoffo, complice anche un non perfetto Taibi, esordiente tra i pali in quella partita.
La salvezza non è ancora certa, tra il nono e il diciassettesimo posto ci sono solo tre punti di distacco, un passo falso può rimettere tutto in discussione. Ma le prossime due gare sono nel fortino, nel catino di casa, non si deve sbagliare.
Il primo scontro salvezza è col Monza, il 4 giugno 1989. Non ci sono calcoli particolari da fare, si deve vincere. La Rosa sblocca il risultato, Casiraghi pareggia. Poi, c’è forse il quarto d’ora più bello dell’intera stagione gialloblù: Miranda, ancora La Rosa e Sorce servono il poker al riposo e spianano la strada. Nella ripresa Casiraghi torna a fare quel che sa fare meglio, gol, per due volte. 4-3 e cuore in gola per un quarto d’ora. Ma la difesa licatese regge e altri due fondamentali passi per la permanenza in B sono compiuti.
Trentasettesima giornata, è l’11 giugno, la truppa di Scorsa va di scena a San Benedetto Del Tronto, coi padroni di casa che non sono ancora condannati alla C1. Questa volta la partita è tesa e spezzettata, la posta in palio è alta. La Sambenedettese sbaglia un rigore al 12’, poi al 52’ rimane in dieci per l’espulsione di Ferruccio Mariani. Il Licata prende coraggio e al 73’ in contropiede il suo bomber, Francesco La Rosa, realizza il suo quindicesimo centro in campionato, il più pesante, perché il risultato non cambia più, e con trentasei punti, il Licata, con tre lunghezze sulla zona retrocessione, è salvo. Il pari interno con la Cremonese all’ultima giornata è una passerella per un’impresa memorabile, con una città in festa a esaltare i propri beniamini.
Francesco Scorsa ha compiuto la missione, dopo aver preso una squadra che non riusciva più a vincere. Ha reso praticamente inespugnabile il Dino Liotta, ma ha saputo conquistare punti pesanti anche in sfide complicate, scontri salvezza e su campi difficili.
Con undici vittorie (nove davanti al proprio pubblico), quindici pareggi (di cui nove a reti bianche) e dodici sconfitte, i gialloblù si piazzano al nono posto e disputeranno il loro secondo campionato cadetto della storia. Francesco La Rosa, coi suoi quindici gol, è secondo nella classifica cannonieri dietro a Totò Schillaci. Giovanni Sorce, a neanche vent’anni, ha realizzato otto reti, mentre capitan Giuseppe Romano sei, a conferma che storia passata, presente e futura si sono fuse per compiere un vero miracolo di provincia con una squadra di siciliani, scrivendo un capitolo per sempre indelebile nella storia del calcio della Trinacria.
Nell’annata seguente il Licata, con il ritorno di Aldo Cerantola in panchina, non riuscirà a ripetersi, nonostante un buon girone d’andata, chiudendo la stagione al diciottesimo e terzultimo posto e lasciando la Serie B, dove finora non è più riuscito a tornare. Nel 2025/26 le aquile gialloblù giocheranno in Eccellenza, dopo diversi anni passati in Serie D e con due fallimenti societari alle spalle, nel 1995 e nel 2014.
E mentre i suoi tifosi sognano altri palcoscenici, possono di certo ricordare con ammirazione e orgoglio una meravigliosa leggenda, la Serie B conquistata e difesa con tanti giovani, basso budget e il lavoro di tanti siciliani a testa alta.
Racconto a cura di Carmelo Bisucci