La storia di Fabian Valtolina: "Oggi faccio la guardia!"
Passione allenatore
«Faccio l’allenatore dell’U-15 dell’Aldini, a Milano. Ma siamo morti da marzo scorso, ci alleniamo individualmente, distanziati, senza contatto… questo non è calcio! Molti ragazzini si sono anche scocciati perché la partitella non la facciamo mai. Non si può proprio fare, infrangi un regolamento. Poi se la fai e ti beccano ci chiudono il centro sportivo. Adoro allenare i ragazzi più giovani ma solo se il programma è pluriennale altrimenti non ha proprio senso, mi cadono i pantaloni. La progettualità serve sempre, soprattutto con i più piccoli che hanno bisogno di crescere. Una delle esperienze che ricordo con più entusiasmo l’ho vissuta in Eccellenza, realizzando un’impresa: sono subentrato in un momento critico della squadra, mancavano sette partite ed eravamo terzultimi. Non si vinceva da undici gare. Alla fine ci siamo salvati evitando i play-out (un miracolo!) ma la società non ha voluto dare continuità al progetto».
La nuova vita di Fabian è una sorpresa
«Fino a prima del Covid ero coinvolto al 100% sul calcio. Solo calcio. Allenavo e ogni tanto giocavo anche, solo tra amici, ovviamente. A marzo e aprile ho usufruito del bonus statale di 600 euro ma poi la mia testa è cambiata totalmente. Ho pensato che questa emergenza sanitaria potesse durare anche tre anni e credimi, sono crollato. Non ce la potevo fare. Così ho cercato un lavoro e a settembre sono stato assunto a tempo determinato come guardia in una struttura privata di sei piani in cui facciamo turni h24. Domani – per dire – inizio alle 8 del mattino. Va benissimo, mi piace molto! Speriamo mi rinnovino». Divisa e mascherina, qualcuno ha riconosciuto Fabian Valtolina in queste nuove vesti? «Sì è successo! Anche qualche ragazzo che ho allenato. Io cerco di parlare il meno possibile, di essere molto professionale, anche perché siamo i guardiani di chi entra e di chi esce ma è capitato che qualcuno mi fermasse a parlare di calcio. Poi abbiamo il telefono sempre tra le mani, soprattutto di notte, e quando ti chiamano devi per forza di cose presentarti con nome e cognome». Tac, beccato. «Con il calcio siamo fermi, non ci sono entrate, ho una famiglia da portare avanti. Questo lavoro è diventato la mia priorità».
Tra calcio e politica
«Ho giocato e allenato la Nazionale della Padania. Ho addirittura disputato i Mondiali non riconosciuti. La Padania – ai tempi – era legata alla Lega e di base, all’epoca, era un partito che per certi aspetti supporto e sostenevo. Una tematica su tutte? La lotta all’immigrazione. Ovviamente, tornando al calcio, io volevo solo divertirmi tra amici ma sinceramente dopo la mia seconda esperienza, quella da allenatore, ho percepito che era una situazione troppo schierata politicamente. Tra l’altro era (è) un partito in cui non mi riconosco al 100%. Ho lasciato. Oggi non mi specchio in nessun partito politico, è difficile trovarne uno onesto».
Dalle lavatrici a Marco Van Basten
«Io a 14 anni lavoravo, in regola, alla ‘Zanussi‘, oggi conosciuta come ‘Rex’. L’azienda di lavastoviglie e lavatrici per intenderci. Ero già assunto. A 16 anni vado a giocare al Milan Primavera e la cosa buffa è che il Milan stesso non sapesse che avevo un contratto da un’altra parte. Per farti capire, a luglio avevo le ferie e ho potuto fare il ritiro. Ad agosto dico però al mister ‘lunedì ho il primo turno, non posso venire’ e lui mi risponde ‘ma quale primo turno scusa?’. Già. ‘Lavoro alla Zanussi’. Gelo, anzi sorpresa. Io non volevo mollare il mio primo lavoro e per una settimana/dieci giorni prendo tempo. Arrivando da una famiglia modesta so quanto sia importante il concetto di lavoro. Poi, chiaramente, arrivarono delle telefonate a casa e la situazione cambia. ‘Questa persona ci dice che devi giocare a calcio, perché sei forte, dicono tutti così’ mi ripeteva mamma. Così mi sono convinto. Ma per me giocare al Milan, al Saronno o in mezzo alla strada a me non importava, bastava dare calci a un pallone. Non avevo certe pressioni, io mi divertivo e basta». Fino a quando ha avuto l’onore di allenarsi con il Milan di Sacchi.
Sorrisi e pallone
«Il compagno più divertente? Ne ho avuti tantissimi, uno ad esempio, Filippo Maniero! Bastava parlasse in dialetto veneto e mi faceva piegare, era uno spettacolo. Ti dico anche il nome di uno che frequento ancora oggi, che ha giocato con me alla Pro Sesto e sabato, in amicizia, mi ha dato pure un baule da sistemare… Giuliano Meroni. Mi fa morire dal ridere».
Il Chino Recoba
«Ricordo quando è arrivato al Venezia, era giovanissimo, appena 21enne. Era un ragazzino, con qualche difetto tipico come arrivare in ritardo agli allenamenti. Si addormentava, gli piaceva particolarmente dormire. Ci eravamo organizzati… Ciccio Pedone andava a svegliarlo e lo portava al campo! Anche perché era dura convincere il mister Novellino. ‘Fa niente se arriva un po’ dopo’, figurati. Diciamo che dopo qualche settimana il Chino si è messo in carreggiata e ha dimostrato tutto il suo valore».
Scaramanzia
«Non sono un tipo scaramantico ma è successo in più di un’occasione ai tempi del Venezia che mangiando un pezzo di panino del mio magazziniere con, a spot, un sorso di vino, poi facessi gol o comunque una gran partita. Un giorno, prima di una sfida importante, verso le due/due e un quarto esco dagli spogliatoio per il riscaldamento ma avevo una gran fame. Vedo Pinton mangiarsi questo panino, di nascosto, così gli chiedo… ‘Posso?’. Lui in dialetto ‘tiè magnateo’. Così mi son fatto panino più vino e feci gol! Da quel momento in poi il nostro magazziniere mi ha sempre offerto lo stesso menu». Con buoni risultati.