Massimo Taibi, il figlio della provincia
La Provincia è come una mamma gelosa, che tiene i propri figli al suo fianco. Li vuole con sé, non sopporta l’idea di privarsene e vederli partire, indipendentemente dalla destinazione.
Nel calcio il mondo della Provincia è visto, da tutti i protagonisti, come un trampolino, in grado di farti spiccare il volo verso i palcoscenici più prelibati.
Ma non sempre così.
Per alcuni esiste un filo invisibile, ma indistruttibile, che li tiene legati alla propria dimensione. Concedendo seconde chance, a volte, tarpandone le ali in altre occasioni.
Massimo Taibi è il classico figlio della Provincia. Uno dei prediletti, che la mamma gelosa non ha voluto lasciar partire e andar via. Ma che ha saputo ricompensare con qualcosa che resterà per sempre.
Da Palermo a Trento. Fino al Milan
Taibi Massimo nasce il 18 febbraio 1970 a Palermo. A Massimo piace, da matti, giocare a calcio.
Ma, strano ma vero, con la squadra della propria città, il Città di Palermo, non riuscirà mai ad avere nulla a che fare. Gli inizi si chiamano infatti AMAT (l’azienda municipalizzata della città), poi Mediatrice, quindi Cosmos. Tutte realtà rionali del capoluogo siciliano.
Infine il Licata, Stargate verso un’altra dimensione, come successo per un certo Zdenek Zeman, che quando Taibi arriva è appena andato via, per insegnare calcio al resto d’Italia.
Attaccante, portiere, attaccante ancora. Finchè il suo allenatore Natale Alamia non gli indica lo spazio che intercorre tra i pali, dicendogli: “Quella, d’ora in avanti, sarà casa tua”.
E il signor Alamia ha ragione da vendere. Perché dopo un proficuo prestito secco al Trento, che a uno cresciuto nel profondo Meridione, deve essere parso come un trasferimento al Polo Nord, arriva un fax con un’offerta da 6, dico SEI, miliardi di lire, che porta il giovane Massimo niente meno che al Milan.
Inizia qui il primo viaggio di Taibi lontano da casa. Lontano dalla provincia.
Un veloce rientro
Arriva ben presto, anche, il primo ritorno alla propria realtà.
Dopo un anno trascorso a fare la muffa come terzo portiere in rossonero, arriva un altro prestito al Como. Prima del trasferimento a titolo definitivo al Piacenza.
In riva al Po, Massimo Taibi trova finalmente la sua definitiva dimensione.
Squadra tutta italiana, che sale e scende tra A e B. Ma che soprattutto crede in lui, proponendolo come titolare fisso, inamovibile.
L’avventura in maglia Piace esalta le doti da numero uno di Massimo.
Grande agilità, a dispetto di un fisico importante e possente. Abilità impressionanti nel parare i rigori. E quella spettacolarità, anche negli interventi più “semplici”, che tanto piace a fotografi e tifosi.
Dopo 5 anni in biancorosso, fatti di promozioni e salvezze, vive la soddisfazione di vedere tornare sui propri passi un grande club come il Milan, che si batte i pugni sul petto e decide di riacquistarlo.
Con una valigia piena di speranze, e uno zaino di esperienza decisamente più ricco, Massimo Taibi và a giocarsi le proprie carte in quello che, nei nobili salotti, viene chiamato “il calcio che conta”.
Rossonero sbiadito
Ed ecco il primo tranello ordito dal destino, in stretta collaborazione con la famosa mamma gelosa, chiamata Provincia.
Taibi pensa di andare sul sicuro, scegliendo il Milan.
Il problema sta nel fatto che i rossoneri della stagione 1997-1998 sono, forse, lontani parenti di quelli che nell’ultimo decennio hanno dominato l’Europa in lungo e in largo.
Un’annata incredibilmente storta, quella del Diavolo, chiusa al decimo posto, e dunque fuori da una qualsivoglia competizione europea.
Incredibilmente anche una sapiente dirigenza, come quella guidata da Adriano Galliani, riesce nell’impresa di cannare quasi tutti gli acquisti fatti in sede di mercato: Ziege, Andersson, Kluivert, Nielsen, Maniero, Bogarde. Tutti ben presto bollati come “pippe colossali” dal pubblico di San Siro, e destinati ad avere maggiore gloria con altre maglie.
Taibi inizia questa funesta stagione da titolare. Salvo poi dover consegnare i guanti all’usato garantito Sebastiano Rossi, nella rivoluzione attuata da mister Fabio Capello, incapace di cavare un ragno dal buco.
A Taibi non resta che tornare, mogio mogio, di nuovo a casa, nella sua provincia. Sempre al nord, curiosamente, e per la precisione a Venezia. Dove si mette in mostra nuovamente come protagonista assoluto.
Il Manchester, quel Manchester
Ci piacerebbe avere sottomano le intercettazioni della telefonata tra Massimo e il proprio agente, quando nell’estate del 1999 il portierone scopre che si è presentato un certo Alex Ferguson, con una valigia contente 4 milioni e mezzo di sterline, intenzionato a non tornare al Manchester United senza il suo cartellino.
Vengono i brividi solo a raccontarlo.
Lo United si trova in un momento di transizione. I grandi vecchi, della prima era Ferguson, stanno pian piano lasciando il posto a una truppa di nuovi giocatori, destinati presto a far tremare l’Europa, ma che necessitano prima di un lieve ambientamento.
I Red Devils, in particolare, faticano a trovare un degno sostituto a Peter Schmeichel. Missione difficilissima, in cui falliranno nomi prestigiosi del calcio internazionale, come Barthez, Bosnich, Carrol, Howard, Van Der Gouw. E che troverà fine solo con l’arrivo dell’ex Juve Van Der Saar.
Taibi sembra essere l’uomo giusto. E il biglietto da visita che il portiere palermitano mostra al nuovo pubblico è di quelli che non si dimenticano.
Man of The Match all’esordio nella partita che, da quelle parti, più conta: quella contro il Liverpool.
Poi un pareggio deludente contro il Wimbledon, fino alla sfida dell’Old Trafford contro il Southampton.
Dove accade l’impensabile, dal momento che, nel corso del secondo tempo, quel geniaccio di Matthew Le Tissier tira una scoreggia fritta verso la porta proveniente dal parcheggio dello stadio.
Massimo Taibi legge male, malissimo, i rimbalzi del pallone. Prova la presa, ma la palla gli passa sotto la pancia, quindi tra le gambe spalancate e rotola in rete.
Un errore non da lui. Una figuraccia internazionale che, unita alle 5 pappine che lo United becca, con lui in porta, pochi giorni dopo dal Chelsea a Stamford Bridge, chiudono con troppo anticipo e molta fretta la sua parentesi al di là della Manica.
Giusto il tempo di vincere, da panchinaro, una coppa Intercontinentale in finale contro il Palmeiras, grazie a un gol di Roy Keane su assist di Giggs.
Sarà l’ultima, vera avventura di Massimo Taibi lontano dalla Sua provincia. Troppo forte e resistente quel filo invisibile che lo lega e lo riporta alle proprie radici.
È Italia di nuovo allora. E stavolta è Reggina.
La storia a Reggio
A Reggio Calabria, per il figliol prodigo, mentre forse si sta rammaricando per avere la sensazione di aver appena gettato al vento l’opportunità di una vita, arriva però il premio, che ripaga anni di sforzi e di sacrifici.
Alla Reggina, ovviamente, Massimo è titolare inamovibile. Franco Colomba crede in lui, per provare a tenere la squadra un altro anno in serie A, dopo l’impresa salvezza dell’anno precedente.
È il 1 aprile del 2001. A Reggio si respira già profumo d’estate, e al Granillo arriva l’Udinese.
Reggina impelagata nei bassifondi. Servirebbe una vittoria, per continuare a sperare. Ma al 76esimo minuto il semisconosciuto terzino brasiliano Alberto Valentim la mette, con un destro dal limite che gela il pubblico amaranto.
I ragazzi di Colomba si gettano in avanti, quindi, cercando il pari più col cuore che col gioco.
E al minuto 87 hanno a disposizione un prezioso calcio d’angolo.
Taibi guarda il mister. Se la sente, ha vibrazioni positive, vuole andare a colpire. Attende un cenno dalla panchina, che non arriva: “ne mancano ancora 3 più recupero, dove vai Massimo? Stai lì!”
Ma ormai è troppo tardi. Taibi è partito.
Il corner parte, la colpisce proprio lui, male. E la palla sfila a lato.
Sul corner seguente Mamede ci riprova. La mette ancora lì, dove c’è sempre il suo numero uno. Altro stacco di testa, ma stavolta è gol. GOL INCREDIBILE!
È il primo aprile, ma non è uno scherzo: ha segnato il portiere.
Il primo dopo Rampulla con la Cremonese; poi arriverà Brignoli del Benvevento.
Una pagina di storia, che la Provincia dedica ad uno dei suoi figli prediletti.
E Massimo Taibi non la lascerà mai più. Quel filo invisibile non lo forzerà ancora.
E chi vede, in tutto ciò, un “accontentarsi”, non ha davvero capito niente.
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