Esteban Cambiasso, l'insostenibile leggerezza di Esteban
Una guida, un esempio, un simbolo.
Coincidenze
“La nostra vita quotidiana è bombardata da coincidenze o, per meglio dire, da incontri fortuiti tra le persone e gli avvenimenti chiamati coincidenze. [...] L'uomo, spinto dal senso della bellezza, trasforma un avvenimento casuale in un motivo che va poi a iscriversi nella composizione della sua vita.”
Così scriveva Milan Kundera nel 1984 ne “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, sottolineando l’impatto che le coincidenze possono avere sulla vita delle persone.
Due anni più tardi Ramon Maddoni è sul campo del Club Social y Deportivo Parque quando rimane colpito da un bambino di sei anni. Il piccolo sta semplicemente correndo lungo il campo approfittando dell’intervallo della partita. È un fan del basket e non è minimamente attratto dal calcio. In quella corsa Maddoni “riconosce” il portamento di un calciatore. Parla subito con il padre suggerendogli di convincere il figlio a dare una possibilità al Fútbol. Il piccolo, però, non ne vuole sapere e, da quel momento, non corre più all’intervallo ma si chiude in macchina per “dribblare” le avanches dell’osservatore.
Qualche tempo dopo il fratello gioca una finale di un torneo sullo stesso campo. Maddoni mette sul piatto il trofeo: se il Parque vince, il trofeo andrà a lui ma, in cambio, il piccolo inizierà ad allenarsi. La proposta è accettata, il Parque vince e, per pura coincidenza, appunto, il bimbo, che all’anagrafe è Esteban Matias Cambiasso, inizia a giocare a calcio.
Nel piccolo club del barrio si formano un numero impressionante di futuri campioni: Juan Pablo Sorin, Juan Roman Riquelme, Federico Insua, Fernando Gago, Carlos Tevez e, soprattutto (ci torneremo dopo), Fernando Redondo.
Esteban non abbandona subito il basket, continua a giocare con profitto ad entrambi gli sport e, dalla palla a spicchi, dirà di aver ereditato la lettura del gioco e la capacità di intuire il rimbalzo del pallone.
Inizia a giocare come laterale sinistro ma, ben presto, appare evidente che comprende i meccanismi di gioco ad una velocità poco comune per l’età che ha. Passa, quindi, nelle giovanili dell’Argentinos Juniors, tempio assoluto del calcio argentino, in patria noto come El semillero (Il semenzaio) proprio per essere stato un trampolino di lancio di grandi campioni. Qui viene gradualmente spostato verso l’interno ed è in mezzo al campo che Esteban comincia a mostrare il suo vero talento.
Se era stata una coincidenza a dare il via alla sua carriera, è sempre una coincidenza, anche questa discretamente assurda, a collocarlo sotto la luce dei riflettori mondiali. È il 1995 quando Hugo Tocalli, osservatore per conto di Josè Pékerman, alla ricerca di talenti per la nazionale giovanile, assiste ad una tripletta di Esteban contro il Club Ferro. Il giorno seguente il Cuchu (soprannome datogli per la somiglianza con Juan Dìaz, un comico argentino celebre negli anni’60 detto El Cuchuflito) viene convocato dallo stesso Pekerman per il Campionato Sudamericano U17. La competizione, in realtà, era prevista per l’anno precedente ma era stata posticipata a causa del conflitto tra Perù ed Ecuador. Senza questa coincidenza, Cambiasso non avrebbe partecipato al torneo.
Da Enganche a Volante
Sul finire del ‘95 è il Real Madrid a investire su di lui per portarlo in Europa. Il Cuchu inizia a giocare nel Real Madrid B dove arriva con l’etichetta del trequartista che regala gioco. Cambiasso ha talento e personalità al punto da indossare la maglia numero dieci (piccola nota da ricordare: in squadra ci sono anche Pablo Aimar e Juan Roman Riquelme) al Campionato Sudamericano ‘97 che vede trionfare l’Argentina proprio grazie ad un gol di Esteban in finale contro l’Uruguay.
L’esperienza in Spagna, però, comincia a stargli stretta: vorrebbe giocare in prima squadra ma, come si può ben immaginare, il passaggio dal Real B alla camiseta dei Blancos, non è una passeggiata. Decide, perciò, di ritornare in Argentina per avere lo spazio che ritiene propedeutico alla sua crescita calcistica. Nell’Indipendiente, prima, e nel River Plate, poi, il Cuchu diventa un centrocampista diverso: più aggressivo, più tattico e meno tecnico, nonostante una vena realizzativa insolita per la posizione più arretrata che ricopre. Dopo quattro anni in Argentina e un campionato vinto con il River nel 2002, Cambiasso torna a giocarsi le sue carte al Real Madrid, questa volta in prima squadra.
Il palato fine del Bernabeu, però, è troppo poco compatibile col pragmatismo del giovane Cuchu che viene snobbato e considerato un elemento così superfluo da non rinnovare il contratto in scadenza: diventa, così, a parametro zero, un nuovo giocatore dell’Inter.
L’allenatore nerazzurro Mancini ne fa da subito un perno fondamentale per il suo centrocampo: il Cuchu diventa ufficialmente un volante.
Dritto al cuore del gioco
Cambiasso ha soli ventiquattro anni quando inizia a giocare a San Siro ma l’età anagrafica non coincide minimamente con “l’età calcistica”: è un calciatore maturo, terribilmente intelligente e chirurgicamente preciso. Il suo ruolo in campo, a metà tra il regista e il mediano, richiede una doppia anima, una combinazione di lucidità e forza mentale, equilibrio e fantasia. Esteban fa sembrare tutto estremamente semplice ma, quella semplicità, non è nient’altro che la rappresentazione tangibile dell’eleganza con cui interpreta il ruolo.
“Lì nel mezzo, finché ce ne hai, stai lì” canta Ligabue in “Una vita da mediano”. Il “mezzo” di Cambiasso è un concetto molto vasto: sa essere il mediano che copre i difensori e detta i tempi di gioco, il regista che guida il contrattacco, l’incursore che, calcolando magistralmente tempi e spazi di gioco, rompe la linea difensiva imbucando il compagno o segnando, il tutto contemporaneamente e nella stessa partita.
Il Cuchu non è appariscente, non è il calciatore da “giocata”, da compilation di skills su YouTube. È il classico giocatore che quando non è in campo senti la vertigine per il vuoto che ha lasciato. Cambiasso non è, permettetemi un paragone cinematografico, la potenza dirompente e di semplice lettura de “Il ritorno del Cavaliere Oscuro”, Cambiasso è la gestione perfetta del tempo e del suono di “Dunkirk”, è l’indistruttibile equilibrio di “Oppenheimer”.
Vederlo giocare è quasi spaventoso per come anticipa movimenti e situazioni e per la capacità di essere sempre al posto giusto al momento giusto. Per capire basta cercare il video di quello che, a ragione, viene definito come il più bel gol di squadra della storia dei Mondiali di calcio. Argentina - Serbia, Mondiali 2006. Il Cuchu, al termine di un fraseggio infinito di 25 tocchi (la maggior parte di prima), segna inserendosi alla perfezione e depositando in rete un invito delizioso, di tacco, di Hernan Crespo.
Quel Mondiale rappresenterà, però, per lui la più cocente delusione della sua carriera: l’Argentina uscirà ai quarti di finale dopo un rigore sbagliato proprio dal Cuchu. “Dopo quel rigore, per venti giorni, non sono uscito di casa. Ero troppo deluso.” dirà in una chiacchierata sul web con Il Pupi Zanetti.
Monumento
All’Inter diventa in brevissimo tempo un leader della squadra. La sua comprensione e lettura del gioco lo rendono uno dei centrocampisti più forti in circolazione. La sua umiltà, la sua disponibilità, abnegazione e cultura del lavoro lo rendono un invidiabile uomo spogliatoio, un punto di riferimento di un gruppo che vince, per ben tre anni di fila, lo scudetto.
È con l’arrivo di Mourinho, però, che avviene la definitiva e più grande consacrazione della sua carriera in quella straordinaria stagione 2009/2010 che rappresenta il picco più alto della storia nerazzurra. È l’anno del celebre Triplete: l’Inter vince il Campionato, la Coppa Italia e la Champions League (che mancava dal lontano 1965) e Cambiasso ne è protagonista assoluto.
Non sono solo i trofei a consacrarlo nella storia nerazzurra ma, soprattutto, il suo attaccamento alla maglia, alla storia: resterà indelebile la foto con la Champions, dopo il fischio finale, mentre indossa la maglia dell’indimenticato Giacinto Facchetti.
Gli anni successivi, dopo la partenza di Mourinho, sono anni difficili in cui l’Inter non riesce più a ritrovarsi: cambiano allenatori e giocatori ma i trofei sono soltanto un ricordo. Nel clima di frustrazione generale, i tifosi nerazzurri scrivono anche una delle pagine più tristi della storia dell’Inter: il 04/03/2012 Cambiasso viene subissato di fischi all’uscita dal campo in un tristissimo Inter-Catania. Sedutosi in panchina, l’argentino scoppia a piangere con le mani sul capo e la maglia della tuta a coprire il volto. Una macchia indelebile su una storia d’amore degna di un film.
Nonostante il triste episodio, Cambiasso resta altri due anni in nerazzurro prima di salutare il calcio con due stagioni, a loro modo, leggendarie: prima salva il Leicester City dalla retrocessione (ed è eletto miglior giocatore della competizione), poi, vince il titolo con l’Olympiacos da assoluto protagonista.
“Cambiasso sarà un grande allenatore, lo è sempre stato in campo” dirà Zanetti in numerose interviste. È il lascito di un giocatore che non fa della giocata, del gol, dell’assist la sua ossessione. L’ossessione del Cuchu è sempre stata quella di comprendere il calcio, di migliorarsi plasmando il suo gioco seguendone evoluzioni e rivoluzioni. In quella, epocale, guidata da Pep Guardiola, con “spazio” e “tempo” come dogmi fondamentali, Cambiasso rappresenta l’equilibrio: custode dello spazio e lettore impareggiabile dei tempi di gioco.
Il Cuchu, che al calcio ha iniziato a giocare per caso, resta una delle intelligenze calcistiche più raffinate, un antidivo. A momenti un direttore d’orchestra, a momenti un tanghero, capace, come diceva Carlos Edoardo Gavito di “ballare il silenzio”.
Racconto a cura di Emilio Picciano