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Marco Rossi, la rivincita di un uomo qualsiasi

In un ristorante di Budapest la vita dell’allenatore piemontese cambia per sempre. Dagli esoneri in serie C alla gloria in Ungheria. Fino all’europeo, vissuto da protagonista assoluto con la nazionale magiara, nonostante un girone di mostri.
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Marco Rossi - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Alle elementari i problemi di matematica spesso erano così:

“Il signor Marco Rossi va al mercato con 10mila lire. Compra due mele, ciascuna delle quali costa mille lire. Se le arance costano 2mila lire l’una, quante ne potrà comprare con i soldi che gli restano?”

Ma ad Euro 2020, si sarebbe anche potuto porre un quesito del genere:

“Il signor Marco Rossi allena la Nazionale dell’Ungheria. Prima dell’inizio degli Europei si fa male il giocatore più forte che ha. Come farà a fare bella figura in un girone che comprende i campioni del mondo e i campioni d’Europa in carica, oltre che la Germania?”

Solo che Marco Rossi non sono un nome e un cognome tra i più popolari in Italia, scelti a caso per indicare un uomo qualsiasi. È un allenatore che, a un certo punto della carriera, stava per diventare un uomo qualsiasi. Ma in un ristorante di Budapest ha visto cambiare la sua vita e la sua carriera.

L’ultimo libero

Il nostro uomo qualsiasi è stato innanzitutto un calciatore. Difensore, o per meglio dire libero. Uno degli ultimi a non venire fagocitati dall’evoluzione del football.

Ragazzo del Filadelfia, dunque cresciuto nel Torino. Ha fatto tanta B, non poca A. Ha piantato radici a Brescia, dove ha giocato per 5 stagioni, e si è tolto lo sfizio di due avventure lontano dal Belpaese: una addirittura nello sconosciuto (almeno calcisticamente) Messico, all’America, l’altra in Germania, a Francoforte.

Poi ha deciso di fare l’allenatore, partendo dalla Lumezzane, dove incrocia il suo percorso con un certo Mario Balotelli, che però non può fare esordire perché il ragazzo non ha ancora compiuto i canonici 16 anni.

Va quindi a Busto Arsizio, ad allenare la Pro Patria, e tra un esonero e un richiamo trascorre lì quasi 3 anni.

Lo Spezia rappresenta una buona occasione. È vero, i liguri sono ripartiti dalla Serie D, ma si tratta pur sempre di una piazza importante, con un buon seguito. Arriva secondo, e ahilui non passa i playoff nazionali, venendo cacciato nuovamente. 

Tocca quindi alla Scafatese e poi alla Cavese.

È chiaro che la sua carriera da mister non stia spiccando propriamente il volo. Gli vanno comunque concesse parecchie attenuanti, dal momento che spesso è costretto a lavorare in ambienti difficili, con società dalle casse vuote, che non sempre riescono a garantire gli ingaggi pagati né tantomeno hanno possibilità di investire.

Ma nel calcio, si sa, contano spesso i risultati. E se non arrivano, a pagare è quasi sempre l’allenatore.

L’ennesimo esonero di Cava dei Tirreni impone però delle riflessioni nella famiglia del nostro signor Marco Rossi.

Smetto quando voglio

Che fare? Vale la pena continuare? Riprendere a peregrinare su e giù dallo stivale alla ricerca dell’ambiente giusto?

Finora non ha guadagnato né poco né troppo, ma un buon padre di famiglia deve pensare anche al futuro dei propri figli.

Il fratello ha uno studio di commercialisti. “Oh Marco, fai quello che ti senti, ci mancherebbe. Sappi che se vuoi qui il posto c’è eh”.

E ci pensa davvero Marco. Di mandare tutto a quel paese, di salutare per sempre il mondo del calcio, del quale fa parte da sempre, di diventare non più “mister Rossi” ma un Marco Rossi qualsiasi, come ce ne sono tanti.

Fortunatamente, si prende del tempo per riflettere. E per schiarirsi le idee programma un viaggio a Budapest.

Budapest. La città del destino

Il bello di un viaggio sono gli imprevisti. Puoi programmare finchè vuoi, ma sono le cose che ti accadono lontano da casa e che non ti aspetti quelle che ti fanno apprezzare veramente il posto dove sei e l’esperienza che stai facendo.

Dialogo tra Marco Rossi e un suo amico a Budapest. 2011.

“Marco, ma lo sai che io conosco Fabio Cordella, il direttore sportivo dell’ Honved? La miglior squadra, insieme al Ferencvaros, dell’Ungheria? Dai, vieni nel ristorante che ti ho mostrato ieri, che ti organizzo un incontro”

“Sì, la conosco la Honved. La squadra di Puskas. Ma dai, secondo te questo Cordella ha tempo da perdere con uno sconosciuto allenatore italiano che è appena stato cacciato in serie C dalla Cavese? Non scherziamo, su”

Non sappiamo cosa sia successo prima, durante e dopo quell’incontro. Sta di fatto che il 1 giugno del 2012 viene nominato allenatore della prima squadra dell’Honved.

Il ritorno della grande Honved

I rossoneri sono precipitati in un lungo medioevo. Gli anni di gloria sono passati, e non vincono un campionato dal 1993. A Budapest si sono abituati a veder festeggiare i cugini del Ferencvaros, piuttosto che dell’MTK o dell’Ujpest. Ma quella stagione si preparano a giocare l’Europa League. Dettaglio non da sottovalutare.

Marco Rossi deve costruire letteralmente una squadra e una società. Le strutture sono quelle che sono, roba che Cava dei Tirreni a confronto è il Real Madrid. 

Il primo anno arriva terzo e porta la squadra di nuovo in Europa League. L’anno dopo si dimette, con l’Honved nona.

Nel 2015 viene però richiamato su quella stessa panchina, dove nel frattempo un manipolo di allenatori si sono alternati, senza cavarci mai un ragno dal buco.

Salva la squadra il primo anno, il secondo arriva settimo, ponendo le basi per il successo del terzo anno, dove conquista il titolo di campione d’Ungheria, 24 anni dopo l’ultima volta. Viene pure nominato miglior allenatore del campionato, come è ovvio che sia.

Dopo aver lasciato il club, perché le divergenze economiche a un certo punto diventano insanabili, si toglie pure lo sfizio di andare in Slovacchia al Dunajska Streda, portando la squadra al terzo posto e alla qualificazione per l’Europa League, miglior risultato nella storia del club.

Road to Euro 2020

Gli ungheresi però sono un popolo che rimane affezionato ai propri condottieri. Lo richiamano nel 2018, solo che stavolta non per allenare uno dei club di Budapest, ma per allenare la nazionale magiara, al posto dell’esonerato Leekens.

Lui accetta. Gli chiedono di costruire una nazionale credibile, che non faccia brutte figure e di far crescere i giovani. Lui fa molto di più, qualificandosi, a scapito dell’Islanda, per l’Europeo del 2020, che la pandemia farà slittare al 2021.

Certo, gli ungheresi non hanno grosse aspettative il giorno dei sorteggi. Squadra nella fascia più bassa, di sicuro una o forse due big sono destinati a incrociarle. Ma un girone con Portogallo, Francia e Germania no, proprio non se l’aspettavano.

Ma il peggio deve ancora venire. Perché il talento più cristallino della squadra, Dominik Szoboszlai, del Lipsia, a gennaio si fa male agli aduttori, ed è costretto a dare forfait.

Inevitabilmente, nessuno, nemmeno il magiaro più ottimista è disposto a credere nel successo dei ragazzi di Mister Rossi. La squadra ha sì dei veterani affidabili, come il portiere Gulacsi o il puntero Szalai, sì dei ragazzi interessanti come Attila Szalai, Schafer o Sallai (che a Palermo forse qualcuno ricorda). Ma i vari Mbappè, Ronaldo, Griezmann, Havertz, Benzema, Bruno Fernandes, Muller paiono ben altra cosa.

Ma il nostro signor Marco Rossi ha forgiato un gruppo di veri legionari. Venderanno cara la pelle, tenteranno di giocare a calcio e di stupire l’Europa, sostenuti (unica nazionale dell’Europeo) da uno stadio totalmente esaurito.

Bloccano per 3 quarti di partita il Portogallo, salvo poi soccombere ai colpo del re dei bomber Cristiano Ronaldo.

Imbarazzano la Francia campione del Mondo, costringendola sul’1 a 1 e a momenti buttano fuori la Germania, salvata solo da un tiro di Goretzka deviato nel finale.

Non ce l’hanno fatta a qualificarsi, ma si sono guadagnati il rispetto e gli applausi di tutto il pubblico europeo. E sono stati tanti gli elogi per il signor Marco Rossi, per il suo lavoro svolto.

Colui che stava per diventare un uomo qualsiasi. Ma che ha fatto capire che, anche con un nome così comune, si può essere davvero speciali.

Le lacrime di Marco Rossi dopo lo storico pareggio della sua Ungheria contro la Francia
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