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Siniša Mihajlović, l'infallibile

Via gli alibi, via le scuse. Se partivi con Sinisa, certe cose non servivano. La certezza è sempre stata una sola: il raggiungimento dell’obiettivo. Con la stessa accuratezza con cui, su punizione, puliva i pali da qualsiasi ragnatela.
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Siniša Mihajlović - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Gli ultimi giorni sono stati duri, tremendi, difficili. Sinisa ci ha lasciato, non c’è più. Una infame leucemia si è portata via questo campione, amato da tutti i tifosi delle squadre con cui ha giocato (e non solo).

Nei notiziari, attraverso il tubo catodico, molti personaggi del mondo del calcio, e dello sport in generale, si sono spesi per raccontare la storia di colui che, da tutti, è stato definito come un “guerriero”.

L’anima è sempre stata quella, forgiata da un orribile conflitto, esplosogli praticamente nel giardino di casa. Il carattere anche, con un coraggio da leoni, palese a tutti nel momento in cui si è ritrovato a dover fare i conti con la malattia da sotto i riflettori, senza il timore di mostrare la fragilità del suo essere umano.

Non va dimenticato, tuttavia, quanto Sinisa sia stato anche allenatore. Un grande allenatore.

Tutto d’un pezzo, mai disposto per nessun motivo a scendere a compromessi. Ma sempre in grado di traghettare la barca in porto.

Era infallibile quando si avvicinava al pallone, per calciare uno dei suoi memorabili calci di punizione. Altrettanto infallibile è stato nel momento in cui si è seduto in panchina, centrando sempre l’obiettivo imposto dalla società.

I tifosi della Lazio contavano “e se tira Sinisa è gol”.

Ma se allena Sinisa, è gol ugualmente.

A Bologna il principio ...

Il passaggio dal Sinisa giocatore/allenatore è piuttosto immediato, repentino. Inizia infatti un primo periodo di apprendistato al fianco dell’amico Roberto Mancini, sulla panchina dell’Inter. In realtà, tutti i suoi precedenti allenatori, si scoprirà poi, già sapevano che quella sarebbe stata la sua strada. Perché “Sinisa allenava anche in campo”. Figlio soprattutto dell’”anarchia organizzata” messa in scena dal suo mentore Sven Goran Eriksson, che lasciava molta libertà, ai propri giocatori, di gestirsi internamente i problemi durante la partita.

Quando decide di iniziare a camminare con le proprie gambe, lo fà da Bologna. Paradossalmente inizio e fine, di una carriera che avrebbe avuto ancora tanto, tantissimo da dire.

Nell’interregno tra Arrigoni e Papadopulo conquista ben 20 punti, da esordiente, fondamentali per mettere in ghiacciaia la salvezza finale del club rossoblù.

L’anno seguente, e siamo nel 2008, subentra ad Atzori sulla panchina del Catania. Raccoglie una squadra terzultima in classifica, e la conduce ad una salvezza tranquilla, conquistata quasi in pantofole e pipa. A fine anno i punti degli etnei saranno 45 (36 quelli conquistati con il serbo alla guida). Un record in serie A, che negli anni successi El Cholo Simeone, l’Areoplanino Montella e Rolando Maran miglioreranno di volta in volta.

Arriva dunque alla Fiorentina, raccogliendo la pesante eredità di Cesare Prandelli. Il nono posto alla prima stagione gli vale l’interessamento dell’Inter, tri-campione di tutto, alla caccia di un dopo-Mourinho. Sinisa rifiuta, decidendo di continuare il lavoro a Firenze. Salvo poi essere impietosamente esonerato, dopo una sconfitta casalinga contro il Chievo, in favore di Delio Rossi.

L’unico neo, in un percorso di successo, potrebbe essere rappresentato dall’esperienza alla guida della Nazionale Serba, terza classificata nel girone di qualificazione ai Mondiali del 2014 dietro a Belgio e Croazia. Ma quella Serbia è forse una delle nazionali tecnicamente più povere di talento, che la solitamente prospera terra dei Balcani abbia mai partorito. Non si era qualificata prima ad Euro 2012, non si qualificherà nemmeno poi a Euro 2016. E quindi si fatica a dare troppe colpe al motivatissimo Sinisa Mihajlovic.

L’occasione per ripartire, in serie A, gliela dà la Sampdoria. Che il Sergente mantiene, per lunghi tratti di campionato, in zona Champions League. Un settimo, ottimo, posto anche il secondo anno (che gli valgono pure il premio Football Leader come Miglior Allenatore). Poi l’addio, perché per lui forse è arrivata la grande occasione.

Il Milan. Che peccato…

Il 16 giugno 2015 viene annunciato, infatti, come nuovo allenatore del Milan. Il club rossonero sta cercando di ripartire, dopo lo scudetto vinto qualche anno prima con Allegri e l’addio di tanti senatori che, per decenni, hanno formato la spina dorsale del Diavolo Rossonero.

Sinisa sembra l’uomo giusto. Perché crede nei giovani, crede nel progetto, e soprattutto ha la fame che i tifosi del Milan hanno a loro volta, e cercano nel proprio condottiero.

Un vero peccato che l’allora dirigenza rossonera non abbia avuto pazienza, con lui. Nemmeno per fargli disputare la finale di Coppa Italia che si era meritatamente conquistato, e che Christian Brocchi si andrà a giocare al posto suo.

Nonostante un derby della Madonnina stravinto (3-0), gli è fatale un periodo negativo di 5 partite e una sconfitta casalinga contro la maramaldeggiante Juventus, padrona assoluta della scena in serie A.

Lascia in eredità, a Milanello, la sua miglior media punti da allenatore, e un gioiellino di nome Gianluigi Donnarumma, portiere lanciato da Sinisa in campo quando ha solo 16 anni e ancora qualche dente da latte. E che farà la fortuna del Diavolo e della Nazionale Italiana, fino all’Europeo vinto sotto il cielo di Wembley (con Gigio votato MVP del torneo).

A Bologna la fine.

Mihajlovic riparte quindi dal Torino. E anche qui l’impatto è subito positivo, con i granata che girano la boa di metà campionato con il record di punti dell’era Urbano Cairo (29), e chiudendo la stagione con il sesto miglior attacco (71 reti gonfiate).

L’anno successivo gli è fatale ancora la Juventus, che batte il Toro nel derby di Coppa Italia, inducendo il club a sollevarlo dall’incarico e a chiamare Walter Mazzarri.

Dopo un mordi e fuggi allo Sporting Lisbona, durato appena 9 giorni, e che meriterebbe una parentesi a parte, ecco l’approdo a Bologna. Capolinea malauguratamente anticipato di questo percorso.

Un amore lungo 3 anni, quello tra Sinisa e il club felsineo. Tanto forte quanto doloroso è stato l’addio. Arrivato però in un momento in cui la malattia lo stava,di fatto, costringendo allo smart-working. Roba impensabile per uno come lui, mostro di campo, abituato alla fatica, al freddo e al fango della prima linea.

II Sinisa allenatore

Da allenatore, Sinisa è stato sicuramente uno dei più preparati. L’insegnamento di maestri come Boskov, Petrovic, o come il già citato Eriksson, gli hanno consentito di mettere in campo squadre sempre organizzate e credibili. In un campionato molto difficile, da un punto di vista tattico, poi, come la serie A.

Con i suoi uomini, poi, il serbo è stato tutto: sempre mister, a volte papà e a volte pure fratello. E non è un caso se in molti, salutandolo per l’ultima volta, hanno ricordato quanto Sinisa abbia insegnato e quando abbia saputo credere in loro.

Sinisa ti guardava dritto negli occhi, spogliandoti di alibi, scuse e distrazioni. E ti faceva mettere nello zaino tutte le tue paure e le tue incertezze, chiedendoti semplicemente di seguirlo.

Non ha mai attraversato sentieri facili. Anzi. La via è stata spesso contrassegnata da intoppi e imprevisti.

Ma la destinazione è sempre stata garantita.

Perché lui è, anzi purtroppo, era Sinisa Mihajlovic. Detto l’Infallibile.

 

Leggi anche la storia di un amico di Mihajlovic, scopri: Zdeněk Zeman, il mago boemo.

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