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Hernan Crespo, l'uomo delle finali

Pochi attaccanti sono riusciti a farsi amare a prescindere dai colori. Hernan Crespo è stato un democratico: ha donato gol con tutte le sue maglie, a tutti i suoi tifosi, indistintamente. Perché, come lui stesso dice, dove non arrivano le gambe, arriva il cuore.
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Hernan Crespo - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Buenos Aires, 1990. Un ragazzino siede in panchina, guarda i suoi compagni giocare, scalpita. Vorrebbe entrare in campo, sentire il suono dei tacchetti, lanciarsi su ogni pallone. La panchina pesa così come pesa quella maglia che indossa. In Argentina non è una cosa così comune indossare la maglia del River, anche se quella delle giovanili. Guarda le occasioni dei suoi compagni e vorrebbe essere lui lì, sul prato, ad inseguire quella che è la sua passione: il gol.

Lo sport, così come la vita, è questione di perseveranza. Solo tre anni più tardi quel ragazzino alzerà le braccia al cielo ben tredici volte con la maglia dei Los Millonarios. Quel ragazzino col capello arruffato, annoiato dall’ennesima panchina della stagione, era Hernàn Jorge Crespo.

Valdanito

Il giovane Hernàn, dopo un periodo non felicissimo nelle selezioni giovanili, viene convocato in prima squadra senza aver disputato neanche una partita con la maglia della Primavera. È incredulo quando il collaboratore del tecnico Daniel Passarella gli comunica la volontà del mister di portarlo in ritiro con la prima squadra.

In prima squadra, lui, che al provino c’era andato senza neanche sapere cosa fosse. “Sono andato solo per giocare, per divertirmi con un amico”, dirà anni dopo. E’ l’età delle prime volte per Crespo: il primo gol al Monumental (lo stadio del River), il primo gol in un Superclàsico contro gli eterni rivali del Boca, il primo titolo di capocannoniere ( del torneo di Clausura, a soli 19 anni) e la prima convocazione in nazionale maggiore. L’Argentina è reduce dalla vittoria della Copa America del 1991 e del 1993, trascinata dai gol di un giovane centravanti che farà la storia, Gabriel Omar Batistuta.

Gli argentini che, da sempre, hanno un rinomato palato fine quando si parla di calcio, impazziscono per il Valdanito (così viene soprannominato il giovane Crespo per la sua somiglianza con la leggenda Jorge Valdano). L’esplosione non tarda ad arrivare e, arriva, nella massima competizione per club sudamericana: la Copa Libertadores.

È il 26 Giugno 1996. Il River gioca al Monumental la gara di ritorno della finale dopo la disastrosa partita dell’andata terminata 1-0 per gli avversari dell’America de Cali. Al sesto minuto del primo tempo Hernan si lancia su un cross di Ortega dalla destra e fa subito uno a zero. È, però, al 59’ che quella partita lo consacra alla storia quando, con uno stacco imperioso, realizza di testa la rete del 2-0. Il River vince la sua seconda Libertadores trascinata dalle sue dieci marcature nella competizione.

È un saggio di completezza e talento quello che mette in scena il Valdanito in Libertadores: segna in tutti i modi possibili, di testa, al volo, attaccando l’area, persino di chilena, contro lo Sporting Cristal.

La Chilena è la rovesciata in lingua spagnola, un termine coniato in onore di David Arellano, un attaccante cileno che realizzò questo gesto tecnico, sconosciuto in Europa, durante una tournée del Colo Colo in Spagna. I cronisti spagnoli incantati dalla giocata, non sapendo come definirla, la chiamarono Chilena.

“Il gol ci riporta istantaneamente all’infanzia, dunque non ci sorprende vedere un uomo grande e grosso arrampicarsi sulla rete metallica, fare l’aeroplanino o ballare con la bandierina del calcio d’angolo a una musica allegra che gli esce dall’anima e che solo lui può sentire” diceva Jorge Valdano, leggendario attaccante dell’Argentina campione del mondo del 1986, descrivendo la magia del gol.

Crespo, proprio a suon di reti, diventa l’idolo dei Los Millonarios, idolo di un presidente che prova, in tutti i modi, a fare in modo che quella finale non sia l’ultima partita di Hernan con la maglia del River. Le sirene europee, però, sono frastornanti, potenti, convincenti e, così, nell’estate del 1996, Crespo lascia la sua amata Argentina e vola in Italia, direzione Parma. 

Un sogno chiamato Italia

Crespo arriva in Italia dopo la medaglia d’argento conquistata con l’Argentina ai Giochi Olimpici di Atlanta ‘96 (in cui si laurea capocannoniere). Il suo arrivo, però, è tutt’altro che semplice. Atterra a Parma il 14 Agosto carico di entusiasmo, desideroso di iniziare la sua nuova vita nel paese che sogna da sempre.

Ad agosto, però, le grandi città si spopolano per le ferie e, quella che trova è una Parma completamente deserta. “Non avevo idea di cosa fosse il Ferragosto” dirà anni dopo. Complice la mancata preparazione estiva a causa delle Olimpiadi e un problema fisico dovuto alla crescita diagnosticatogli appena arrivato, Crespo esordisce con la maglia crociata solo alcuni mesi dopo.

“I primi mesi di allenamento mi catapultarono in una realtà totalmente nuova e inaspettata. Stentavo, infatti, a capire il motivo per il quale mi veniva costantemente spiegato cosa fare e come muovermi in campo. Mi chiedevo continuamente il perché. Non hanno forse visto le cassette di quando giocavo in Argentina? Fino a che non ho capito. Non mi volevano insegnare a giocare calcio, mi volevano insegnare a giocare "nel calcio". Ed in questo ho avuto la fortuna di trovare un allenatore determinato, come del resto ero io nel voler imparare, emergere e far carriera: Carlo Ancelotti.”

Nonostante i gol stentino ad arrivare, nonostante qualche fischio del Tardini, Ancelotti continua a credere nelle doti di Crespo che, fino a febbraio, realizza una sola rete (nella sua seconda partita in Serie A contro l’Inter ad ottobre). Da febbraio in poi, però, ripaga la fiducia del mister: realizza ben undici gol trascinando il Parma nella lotta scudetto contro la Juve (terminata al secondo posto) e alla prima qualificazione in Champions League.

L’avventura di Ancelotti sulla panchina dei ducali si chiude l’anno successivo. Il Parma non riesce ad esprimersi allo stesso modo e chiude al sesto posto un campionato iniziato con grandi aspettative. Crespo realizza altri 12 gol, garantendosi la convocazione ai Mondiali di Francia del 1998. Nonostante la presenza di Passarella sulla panchina, colui che lo aveva fortemente voluto al River, Crespo, chiuso dall’imponente presenza di Batistuta in attacco, gioca soltanto contro l’Inghilterra.

Tornato in Italia Hernàn trova un Parma rivoluzionato dagli arrivi di Juan Sebastian Veron e Alain Boghossian. Sulla panchina, inoltre, siede Alberto Malesani. È la stagione della leggenda. Il Parma conquista la Coppa Italia e la Coppa UEFA e Crespo è l’autentico trascinatore della squadra: segna 26 gol in stagione, decidendo la doppia finale (memorabile il suo gol di tacco) contro la Fiorentina di Batigol e la finale europea aprendo le marcature nel 3-0 rifilato al Marsiglia.

Un asesino de las redes

famèlico agg. [dal lat. famelĭcus, der. di fames «fame»] (pl. m. -ci). – Fig., poet., avido, bramoso

Crespo, a chi gli ha chiesto un aggettivo per definirsi, ha sempre risposto “perseverante” ma, famelico, è probabilmente quello che descrive meglio il suo modo di stare in campo. Basta osservare come, unendo magistralmente irruenza ad eleganza, attacca lo spazio sui cross.

È, letteralmente, “un’ira di dio”: sa gestire la palla e servire i compagni, calcia benissimo di destro e sinistro, è letale davanti al portiere, pericolosissimo dalla distanza e, poi, di testa è assolutamente perfetto. Uno dei migliori colpitori della storia. Crespo, poi, infiamma gli stadi. Le sue esultanze sono sfrenate, inarrestabili, piene di grinta. E, soprattutto, Crespo è decisivo.

Ad agosto 1999 il Valdanito decide, infatti, un’altra finale: la Supercoppa Italiana contro il Milan. Diventa, quindi, idolo e simbolo dei ducali, continuando a segnare senza sosta, contendendosi fino all’ultima giornata il titolo di capocannoniere proprio contro Batistuta (lo vincerà poi Andrij Schevchenko).

 

ll destino, a volte, è curioso, imprevedibile, quasi magico. Al termine della stagione lui e Batistuta vengono acquistati, rispettivamente, dalla Lazio e dalla Roma. Hernàn è il regalo, costato 110 miliardi di lire, che la Lazio, campione di Italia, si concede per cercare nuovamente la corsa al titolo. Crespo sogna di poter finalmente vincere il Campionato Italiano. Roma, poi, è più simile a Buenos Aires: è una metropoli e il derby della Capitale gli ricorda il Superclasico di Argentina.

Il destino, dicevamo, è curioso, imprevedibile, quasi magico, spesso, beffardo. Crespo segna ben 26 gol in stagione, diventando per la prima volta capocannoniere della Serie A, gioca una stagione strepitosa, porta nuovamente a casa la Supercoppa ma, quel tanto agognato scudetto, lo vince Batistuta con la Roma.

Hernàn gioca un altro anno con la maglia della Lazio, un anno privo di soddisfazioni di squadra prima di passare, al termine del tragico Mondiale del 2002, all’Inter.

Milano-Londra A/R

Moratti decide di puntare sul Valdanito per colmare il vuoto lasciato dal Fenomeno e per affiancare Vieri. I due si trovano a meraviglia e si “dividono” le competizioni: Vieri segna 24 gol in campionato, Crespo 9 gol in Champions League.

Insieme sono bellissimi da vedere, spietati, difficili da contenere, tignosi e decisivi. Da una loro meravigliosa combinazione nasce uno dei goal più belli della stagione: un colpo di testa da manuale del calcio che Crespo realizza, contro l’Ajax in Champions League, proprio su assist di Bobo.

Il destino, però, ancora una volta, non gli sorride: un infortunio muscolare agli adduttori lo tiene lontano dai campi ad inizio 2003 (Moratti proverà a tamponare l’emorragia infortuni prendendo un ormai spento Batistuta), in Campionato finisce, ancora una volta, secondo dietro la Juve e la cavalcata in Champions si conclude con il doppio pareggio che premia i “cugini” del Milan per la regola dei goal in casa e trasferta.

Nonostante un buon bottino di gol in stagione, Moratti decide di vendere Crespo al Chelsea che, sotto la nuova presidenza del magnate Roman Abramovic, ha una rosa competitiva per puntare alla vittoria della Premier League. È un’annata con poche luci e molte ombre quella che Hernàn vive a Londra. Complice una serie sfortunata di infortuni, non riesce a trovare continuità e non sboccia mai l’amore con la tifoseria.

A fine anno, perciò, decide di tornare in Italia, e passa, in prestito, al Milan, motivando così la sua scelta: “Quando si è in difficoltà si cerca supporto nella famiglia, nei genitori. Ancelotti è il mio genitore come allenatore”.

Quando arriva non è fisicamente al meglio e lo staff medico cerca di riabilitarlo per farlo tornare al top della forma entro novembre. Hernàn, ancora una volta, persevera e da novembre in poi comincia a macinare gol. La stagione sembra quella buona per tornare a vincere un trofeo continentale. Il club rossonero pullula di talenti. Una roba che a leggere l’11 titolare vengono i brividi. Il Milan vola in Champions League e raggiunge, da favorita, la finale.

È ormai chiaro che Crespo, quando gioca una finale, è, sempre, sempre, decisivo.

È il 25 Maggio 2005 e, al primo minuto della partita, lo Stadio Ataturk, sponda rossonera, esplode di gioia: il Milan è in vantaggio. Gol del capitano, Paolo Maldini. Il primo tempo è un assoluto dominio milanista e, sul finire dei primi 45’, entra in scena il Valdanito: al 38’ deposita in rete un assist al bacio di Shevchenko, poi, al 44’, su una palla geniale di Kakà, supera Dudek con un pallonetto millimetrico. Crespo diventa, così, l’unico giocatore a segnare una doppietta in finale di Libertadores e in finale di Champions League.

“Era tutto perfetto. Sembrava un sogno”, dirà Hernàn anni dopo. “Era”, appunto, perchè la finale la vince il Liverpool. Sei minuti di straordinaria follia riaprono una partita già finita nel primo tempo. La lotteria dei rigori, poi, trascina il Milan nell’incubo più grande della propria storia.

Perseverare

La storia di Crespo ci insegna che, spesso, le seconde possibilità, quelle che arrivano dopo le delusioni più cocenti, possono regalarci enormi soddisfazioni. La sua è la storia di un uomo che insegue il suo sogno da quando è bambino, che crede nel monito “il lavoro paga sempre”.

Terminato il prestito al Milan, infatti, ritorna a Londra e qui, sotto la guida di Mourinho, fa “pace” con la Premier, vincendo il suo primo titolo nazionale in Europa scardinando più e più volte le arcigne difese inglesi. L’estate, però, gli regala l’ennesima brutta sorpresa. È, finalmente, la punta di diamante della nazionale argentina che inizia la competizione come una delle squadre favorite. Ancora una volta, però, l’Albiceleste si scioglie come neve al sole uscendo ai quarti di finale contro la Germania. È l’ultima grande competizione nazionale a cui parteciperà Crespo.

Dopo la delusione in terra tedesca, per l’ormai maturo attaccante argentino, c’è ancora un nodo da risolvere: la Serie A. I dirigenti nerazzurri che, due anni prima, lo avevano scaricato puntano di nuovo su di lui. Crespo, dal canto suo, non aspetta altro che tornare in Italia, il suo secondo paese. E, anche all’Inter, la seconda chance è quella giusta. Diventa il miglior marcatore della rosa e, finalmente, vince quel trofeo che aveva inseguito per anni.

Da qui, cominciano quelle che sono le ultime stagioni della sua straordinaria carriera. Non è un vero e proprio tramonto quello di Hernàn. Lui, abituato da ragazzino alla panchina, continua a fare, anche giocando di meno, quello che ha sempre fatto: segnare. Lo fa all’Inter, al Genoa e, poi, al Parma, dove diventa il più grande marcatore di sempre della storia del club.

“Quando siamo in Italia, siamo stanchi dell'Italia. Ma quando non siamo in Italia, l'Italia manca” aveva detto, ai giornalisti, quando giocava in Premier. Non è casuale, infatti, che, proprio in Italia, nella sua Parma, conclude la carriera da calciatore ed inizia quella di allenatore.

Parma lo ha accolto, lo ha aspettato, lo ha visto crescere come un genitore ed Hernàn, pur girando il mondo, l’ha ripagata con l’eterna fedeltà. “Nella mia vita ho baciato solo due maglie: quella dell'Argentina e quella del Parma".

Crespo è sempre stato un giocatore pragmatico, coerente: in Argentina è il più grande centravanti di sempre dopo Batistuta, a Parma, invece, è, a furor di popolo, il giocatore del secolo.

Racconto a cura di Emilio Picciano

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