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Francesco Colonnese, missione compiuta Ciccio!

Il grande no della squadra della propria città. E poi una lunga rincorsa. Da Giarre a Wembley, e poi ancora più su, a scrivere il proprio destino. Diventando uno dei difensori rivelazione degli anni ’90, fino ai successi con Inter, Lazio e Italia Under 21.
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Francesco Colonnese - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Capita che, nel proprio percorso professionale, ci si veda sbattere la porta in faccia e dire di no. “Non sei adatto”, “non ti reputiamo all’altezza”, “non farai strada”.

A questo punto ci sono due modi per reagire: perseverare, testardamente, sperando di convincere del contrario i propri detrattori; oppure fare tesoro anche di quest’amarezza e ricominciare da capo, sempre tenendo bene a mente dove si vuole arrivare, qual è l’obiettivo finale.

Il “no” che Francesco Colonnese, detto Ciccio, riceve nel 1991 fa però davvero male. Perché quell’anno a sbarrargli le porte è il Potenza, la squadra della sua città. Dopo averlo prelevato dall’Avigliano, dove Ciccio, avvicinato al calcio dal padre presidente, è riuscito a mettersi in luce, diventando anche più forte del fratello, sul quale inizialmente la famiglia puntava tutto, ora il club rossoblù non lo reputa all’altezza delle proprie ambizioni di un campionato di Serie C di alto livello.

Capita poi, diversi anni dopo, di vederlo in televisione questo roccioso difensore centrale lucano. Giocare a Wembley e alzare sotto il cielo londinese la Coppa Anglo-Italiana. Trionfare all’Europeo Under 21, al fianco di una vera generazione di fenomeni. Vincere a Parigi la Coppa Uefa, grazie ai gol del miglior Ronaldo che il calcio abbia mai conosciuto. Mettere insieme più di 300 presenze tra i professionisti, inclusi molti gettoni nelle coppe europee.

Capita ora, allo stesso Francesco, di voltarsi indietro e poter guardare con soddisfazione alla strada percorsa. Dalla provincia al calcio internazionale. Alla faccia di chi, quel giorno, gli disse di “no”

Gigi Simoni, il secondo padre

Giarre, provincia di Catania. Serie C del profondo sud. Campi spelacchiati, impianti malmessi. Qui, più che la tecnica, conta la voglia, la grinta, la determinazione. Pane per i denti di Ciccio Colonnese, giovane difensore costretto a lasciare casa, Potenza, per poter trovare spazio nel calcio dei grandi, dopo l’esordio da appena 17enne.

In Lucania non lo reputavano adatto ad un campionato d’alta classifica. A Giarre scoprono, un po' per caso, perché l’ingresso ufficiale nell’11 titolare arriva grazie alla squalifica di uno dei senatori, un diamante grezzo, destinato ben presto a brillare nei migliori palcoscenici.

Colonnese compensa una statura non elevatissima (181 cm) con un grande senso tattico e una innata concentrazione. Difficile vederlo sbagliare un anticipo, una chiusura, una scalata. Ma soprattutto, da buon difensore italiano degli anni ’90, è fortissimo sull’uomo. Nel senso che, una volta incollatosi al giocatore da marcare, per l’attaccante son dolori.

Un anno in Sicilia è più che sufficiente a convincere la Cremonese a puntare su di lui.

È un bel salto per Ciccio, non solo geografico, all’ombra del Torrazzo. Ma anche perché la Cremonese gioca il calcio vero, quello dei grandi: la Serie B. In un’annata, quella del 1992-1993, in cui in cadetteria trovano posto piazze molto importanti del calcio italiano: Bologna, Bari, Verona, Pisa, Padova, Lecce, Venezia.

A Cremona i grigiorossi sono allenati da Luigi, detto Gigi, Simoni. Che negli occhi di Colonnese vedrà subito il fuoco giusto per poter ottenere grandi risultati. E che per Ciccio diventerà, di fatto, un secondo padre.

Road to Wembley

La Cremonese, quell’anno, conquista una storica promozione in Serie A, classificandosi al secondo posto dietro la Reggiana. Colonnese diventa presto il pilastro difensivo della squadra, guadagnandosi la conferma per l’anno successivo. Sono passati solo 2 anni dal “grande no” di Potenza, e Ciccio ora capisce che i suoi sogni di bambino si stanno incredibilmente avverando.

Ma oltre alla promozione è arrivato un altro momento storico, per Colonnese e per i grigiorossi. E quel momento ha una data e un luogo preciso.

Londra, stadio di Wembley, 27 marzo 1993. I ragazzi di Simoni stendono 3-1 il Derby County e alzano al cielo la Coppa Anglo-Italiana, trofeo, oggi estinto, dedicato alle squadre di Serie B italiane e inglesi. Verdelli, Maspero e Tentoni affossano le ambizioni dei Rams. E ai tifosi grigiorossi, giunti coi charter dalla Lombardia, pare di toccare il cielo con un dito.

L’anno successivo la Cremo non smette di stupire, e con un comodo decimo posto conquista la salvezza. Su Colonnese si scatena il calcio-mercato. Tutti lo vogliono, in primis proprio la Cremonese, che gli offre il rinnovo di contratto.

Ciccio tentenna, mal consigliato. Dopo un’ascesa così rapida, d’altronde, capita di peccare di ingordigia, e di volere “tutto e subito”. Gli hanno detto che, liberandosi a parametro zero, avrebbe l’imbarazzo della scelta tra le grandi della Serie A.

Per di più il suo nome balza ancor di più agli onori della cronaca nel marzo del 1994, quando Ciccio scende in campo con la maglia azzurra dell’Italia Under 21 di Cesare Maldini, per disputare l’Europeo di categoria.

Un Italia semplicemente troppo forte. Toldo in porta, in difesa elementi del calibro di Cannavaro, Panucci e Galante (oltre, ovviamente, a Ciccio), centrocampo ricco di talento e attacco semplicemente atomico, in cui spicca la coppia gol formata da Vieri e Pippo Inzaghi.

Ai quarti la Cecoslovacchia si arrende. In semifinale cade anche la talentuosissima Francia (Blanc, Zidane, Dugarry e compagnia cantante). All’ultimo atto, nella finale di Montpellier, è il Portogallo a capitolare, senza che i vari Rui Costa, Figo e Joao Pinto possano dire alcunchè.

Un titolo storico per il movimento azzurro, che mette in mostra una vera e propria generazione di talenti.

Cicco, ancora ebbro del successo, abbandona l’amata Cremonese e cede al fascino della Capitale, firmando per la Roma.

Roma e Napoli: quanta amarezza ...

Errore grave, ma dal quale si può imparare. Quella Roma, infatti, guidata in panchina da uno dei suoi primi tifosi, Carletto Mazzone, è una squadra imbottita di giocatori esperti, alcuni di questi vere e proprie bandiere del club: da Petruzzi ad Aldair, da Carboni a Lanna, passando per Annoni.

Difficile emergere per un ragazzo come lui, per quanto talentuoso comunque giovane. Le presenze, a fine stagione, si contano sulle dita di una mano.

Fortuna che, qualche chilometro più a sud, c’è chi non si è dimenticato del suo talento. Vujadin Boskov lo chiama: “Ciccio, vieni a Napoli”.

Il primo anno gli serve per apprezzare le doti, non solo umane, dell’allenatore jugoslavo, e per riconquistare i galloni da titolare. L’anno successivo poi sulla panchina partenopea arriva Gigi Simoni, e a Ciccio, ovviamente, brillano gli occhi. La squadra cambia marcia. Vero, il Napoli di Maradona è oramai un ricordo. Ma quella squadra, con la sapienza al timone del proprio allenatore, comincia bene il campionato, anche se le cose migliori le fa vedere in Coppa Italia, dove arriva fino in fondo, fino all’ultimo atto.

Poi però qualcosa si rompe: la squadra, nel girone di ritorno si inceppa. Al presidente Ferlaino giunge voce che il mister abbia già firmato per l’Inter l’anno successivo, si incazza e lo caccia.

In campionato arriva la salvezza, ma in Coppa arriva un’amarissima delusione. Gli azzurri vincono l’andata, in un San Paolo gremito, contro il Vicenza grazie a un gol di Pecchia, ma al ritorno, al Menti, con Colonnese squalificato, vengono maltrattati, e ad aggiudicarsi la coppa è la Cenerentola biancorossa allenata da Francesco Guidolin.

Chissà che sapore avrebbe avuto vincere a Napoli. Ciccio lascia il Golfo senza conoscere la risposta a questa domanda.

Il sogno nerazzurro

Al suo arrivo a Milano mister Simoni trova un presidente Moratti in vena di spese folli. Arriva Ronaldo dal Barcellona, per una cifra a quel tempo astronomica. Ora serve rinforzare il reparto difensivo, che si regge ancora, in gran parte sull’esperienza dello Zio Bergomi. Moratti parla col proprio allenatore: “Quest’anno voglio vincere, per cui mi dica chi vuole e noi andiamo a prendercelo”

“Presidente, se non le dispiace, e non le dispiacerà perché non le verrà a costare più di tanto, io punterei su un mio ragazzo di fiducia: Francesco Colonnese”

Moratti, perplesso, lo accontenta. A fine stagione dirà: “Colonnese è stato l’acquisto chiave della nostra annata. Perché di Ronaldo conoscevamo il valore, di lui no”

Il campionato di Serie A 1997-1998 finisce come ormai tutti sappiamo, con Ceccarini che si chiude gli occhi quando Iuliano, in area, tampona proprio Ronnie, salvo poi concedere, pochi secondi dopo, un rigore alla Juventus dall’altra parte, regalando lo Scudetto ai bianconeri.

L’Inter e Ciccio la propria rivincita se la prenderanno qualche settimana più tardi. Quando, al Parco dei Principi di Parigi, i nerazzurri surclassano la fortissima Lazio di Eriksson, grazie alle reti Zamorano, del Pupi Zanetti e di un Ronaldo mai così Fenomeno.

A vedere Ciccio alzare al cielo la Coppa Uefa chissà cosa deve aver pensato chi, pochi anni prima, non lo reputava degno nemmeno per la Serie C.

E chissà cosa avrebbe pensato nel vederlo convocato per il Mondiale di Francia ’98. Peccato solo che il commissario tecnico, Cesare Maldini, pur conoscendo le doti di Colonnese, avendolo allenato nelle Nazionali giovanili, decida di preferirgli Beppe Bergomi, puntando tutto sull’esperienza internazionale del capitano dell’Inter.

Ciccio rimane altri anni in nerazzurro. Anni decisamente più bui, prima con Mircea Lucescu e poi con Marcello Lippi, il quale, arrivato dalla Juve, decide sostanzialmente di ripulire lo spogliatoio dei vecchi senatori (Colonnese incluso) per provare ad aprire, invano, un nuovo ciclo.

Capolinea Siena

Nel 2000 Ciccio firma per la Lazio campione d’Italia in carica. L’avventura in biancoceleste si rivela parecchio avara di soddisfazioni, eccezion fatta per la Supercoppa Italiana e la Coppa Italia, alzate al cielo però, per lo più, guardando gli altri giocare.

Nel corso degli anni emergono gli irrisolvibili problemi economici del club biancoceleste e del suo storico presidente, Sergio Cragnotti.

Nel 2003 Cesare Geronzi, presidente di Capitalia, banca controllante il club romano, dà pieni poteri a Luca Baraldi, ex dirigente del Parma sotto Calisto Tanzi. Il manager, per appianare il debito, propone ai giocatori un accordo: metà stipendio pagato, l’altra metà convertito in azioni del club.

Accettano tutti tranne Jaap Stam e Colonnese. Il difensore olandese sceglie poi di firmare per il Milan, mentre Ciccio rimane di fatto fuori rosa, senza mai avere la possibilità di incidere in campo e buttando suo malgrado, sostanzialmente, alle ortiche preziosi anni di carriera.

Ci pensa un vecchio amico a rilanciarlo. Ancora lui, il buon Gigi Simoni: “Vieni a Siena, Ciccio, ho bisogno di te”.

In Toscana Colonnese gioca due stagioni, giusto per dare una degna conclusione alla propria carriera. Il primo anno arriva una soffertissima salvezza all’ultima giornata. Nel secondo mette lo zampino sulla permanenza della Robur in Serie A, allorquando prima azione il contropiede di Bogdani, poi sul perfetto servizio dell’albanese, va a concluderlo a porta vuota, segnando il gol del decisivo 2-3. Contro la Roma, all’Olimpico, proprio nello stadio dove, in biancoceleste, mai è riuscito ad essere veramente protagonista. E anche qui si chiude un cerchio.

Appesi i proverbiali scarpini al chiodo, una volta scollinata l’ultima salita, per Ciccio è quindi tempo di guardarsi indietro, per ammirare la strada fatta. Tutta con la propria testa e le proprie gambe, facendo ricredere i propri detrattori e seguendo sempre l’insegnamento di mamma e papà, che fin da piccolo gli dicevano:
“Ricordati sempre per chi giochi, onora la maglia che indossi. Perché c’è tanta gente, ogni domenica, che spende soldi e fa sacrifici per venirti a vedere”.

Ben fatto Ciccio. Missione compiuta!

Racconto a cura di Fabio Megiorin

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