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Vicenza, dove osano le aquile

A Londra quella sera bastò una bandierina, un dannato fuorigioco, a spezzare i sogni del Vicenza di Guidolin. Vincitore della Coppa Italia e proteso in volo verso vette mai più raggiunte nella propria storia
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Semifinale Coppa delle Coppe Vicenza Chelsea - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Le moderne strumentazioni hanno oggi consentito di riaprire casi rimasti irrisolti per anni. La tecnologia ha reso più semplice la risoluzione di vari accadimenti di cronaca, che all’epoca erano stati archiviati come “senza soluzione”.

Esistono dei punti, tuttavia, in cui nemmeno le più odierne “diavolerie” sono riuscite ad arrivare. Ferite non sanate, che rimangono indelebili nel cuore della gente. Carne viva, che al tatto brucia, ancora oggi.

Nemmeno il VAR, più banalmente definito come “moviola in campo”, potrà mai, ad esempio, restituire quanto uno sciagurato guardalinee francese ha tolto al Vicenza, in quella serata londinese del 16 aprile del 1998. Quando decise, inopinatamente, di alzare la bandierina, annullando un regolarissimo gol di Pasquale Luiso, che avrebbe probabilmente tramortito definitivamente il Chelsea di Vialli, Zola e altri campioni, spianando la strada ai biancorossi verso la finale di Coppa Delle Coppe.

Privando il calcio italiano di una delle favole più belle. La più recente, da un punto di vista europeo.

Con i ragazzi di Guidolin partiti dalla serie B e arrivati fin lassù, dove osano le aquile.

Metti una sera, a Londra…

È il 44esimo minuto di un avvincente semifinale. Alla quale il Vicenza arriva dopo aver fatto l’unica cosa possibile per provare l’impresa allo Stamford Bridge, eliminando gli inglesi: vincere all’andata, al Menti, senza subire gol, grazie all’autentica perla di Zauli che fa impazzire un’intera provincia, e sussultare tutta Italia, che si gode il match nella diretta di Rete 4, con telecronaca di Sandro Piccinini.

A Londra il Vicenza fa, se possibile, ancora meglio. Và in vantaggio dopo 32 minuti grazie a un rete ancora del Toro di Sora Pasquale Luiso, che anticipa tutti, anche il compagno Ambrosetti, e spedisce alle spalle di De Goey, zittendo poi l’attonito pubblico blues, in una delle esultanze più iconiche del calcio moderno.

Arriva poi l’immediato pareggio, di Gustavo Poyet, su una corta ribattuta di Brivio. A testimoniare che il Chelsea è lì, è vivo, tutt’altro che rassegnato. D’altronde, come non potrebbe esserlo? In una squadra, quella dove Gianluca Vialli allena e gioca, in cui spiccano i talenti di gente come Gianfranco Zola, Dennis Wise, Graeme Le Saux. Solo per citarne alcuni.

Servirebbe un gol. Un’altra segnatura in trasferta, che renderebbe, con tutta probabilità, troppo scoscesa la parete da risalire, anche per uno squadrone come quello della capitale inglese.

E il Vicenza quel gol lo trova. L’ennesimo miracolo dell’era Guidolin.

Altra pennellata di Zauli, sempre per Luiso che, indisturbato e perfettamente in linea con un difensore, incorna alle spalle ancora del malcapitato De Goey. Lui, che diceva “crossatemi una lavatrice, incornerò anche quella” un’occasione del genere non può, in effetti, lasciarsela scappare. Con quel gol che lo renderebbe ancor più capocannoniere della competizione di quanto effettivamente comunque sarà.

Invece no. La bandierina va su. Un gesto istantaneo, disgraziato, sciagurato.

Che spezza l’entusiasmo dei tifosi biancorossi giunti a Londra, a vivere il momento più alto di 120 e passa anni di storia.

E che pone fine ai sogni di una delle squadre più belle e romantiche del nostro calcio.

Perché nella ripresa il Chelsea quei due gol che gli servono per la qualificazione li metterà, con Wise e Hughes. E nella finale di Stoccolma, contro lo Stoccarda, si andrà pure a prendere quella coppa, il cui fantasma ancora veleggia, all’ombra dei Colli Berici.

I soldati di Guidolin

Una Coppa a cui il vecchio Lanerossi Vicenza (allora semplicemente Vicenza Calcio) arriva dopo la straordinaria conquista della Coppa Italia ai danni del Napoli, in una notte di fine maggio che nessuno, a Vicenza, ha mai più dimenticato.

E a cui i ragazzi di Guidolin si approcciano con estrema umiltà. Con l’obiettivo minimo di far meglio di quanto riuscì, anni prima, al Real Vicenza di G.B. Fabbri, trainato dai gol di uno straordinario Paolo Rossi e secondo in serie A dietro la Juventus, ma eliminato subito nella successiva Coppa Uefa dal Dukla Praga.

Quello dei biancorossi, in realtà, sarà un vero e proprio cammino trionfale. Tanto inaspettato quanto netto, che secondo molti non gli avrebbe dato problemi anche in caso di eventuale finale, contro il modesto Stoccarda di un giovane Joachim Low.

Senza l’Avioncito Otero, indomabile cannoniere l’anno precedente, e alle prese con parecchi guai fisici, per lunghi tratti di stagione, il Vicenza scopre altri talenti, che consegnerà in dono al calcio italiano.

In primis Pasquale Luiso. Il centravanti che più centravanti non si può. Il regalo fatto a Guidolin per provare a competere in Europa, dopo le dozzine di gol messe a segno dal bomber l’anno prima a Piacenza.

Poi Arturo Di Napoli. Una giovane seconda punta prestata dall’Inter, che già dall’esordio meraviglia tutti, in serie A.

Soprattutto Lamberto Zauli. Il principe. Un giocatore di quelli che, come lui, ne nascono pochi in 100 anni. Un visionario relegato, chissà come mai, a incantare solo la provincia. Un inventore di palle gol. Con quel fisico alto e dinoccolato, ma quel tocco di palla sublime, che incanta il pubblico e fa innamorare i compagni di squadra.

Ma è anche il Vicenza del “gruppo storico”. Quelli che c’erano prima, nelle serie inferiori. E che ora più di tutti si godono quel momento di gloria. E che, più di tutti, hanno fame di arrivare. Perché sanno che, con tutta probabilità, certe vette non le toccheranno più. Da Mimmo Di Carlo a Fabio Viviani, da Massimo Beghetto a Pierluigi Brivio.

I soldati di un allenatore straordinario: Francesco Guidolin. Un mago, per come ha sempre saputo valorizzare le proprie squadre, portandole a livelli mai conosciuti (da Vicenza a Udine, passando per Palermo).

Il cammino trionfale

I primi a cadere sono i polacchi del Legia Varsavia, sotto 2-0 già all’andata, grazie ai timbri di Luiso e Ambrosetti. E che, sul campo amico, non vanno oltre l’uno a uno.

Poi tocca allo Shakthar Donetsk. Solo un’idea della potenza europea che in futuro diventerà. Battuto già nella desolata terra ucraina 3-1, e ucciso definitivamente al Menti, dove segnano ancora Luiso e Viviani.

Quindi il Roda Kerkrade, da affrontare mentre la società berica è stata acquisita da una facoltosa proprietà inglese (per intenderci, coloro che, ancora oggi, detengono il Tottenham). Gli olandesi già all’andata capiscono che non c’è trippa per gatti (d’altronde, di fronte ai mangia gatti…), e ne beccano 4. A Vicenza, poi, vengono letteralmente sepolti di gol. Un 5-0 in cui segnano tutti: Luiso, ovviamente, il giovane Firmani, Ambrosetti, Zauli e pure Gustavo Mendez, uno per così dire poco incline all’arte del gol, e che timbra addirittura in rovesciata. Quasi a certificare che gli astri, quell’anno, si stanno specchiando nel Bacchiglione.

Memorabile l’incitamento del pubblico vicentino riservato ai malcapitati olandesi, incitati a trovare il consolation goal, e poi accolti sotto la Curva Sud nel tuffo propiziatorio solitamente destinato alla squadra locale.

Fedeli alla Tribù

È vero, il sorteggio poteva andare meglio. Stoccarda e Lokomotiv Mosca paiono decisamente più abbordabili del “Chelsea degli italiani”. Ma vuoi mettere una trasferta londinese? A bere la birra nei pub, a telefonare a casa dalle cabine rosse, a raggiungere l’impianto in metropolitana, oppure a bordo dei caratteristici autobus a due piani.

Su quella trasferta, su quel picco di storia, i Derozer incideranno una canzone: “Fedeli Alla Tribù”. A rendere eterni quei momenti.

Per un Vicenza diventato poi forse anche scomodo, quasi poco gradito.

Incommentabile la telecronaca della partita di Londra di TeleMonteCarlo, che invece di incitare l’italianissima squadra di Guidolin, pareva esaltarsi maggiormente nel vedere i Blues mettere la palla in porta.

E poi quella bandierina maledetta. A rovinare tutto. A dire che i sogni sono finiti, e che per il Vicenza è ora di svegliarsi e tornare alla realtà.

Una realtà tetra, che relegherà i biancorossi, nei 25 anni successivi, costantemente nelle categorie inferiori. Costretti a vivere di ricordi.

Pensando a quella volta che una dannata bandierina spezzò il volo verso dove osano le aquile.

Scopri un altro Sogno Infranto biancorosso. Scopri il Lane di Rossi.

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