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Preben Elkjær Larsen, il sindaco di Verona

Preben Elkjær Larsen rimane nel cuore dei tifosi veronesi come uno dei più grandi talenti danesi mai arrivati in Italia. È l'estate del 1984 quando questo attaccante dal fisico imponente e dal carattere ribelle approda al Verona, diventando l'anima di quella squadra miracolosa che sotto la guida di Osvaldo Bagnoli riesce nell'impresa di vincere lo Scudetto.
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Sono diversi i calciatori che, una volta appesi scarpini al chiodo, si sono dati alla politica. Molti hanno iniziato una nuova carriera, altri ci hanno solo provato: da George Weah Presidente della Liberia a Pelé Ministro della Sport in Brasile, dagli attaccanti brasiliani di Usa ’94 Romario e Bebeto, rispettivamente senatore e deputato regionale a Kakhaber Kaladze sindaco della “sua” Tblisi, da Hakan Sukur deputato in Turchia a Cuauthemoc Blanco governatore di uno Stato messicano, da Gianni Rivera sottosegretario alla Difesa e parlamentare europeo a Massimo Mauro eurodeputato. 

Anche l’attuale sindaco di Verona è un ex calciatore: il 29 giugno 2022 Damiano Tommasi, l’”anima candida” di carlozampiana memoria, è il primo cittadino della città scaligera dopo essere stato, tra il 2011 ed il 2020, Presidente dell’Assocalciatori. 

Ma la città di Romeo e Giulietta custodisce la memoria di un altro "sindaco", uno che non si è mai candidato eppure ha regnato nei cuori scaligeri tra il 1984 e il 1988 perchè quando un giocatore entra nell'anima dei tifosi, quando le sue giocate diventano leggenda, allora quella è vera elezione popolare.  

Lui è Preben Elkjær Larsen ed è stato una colonna del “Verona dei miracoli” che, nella stagione 1984/1985, vince, inaspettatamente ma meritatamente, lo Scudetto. Da allora, nessun’altra squadra non capoluogo di regione ha più vinto il tricolore. 

Questa è la sua storia.

La carriera tra Danimarca, Germania e Belgio

Preben Elkjær Larsen nasce a Copenhagen, la città della sirenetta, nel 1957. Al calcio arriva tardi, verso i quindici anni, quando la natura gli regala una crescita improvvisa che lo fa svettare sui coetanei. L'indisciplina, invece, quella resterà per sempre il suo tallone d'Achille. 

Elkjær Larsen gioca davanti: è comunque alto, anche se non si muove bene. Per undici anni (dai 6 ai 17 anni) si divide tra due squadre di Copenhagen, il Frederiksberg Boldklub ed il Kjøbenhavns Boldklub. Poi nel 1976 il salto di qualità, firmando con il Vanløse, altro club della capitale che due anni prima aveva vinto la Coppa di Danimarca e giocato in Coppa delle Coppe. 

La sua prima stagione da calciatore professionista è positiva: sono 7 le reti in 15 partite ovvero un gol ogni 2,14 partite giocate. Il calcio danese del tempo non è allenante: il livello tecnico delle squadre è basso e i giocatori devono emigrare all'estero se vogliono migliorare. C’è solo un giocatore in Danimarca che fa la differenza e che, infatti, gioca all’estero dove fa sfracelli e nel 1977 vince addirittura il Pallone d’oro: Allan Simonsen. 

Nel 1977 anche Preben Elkjær Larsen lascia la Danimarca e approda in Bundesliga: firma con il Colonia. In terra tedesca cresce calcisticamente ma si scontra subito con l'allenatore Weisweiler. Nella città della Renania Settentrionale-Vestfalia, l’attaccante danese si fa notare più per le bravate che per i gol, anche se in Coppa Uefa fa scintille: 4 partite, 4 gol. Dopo una sola stagione e due trofei vinti (Coppa Nazionale e Supercoppa tedesca) , le strade si dividono. 

Elkjær passa al Lokeren, club belga non di primissimo piano, ma qui trova la sua dimensione. Rimane in maglia bianco-giallo-nera sei stagioni, giocando tanto e segnando altrettanto. Il club con Elkjær raggiunge vette mai toccate, secondo posto in campionato nel 1980 dietro all'Anderlecht e finale di Coppa del Belgio persa contro lo Standard Liegi.

In Belgio, il danese sembra avere tutto: gioca, segna e i tifosi lo amano. Trova addirittura l'amore di Nicole.  Cosa chiedere di più dalla vita? Beh una cosa c’è e bisogna andare in Italia.

L’arrivo a Verona. Il gol alla Juve senza scarpa e lo scudetto dei miracoli

L'Italia del 1984 vive il suo momento d'oro: quinta potenza mondiale, c’è benessere ovunque, al governo c’è Craxi e al Quirinale c’è Pertini, il presidente del “Non ci prendono più” della sera dell’11 luglio 1982.  

In questo contesto, con l’apertura delle frontiere ai giocatori stranieri a partire dalla stagione 1980/1981 e grazie a munifici presidenti, anche il nostro calcio sta vivendo una seconda giovinezza, una sorta di El Dorado. Nel campionato di Serie A del 1984 ci sono i Campioni del Mondo del 1982, c’è la squadra che è vice-campione d’Europa (la Roma) e quella che ha vinto la Coppa delle Coppe (la Juventus). 

Nell'estate del 1984 arrivano in Serie A Maradona, Socrates, Junior, Rummenigge e Souness che vanno ad aggiungersi ai vari Platini, Falcao, Passarella e Zico. In questo scenario dorato arriva anche Preben Elkjær Larsen ma non alla corte di una grande squadra. 

È il Verona di Bagnoli e Chiampan a scommettere due miliardi su "Cavallo pazzo". Oltre a lui, in riva all’Adige arriva anche un difensore molto interessante dal Kaiserslautern già campione d’Europa nel 1980 e vice-campione del Mondo con Germania Ovest nel 1982, Hans-Peter Briegel. In attacco viene confermato Galderisi. 

Il Verona è reduce dall’ottavo posto del campionato precedente e visto la campagna acquisti si appresta a voler disputare un campionato da protagonista. Elkjær è il fiore all’occhiello della campagna di rafforzamento del club veneto, anche se Bagnoli non conosce molto bene il suo giocatore. 

L’attaccante danese ha un impatto molto forte sul campionato e il 14 settembre 1984 al Bentegodi scrive la leggenda. Il “Bentegodi” è pieno per vedere i propri beniamini che in cuor loro vogliono fare uno “sgambetto” alla Juventus. Gli scaligeri passano in vantaggio al 62’ con Galderisi ma è al minuto 81 che si scrive la storia. Di Gennaro, con una rimessa dal fondo, innesca Elkjær che, sulla sinistra, con una finta, semina Pioli, lascia sul posto Favero in area e, di destro, supera Tacconi. 2-0 Verona e partita chiusa. Un gol di potenza e forza se nonché quella rete Elkjaer la segna senza la scarpa destra persa nel precedente scontro con Favero. Il danese si accorge fin da subito della perdita dello scarpino, ma non si è ferma. Un gol iconico, storico e indimenticabile tanto che l'attaccante viene soprannominato "Cenerentolo”. 

Il 1984 di Elkjær si chiude con il titolo di miglior giocatore danese dell’anno e il 12 maggio 1985 l'impensabile diventa realtà: il Verona "operaio", grazie al pareggio del Torino e alla contemporanea sconfitta dell’Inter, conquista con una giornata d'anticipo, lo Scudetto. Elkjær, anche se non segna tantissimo (soltanto 8 gol) è determinante per la conquista del Tricolore e ripaga il forte investimento nei suoi confronti fatto nell'estate precedente dalla società.

La vittoria del campionato, permette al Verona di giocare in Coppa dei Campioni per la prima volta nella sua storia. Dopo aver eliminato il PAOK Salonicco negli ottavi, con il danese che segna quattro gol, i gialloblu si devono arrendere alla Juventus che, tra grossissimi errori arbitrali, gli elimina dalla coppa. 

Ciò nonostante, il 1985 dell’attaccante si chiude con un risultato inaspettato: secondo nella classifica del Pallone d’oro dietro a Platini e davanti a Bernd Schuster del Barcellona. Mai un giocatore del Verona era arrivato così in altro nel premio annuale di France Football: l’anno prima lo stesso Elkjær era giunto terzo dietro alla coppia francese Platini-Tigana. 

Nel frattempo il legame tra Elkjær e Verona (e il Verona) diventa fortissimo, tanto che per i tifosi diventa il “sindaco”.

Gli anni di Elkjær nella città di Giulietta e Romeo sono i migliori del Verona: tra il 1984 ed il 1988, i gialloblù vincono uno Scudetto, raggiungono gli ottavi di Coppa dei Campioni e i quarti di Coppa Uefa (1987/1988). Il danese, in Europa, segna anche 9 reti in 11 partite.

Fino al 1988 quando la favola del "Verona dei miracoli" finisce. La crisi finanziaria spezza l'incantesimo: i campioni vanno via, Elkjær pure. Nel 1990 il Verona retrocede in Serie B lasciando soltanto il ricordo di quattro anni magici.

L’addio e la chiusura in patria

Nel 1988, a trentun anni, Elkjær sente il richiamo di casa. Vuole chiudere la carriera dove tutto era iniziato, raccogliendo gli ultimi frutti di un percorso straordinario. Ma la Danimarca, nonostante gli anni della "Danish dynamite", era rimasta quella di sempre: un calcio troppo piccolo per chi aveva assaggiato la gloria europea.

Al Vejle, club con cinque titoli nazionali ma senza grandi sogni continentali, il gigante danese vive due stagioni di epilogo. Era si tornato alle origini ma il cuore era rimasto tra le mura dell'Arena di Verona.

Preben Elkjær Larsen attaccante della “Danish Dynamite”

Tra il 1983 e il 1986 Elkjær tocca l'apice della carriera e con lui un'intera generazione danese che fa conoscere al mondo il calcio di quella piccola nazione nordica. La Danimarca non aveva mai raggiunto risultati internazionali di rilievo: mai presente a un Mondiale fino a Messico ’86, soltanto due partecipazioni agli Europei e un movimento calcistico ancora dilettantistico.  

Eppure il calcio danese riesce ad avere un guizzo proprio negli anni migliori di Elkjær grazie anche ad una nidiata di calciatori che hanno fatto conoscere a tutti il calcio danese. Attorno a Elkjær cresce una squadra leggendaria: Simonsen, i fratelli Laudrup, Morten Olsen, Lerby. Il tedesco Sepp Piontek dalla panchina trasforma l'estro nordico in una nazionale da temere. Nasce la "Danish Dynamite", la dinamite danese che fa tremare l'Europa. 

Il momento più alto della nazionale danese arriva il 21 settembre 1983 a Wembley contro l'Inghilterra. I danesi vincono 1-0 con rete di  Simonsen. È l'annuncio al mondo che una nuova forza è nata. Poi arrivano le grandi rassegne: semifinale agli Europei francesi dell'84, ottavi al Mondiale messicano dell'86. Otto partite, diciannove gol, un calcio spettacolare che incanta. Dei diciannove gol, otto portano la firma di Elkjær. Nel mondiale messicano, l’attaccante del Verona si classifica terzo nella classifica marcatori e viene inserito nella squadra ideale della manifestazione. Un risultato fantastico per lui e anche per il Verona che in Messico, oltre al danese, ha altri 4 rappresentanti: Tricella, Galderisi e Di Gennaro con l'Italia e Briegel con la Germania.

Il declino della “Danish dynamite” coincide anche con il declino di Elkjær: dopo una brutta prestazione agli Europei del 1988, il "sindaco di Verona" lascia la Nazionale con 69 presenze e 38 gol, una storia iniziata nel '77 a Helsinki con una doppietta alla Finlandia. La Danimarca non si qualifica per i Mondiali di Italia ’90 e gli Europei di Svezia ’92, anche se all'ultimo momento viene ripescata al posto della Jugoslavia squalificata per colpa della guerra che stava colpendo la penisola balcanica. 

Ironia della sorte: la Danimarca più forte tecnicamente, quella che vincerà l'Europeo del '92 da ripescata, arriverà quando Elkjær non c'è più. Ma quella "Dynamite" degli anni '80, con il gigante danese in prima fila, resterà per sempre la capostipite del calcio danese moderno, il momento in cui una nazione imparò a sognare in grande.

Racconto a cura di Simone Balocco

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