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La vendetta di Otto

Vincere il titolo da neopromossa, come prima era successo solo all’Ipswich di Ramsay e al Forest di Clough. L’incredibile impresa del Kaiserslautern e la rivincita di mister Otto Rehhagel, contro chi due anni prima lo aveva cacciato senza troppo onore.
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Kaiserslautern campione 1988 - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Il 27 aprile 1996, al culmine dell’ennesima diatriba, il presidente del Bayern Monaco congeda, quasi con disonore, l’allenatore Otto Rehhagel per assumere lui stesso la guida tecnica, per condurre un club comunque qualificato per la finale di Coppa Uefa, ma in deciso ritardo rispetto alla capolista Borussia Dortmund in campionato. L’estate successiva richiamerà in panchina Giovanni Trapattoni, cacciato l’anno precedente proprio per far posto a Rehhagel.

La visione del tecnico nato ad Essen è considerata troppo provinciale, non all’altezza delle ambizioni del club più blasonato di Germania. E arriva così una “defenestrazione” piuttosto disonorevole, dopo una dignitosissima carriera da allenatore, trascorsa per la maggior parte del tempo alla guida del Werder Brema, portato a vette mai raggiunte prima nella storia del calcio tedesco (due campionati, due Coppe di Germania, tre Supercoppe e una Coppa delle Coppe).

Il buon Otto allora inizia a preparare la propria vendetta nei confronti dei bavaresi. Lo fa scegliendo senza dubbio il sentiero più difficile, accettando la proposta del Kaiserslautern e ripartendo così dalla Serie B, dopo l’inopinata retrocessione dell’anno precedente dei Diavoli Rossi.

Ma le favole lui sa fiutarle, sa riconoscerle prima. E soprattutto sa poi tramutarle in realtà.

E avrà ragione anche stavolta. Perché il Kaiserslautern, nella stagione 1997/1998, scriverà forse la pagina più bella nella storia del calcio tedesco, vincendo, da neopromosso, la Bundesliga. Davanti a chi? Ovviamente proprio al Bayern Monaco.

Una scelta non solo di cuore

In Serie A non è mai accaduto che una squadra neopromossa sia stata capace di vincere subito il campionato. I casi più eclatanti riguardano soprattutto la Premier League, con l’Ipswich Town del 1962 allenato da Alf Ramsey (che sarà poi il condottiero anche dell’Inghilterra campione del mondo del 1966) e con il meraviglioso Nottingham Forest di Bryan Clough, capace poi anche di primeggiare in Coppa dei Campioni.

Vincere in massima serie salendo dalla Serie B è roba per pochi, tale da farti finire dritto dritto nei libri di storia. È un’opera che richiede un immane lavoro preparativo, fatto non solo di preparazione tecnico, tattica e fisica, ma anche di scelta di uomini, di psicologia. E di sogni.

Quando Otto Rehhagel sceglie di rispondere alla chiamata del suo Kaiserslautern, la squadra dove, da giocatore, ha collezionato il maggior numero di presenze, in Germania sono in molti a storcere il naso. Perché prima del carattere burbero del buon Otto parla la sua carriera: 15 anni consecutivi alla guida del Werder Brema, creando una dinastia e plasmando una squadra capace di far scricchiolare le gerarchie della Bundesliga.

Qualcuno la definisce una “scelta di cuore”, una risposta all’accorato appello di emergenza di una squadra capace, nella stessa stagione, di vincere la Coppa di Germania e di retrocedere, altresì, come terzultima del campionato. Ma non è solo questo. È molto di più.

Prendersi la rivincita dopo essere stato defenestrato dal Bayern, magari tornando alla guida del Borussia Dortmund (allenato per un anno dal tecnico, giusto in tempo per subire un epocale 12-0 dal Gladbach) sarebbe fin troppo semplice. Bravi tutti.

Ci vuole qualcosa di più bieco e sottile. Qualcosa che colpisca direttamente al cuore l’orgoglio bavarese, e quella loro maledetta e costante puzzetta sotto il naso.

Ecco spiegato il fascino suscitato in Otto dal neoretrocesso Kaiserslautern.

I Diavoli Rossi

Fin dal suo arrivo Rehhagel inizia a disegnare la propria creatura, tenendo in considerazione non solo il campionato di Zweite, ma anche il successivo eventuale ritorno in Bundes.

Servono innanzitutto gol. E allora nessuno è meglio di Wynton Rufer, attaccante neozelandese capace di segnare palate di gol con lo stesso Rehhagel al Werder Brema, e richiamato dunque dallo stesso tecnico anche in questa nuova avventura. In difesa si ripartirà ovviamente dall’esperienza di Andreas Brehme, campione del mondo nel 1990 e rientrato in Germania dopo la parentesi italiana con la maglia dell’Inter. Nello stesso reparto, dall’Odense, arriva l’interessante danese Michael Schjonberg, che sarà l’uomo del destino, in quanto autore del gol decisivo nello scontro diretto proprio contro il Bayern Monaco capitato già alla prima giornata. Inamovibile il libero, il ceco Miroslav Kadlec, uno dei leader del gruppo, in campo e fuori.

Centrocampo molto operaio e dedito al pressing forsennato, con i vari Greiner, Wegmann, Wagner, Riedl e Ojigwe, a cui si aggiunge quel pizzico di spregiudicatezza data dal brasiliano Ratinho.

Davanti, oltre a Rufer, ci sono il confermatissimo Pavel Kuka, ceco pure lui, una delle rivelazioni del recente europeo inglese del 1996 (con la Repubblica Ceca arrivata a un passo dal titolo, piegata solo dal golden gol di Bierhoff in finale), e soprattutto, Olaf Marschall, ex Nazionale della Germania Est, una specie di sentenza negli ultimi 30 metri.

Dopo la passeggiata in Zweite Bundesliga, conclusa ovviamente al primo posto con ben 10 punti di vantaggio sulle seconde, Wolfsburg e Hertha Berlino, e con una differenza reti da percentuali turche, al momento del ritorno nella massima serie il presidente Friedrich, tra l’altro ex compagno di squadra dello stesso Rehhagel proprio con i Diavoli Rossi, accontenta il tecnico, integrando questa robusta ossatura con acquisti mirati e funzionali.

Dall’Inter, dopo essere diventato celebre più per merito di Aldo, Giovanni e Giacomo che non per le prestazioni sul campo, rientra lo svizzero Ciriaco Sforza. A centrocampo il club intravede qualità in un giovane del Chemnitz, un tale Michael Ballack, che farà decisamente parlare di sé. In attacco, congedato il sempre fido Rufer, dalla seconda squadra viene promosso Marco Reich: gol pochi, pochissimi, ma il compagno ideale che qualunque centravanti vorrebbe avere al proprio fianco, per il volume di sacrificio e di spazi prodotti.

Con questa squadra Rehhagel si ripresenta ai nastri di partenza della Bundesliga 1997/1998. Secondo molti addetti ai lavori quella squadra farà fatica a salvarsi. La realtà darà risposte ben diverse.

Spazio per sognare

Che ci potesse essere spazio quell’anno, in Germania, lo si poteva forse intuire già dalla griglia di partenza. A recitare il ruolo della favorita, ovviamente, il Borussia Dortmund neocampione d’Europa: una squadra, tuttavia, per molti a fine ciclo. E quello della Banda dell’Oro sarà infatti un clamoroso flop, visto il decimo posto finale con conseguente esclusione dalle coppe.

Poi sicuramente il Bayern Monaco del Trapattoni-bis, che passerà alla storia più per la vulcanica conferenza stampa del proprio allenatore che non per i risultati ottenuti sul terreno di gioco.

In seconda fila lo Stoccarda di un giovane e rampante Joachim Low e il Bayer Leverkusen di Christoph Daum.

Nessuno però scommetterebbe due fiches su Rehhagel e i suoi ragazzi. Neanche dopo la vittoria, all’esordio, contro il Bayern Monaco, che già basterebbe come piatto freddo a base di vendetta servito all’ex club dal proprio allenatore. Il quale ha però progetti molto più grandi.

La strategia basata sulla libertà concessa in campo ai giocatori e sulla costante aggressività, che sarà di ispirazione per molti tecnici tedeschi del futuro come Klopp e Tuchel, funziona alla grande. Alla quarta giornata i Diavoli Rossi asfaltano lo Schalke 04 3-0 e si issano in vetta, senza voltarsi praticamente più, infilando una media di 2 punti a partita, ritmo insostenibile per tutte le avversarie.

La sensazione del “potercela fare” a Kadlec e compagni viene dopo la straordinaria rimonta operata contro il Borussia Mönchengladbach, quando dopo essere andati sotto 0-2 ribaltano il punteggio, con una tripletta dello scatenato Olaf Marschall. Sarà proprio lui il protagonista assoluto di quel titolo, con uno score finale di 21 reti, una in meno del capocannoniere Ulf Kirsten del Leverkusen.

Alla penultima giornata il 4-0 al Wolfsburg scatena la festa per le strade della città della Renania, con 70 mila persone che si riversano per le strade ebbre di gioia, per festeggiare il quarto titolo nella storia del club, il secondo dopo l’epoca dello storico capitano della Germania Ovest Fritz Walter, a cui è, dal 1985, intitolato lo stadio.

Si è ufficialmente compiuta la vendetta perfetta di Otto nei confronti del Bayern Monaco. Sarà solo la penultima impresa dell’allenatore di Essen, capace di vincere, qualche anno dopo, un ancor più incredibile europeo alla guida della Grecia.

Ma il suo nome nella storia del gioco a quel punto erà già scritto, a fianco di quello di leggende come Ramsay e Clough.

Racconto a cura di Fabio Megiorin

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