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I Butei in Paradiso

Il 19 maggio 1985 il Verona vinse il suo primo e finora unico scudetto. Un successo incredibile da parte di una squadra provinciale guidata da Osvaldo Bagnoli. Una squadra “operaia” autrice di una stagione fantastica ed irripetibile.
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Verona campione 1985 - Bagnoli - Illustrazione Tacchetti di Provincia

L’estate 1984 è stata particolare per il calcio: mentre la Francia conquistava a mani basse il suo primo Europeo con un Michel Platini in forma clamorosa, la nostra Nazionale vedeva da casa la kermesse francese in quanto non riuscì a qualificarsi nonostante fosse la squadra campione del Mondo in carica. Nonostante questo, la nostra Serie A si stava imponendo come il campionato più bello e ricco (non solo tecnicamente) del Mondo. Quell’estate, che diede il via alla stagione 1984/1985, la Juventus si presentava ai nastri di partenza con lo scudetto sul petto ed era la detentrice della Coppa delle Coppe, mentre la Roma aveva la coccarda della Coppa Italia.

Le squadre del nostro campionato poterono contare tra le loro fila il meglio del calcio mondiale. Se la Juventus poteva contare su Michel Platini (campione d’Europa in carica con i Blues e con il record di nove reti segnate in cinque partite, Pallone d’Oro in carica e da due stagioni vincitore della classifica marcatori della Serie A), le altre schieravano Zico (Udinese), Francis (Sampdoria), Laudrup (Lazio), Diaz (Avellino), Falcao (Roma) e Dirceu (Ascoli). Ma l’estate 1984 fu quella dei colpi di mercato: Junior al Torino, Souness alla Sampdoria, Rummenigge all’Inter, Socrates alla Fiorentina ed il clamoroso arrivo di Diego Armando Maradona al Napoli. E tra gli stranieri il nostro campionato poteva annoverare anche gente come Passarella, Boniek, Brady, Hateley ed il neoacquisto dell’Atalanta, lo svedese ex Benfica Glenn Peter Strömberg.

Eppure nonostante questo “ben di Dio” in campo, lo scudetto 1984/1985 non andò a nessuna delle squadre che potevano contare su questi assi, ma andò in provincia, in piena provincia. A vincere lo scudetto fu una squadra che nei suoi (allora) 82 anni di vita contava quattordici stagioni in A, aveva raggiunto solo un quarto posto come best ranking nella stagione 1982/1983 (da neopromossa) mentre in Coppa Italia contava tre finali (nel 1976, nel 1983 e nel 1984) perdendo contro Napoli, Juventus e Roma. La squadra che non ti aspetti, la squadra che contro tutto e tutti (soprattutto i pronostici) ha scritto il suo nome nell’albo d’oro della Serie A. A vincere lo scudetto quella stagione fu il Verona.

Mai si pensava che un giorno il Verona avrebbe vinto il titolo nazionale ed invece il miracolo (calcistico) avvenne e ancora oggi, a trentanove anni di distanza da quella vittoria, nessun’altra squadra proveniente da una città non capoluogo di regione ha più vinto il titolo, lasciando Verona con il primato di essere l’unica ad esserci riuscita dall’istituzione della Serie A (stagione 1929/1930). Verona come Vercelli, Casale Monferrato e Novi Ligure capaci di vincere almeno un titolo nazionale con la loro squadra cittadina di riferimento (Pro Vercelli, Casale e Novese).

Il “miracolo Verona” nasce però anni prima, quando sulla panchina del club arriva Osvaldo Bagnoli.

1981-1984, le basi del titolo nazionale

Il Verona è nato nel 1903 ed il suo primo campionato in Serie A risale alla stagione 1957/1958. Nella stagione 1981/1982 milita in Serie B, ma vince il campionato e, insieme a Sampdoria e Pisa, torna in massima serie dopo quattro stagioni. Presidente del club è Celestino Guidotti. In quell’estate vi è un cambio in panchina: via dopo una stagione Giancarlo Cadé, dentro Osvaldo Bagnoli.

Milanese del quartiere Bovisa, Bagnoli, ex giocatore con un passato con Milan, Verona e Udinese, arrivò sotto l’Arena dopo due anni alla guida del Cesena che condusse in Serie A nella stagione 1980/1981 e si dimostrò l’uomo giusto al posto giusto al momento giusto, allenando una squadra di provincia che dopo anni si affacciava al grande calcio nazionale e, grazie anche ad una campagna acquista azzeccata e senza campionissimi, non solo tornò in massima al primo colpo ma fu la vera spina nel fianco delle grandi squadre. Tanto per capirci: il primo anno in Serie A con Bagnoli, la squadra arrivò quarta in campionato dopo aver tallonato la Roma (poi campione d’Italia) per tutto il girone di andata, qualificandosi per la prima volta nella sua storia in Coppa Uefa.

I campionati 1982/1983 e 1983/1984 furono anni in cui al “Bentegodi” lo stadio era pieno, fare punti per le avversarie era difficile ed il Verona faceva paura anche in trasferta.

Tra il primo anno di Bagnoli e la stagione 1983/1984, il Verona si basava su una formazione che vedeva come spina dorsale Garella in porta, difesa con Tricella, centrocampo con di Gennaro e davanti Penzo. Era una squadra che giocava un calcio semplice, ma efficace. Il tecnico milanese era anche seguito da tante altre squadre di Serie A, ma lui preferì rimanere nella città di San Zeno e continuare il suo lavoro.

I primi due anni in Serie A videro il Verona arrivare per ben due volte di finale in Coppa Italia, perdendo contro Roma e Juventus, più attrezzate dei veneti. Era chiaro che la squadra di Bagnoli, simbolo del calcio di provincia, avrebbe dato filo da torcere a tutte le avversarie, soprattutto quelle più quotate.

1984-1985, l’estate che porta al titolo. Gli arrivi di Briegel e Elkjær Larsen

Nonostante la stagione 1983/1984 vide il Verona chiudere solo al sesto posto, quell’estate arrivarono alla corte di Bagnoli giocatori fondamentali che, come il tecnico milanese, erano uomini giusti-al posto giusto-al momento giusto: Giuseppe Galderisi (dalla Juventus), Mauro Ferroni (dalla Sampdoria), Luciano Bruni (dalla Reggiana) e Silvano Fontolan (dal Como). In rosa erano già presenti Garella, Marangon, capitan Tricella, di Gennaro, Fanna, Sacchetti e Volpati.

Questa squadra si preparò nell’estate 1984 per tentare di arrivare il più in alto possibile in classifica, nonostante le avversarie si fossero attrezzate alla grande.

La stagione 1984/1985 vide la squadra praticamente immutata, se non con l’arrivo di altri due stranieri che presero il posto di quelli presenti la stagione precedente: salutarono l’Adige Zmuda e Jordan ed arrivarono un centrocampista ed un attaccante già noti al calcio europeo: Hans-Peter Briegel, arrivato dal Kaiserslautern e già campione d’Europa e vice-campione del Mondo con la Germania Ovest, e Preben Elkjaer Larsen, da sei stagioni bomber dei belgi del Lokeren e attaccante della Nazionale danese che, alla sua prima partecipazione, era giunta fino in semifinale nell’Europeo francese. I due giocatori furono pagati molto poco, ma arrivarono nella città di Romeno e Giulietta con i gradi di giocatori in grado di far fare il salto di qualità alla squadra: il loro palmares e le loro prestazioni in passato fecero sognare i tifosi. In particolare l’attacco sarebbe stato composto proprio dal danese di Copenaghen e da “Nanu” Galderisi, che a Verona confermò quanto di buono aveva fatto con la maglia della Juventus che, forse, lo aveva scaricato con troppa facilità.

Il Verona, quella stagione, scese in campo con Garella in porta; difesa con Ferroni e Marangon terzini, in mezzo Tricella libero e Fontolan stopper; a centrocampo Volpati, Fanna, Briegel con di Gennaro in supporto a Galderisi e Elkjaer Larsen.

Si pensava che il Verona potesse disputare un torneo interessante che avrebbe lottato per i piani alti, puntando alla qualificazione Uefa. Ed invece il 12 maggio 1985, pareggiando 1-1 a Bergamo contro l’Atalanta, successe l’imponderabile solo dieci mesi prima: Verona punti 43, Torino punti 39 e veneti campioni d’Italia con un turno di anticipo.

Da Verona-Napoli a Verona-Avellino, cronaca di uno scudetto vinto meritatamente

Il Verona iniziò il campionato in casa e tenne il debutto italiano di Diego Armando Maradona: il 16 settembre 1984 iniziò l’avventura del “diez” in Italia e fu il “Bentegodi” il primo stadio in cui scese in campo. E fu un debutto amaro perché il Verona si impose per 3-1 con i gol di Briegel, Galderisi e di Gennaro intervallato da quello di Daniel Bertoni. Inizio shock per i partenopei ed inizio dolcissimo per i veneti.

Nelle prime tre partite il Verona fece tre su tre: sei punti fatti contro Napoli e Udinese in casa e tre contro l’Ascoli.

Il primo big match la banda Bagnoli lo ebbe alla quarta quando a San Siro furono ospitati dall’Inter di Rummenigge: 0-0 e vetta ancora ad appannaggio del Verona.

Sette giorni dopo al “Bentegodi” arrivò al Juventus di Platini campione d’Italia in carica. Nulla da fare: 2-0 veronese con gol di “Nanu” Galderisi e Preben Elkjær Larsen. 9 punti nelle prime cinque partite e primo posto solitaria.

Il percorso del Verona fu netto fino alla quindicesima giornata quando al “Partenio” di Avellino furono i “lupi” di mister Antonio Valentín Angelillo ad interrompere la striscia positiva del Verona che chiuse primo al giro di boa diventando campione d’inverno. In quindici partite Tricella e compagni raccolsero ventidue punti su 30 totali. L’Inter era dietro di un punto.

Dalle parti dell’Arena si iniziava a sognare e qualcuno già parlava di sogno scudetto. Bagnoli, uomo tra il pragmatico ed il pompiere, spezzò l’entusiasmo dicendo che l’obiettivo della squadra era la salvezza. In pratica: godiamoci il momento ma voliamo basso. Le avversarie, intanto, faticavano a tenere il passo del Verona: era da anni che ai vertici del torneo non c’era una squadra poco avvezze all’alta classifica.

Alla sedicesima giornata, Verona e Inter sono appaiate, ma il girone di ritorno è tutto di marca veronese in quanto nelle successive quindici partite ne vince sette, ne pareggia altrettante e ne perde una sola. E l’unica a battere il Verona nel girone di ritorno è il Torino che al “Bentegodi”, il 14 aprile 1985, si impone per 1-2.

Fino al 12 maggio 19985, il piccolo Verona aveva preso gli “scalpi” di Napoli, Juventus, Fiorentina (due volte), Lazio (due volte) e Roma.

Il sogno tricolore per i Bagnoli boys si stava concretizzando di giornata in giornata grazie anche al fatto che solo Torino e Inter tenevano il loro passo, con la Juventus che concentrò sé stessa sull’arrivare in finale di Coppa dei Campioni cercando di vincere il trofeo dopo due finali perse.

Il Verona, dal canto suo, fu regolare e arrivò al match del 12 maggio con il primo match point scudetto. “Match point” scudetto per una squadra che solo la stagione 1980/1981 rischiava di retrocedere in Serie C. Il sogno stava diventando realtà: a Tricella e compagni contro l’Atalanta, quella domenica, bastava anche solo un pareggio e sperare in una non vittoria di Torino e Inter. Il Verona pareggiò a Bergamo, il Toro perse contro la Roma all’”Olimpico” e l’Inter pareggiò contro la Fiorentina a Firenze. Il gol scudetto lo siglò Preben Elkjær Larsen che pareggiò il vantaggio atalantino di Perico.

Il sogno si era avverato: Verona campione d’Italia con un turno di anticipo. Nessuno ci avrebbe creduto, ma il sogno era diventato realtà e la squadra di Bagnoli aveva vinto un incredibile scudetto. L’ultima partita fu un vero bagno di folla: il 19 maggio il Verona, in un “Bentegodi” pieno vinse 4-2 contro l’Avellino, una delle due che lo aveva battuto durante il corso del torneo.

Il cammino del Verona era stato di 15 vittorie, tredici pareggi e due sconfitte, 42 gol segnati e diciannove subiti.

Bagnoli aveva messo in campo una squadra a metà tra l’essere “operaia” ed una che giocava un bel calcio. E grazie ad una rosa in cui giocarono pochissimi rincalzi, impressionò tutti. Nessuno dei top team aveva vinto contro la banda di Nagnoli, se non il Torino che chiuse il torneo al secondo posto a quattro punti da Galderisi e compagni. Per i granata, miglior posizione in campionato dopo otto stagioni.

A vincere la classifica marcatori fu ancora una volta Platini (18 reti per lui) davanti ad Altobelli e Maradona, mentre il top scorer del Verona fu Galderisi con undici reti seguito da Briegel con nove e Elkjær Larsen con otto.

Il Verona divenne l’undicesima squadra a vincere il campionato e la nona squadra italiana a giocare in Coppa dei Campioni. Eh sì perché la squadra che vinceva lo scudetto la stagione successiva si sarebbe qualificata di diritto alla manifestazione europea più importante a livello di club europei. Giocare in Europa con il tricolore sul petto quando solo quattro anni prima la squadra vinceva il torneo di cadetto. Un miracolo sì, ma anche una programmazione andata a buon fine senza spendere miliardi e puntando su giovani e giocatori in cerca di riscatto.

Il debutto in Coppa Campioni, il derby contro la Juve, la retrocessione nel 1990

Dopo diciassette anni, l’Italia poté schierare due squadre in Coppa dei Campioni: il Verona e la Juventus campione in carica.

Il Verona, che fino alla stagione 1985/1986, aveva giocato solo una stagione in Europa (in Coppa Uefa nella stagione 1983/1984, eliminando nei trentaduesimi la Stella Rossa Belgrado e perdendo il turno successivo contro lo Sturm Graz), si apprestava a debuttare nel palcoscenico più bello. Ed iniziò nel migliore dei modi: 3-1 e 2-1 contro il PAOK Salonicco. Ma il destino fu beffardo visto che nel turno successivo i ragazzi di Bagnoli affrontarono la Juventus nel primo derby tra squadre italiane in Coppa dei Campioni.

All’andata al “Bentegodi” terminò 0-0 e tutto si sarebbe deciso al “Comunale”: a passare il turno fu la Juventus che si impose per 2-0, sancendo l’eliminazione del Verona dalla massima competizione europea. Fu una partita condizionata dal pessimo arbitraggio di Wurtz: Osvaldo Bagnoli si arrabbiò molto con la terna, accusando pesantemente la Juventus.

In campionato il Verona chiuse solo ad decimo posto, nel giro di cinque stagioni la squadra fu smantellata ed il “miracolo” si chiuse nella stagione 1989/1980 con la squadra che retrocesse in Serie B dopo otto anni consecutivi (retrocedendo con lo “scalpo” di un altro scudetto fatto perdere al Milan come diciassette anni prima). Nel mezzo, la squadra veneta fece ancora una stagione europea (nel 1987/1988 con la squadra che arrivò fino ai quarti di finale dove fu eliminata dal Werder Brema) e poi tornò in cadetteria dove rimase una sola stagione.

Nel Mondiale messicano del 1986, ben cinque giocatori del Verona furono convocati dai loro CT: di Gennaro, Tricella e Galderisi per l’Italia; Briegel per la Germania Ovest e Elkjaer Larsen per la Danimarca. Di questi, Briegel divenne vice- Campione del Mondo.

Piano piano tutti i giocatori campioni d’Italia furono ceduti e la squadra salutò la Serie A cinque anni dopo la vittoria del titolo ed in quell’ultima stagione in massima serie del Verona scudettato non rimase nessuno, se non il solo Fanna tornato sotto l’Arena dopo la parentesi all’Inter con cui vinse un altro scudetto.

Ma ciò che fece il Verona targato 1984/1985 è stato un risultato mai più raggiunto non solo dal Verona stesso ma da altre squadre di provincia. Una bella pagina di calcio che ha entusiasmato tutti gli amanti del calcio.

Il mito di quella squadra. Osvaldo Bagnoli, il mago (pragmatico) della Bovisa

A distanza di quasi quarant’anni, nessun’altra squadra di una città non capoluogo di regione ha più vinto il titolo nazionale: la vittoria del Verona è stata un unicum, un successo insperato ma sognato, creato pezzo per pezzo ed in pochi anni quella squadra che nel 1979 si era salvata dalla Serie C per un solo punto nel 1986 arrivava a sfidare la Juventus campione d’Europa in un derby nazionale fratricida in Coppa dei Campioni.

Il successo di quello scudetto è frutto di tre persone, il ds Mascetti, il presidente Guidotti, il patron Chiampan che, come detto, senza spendere miliardi hanno creato una squadra fatta di buoni calciatori italiani e giocatori stranieri per nulla mainstream ma molto efficaci.

Un miracolo italiano calcistico in una piazza tranquilla (ma molto calda) che ha portato i gialloblu sul tetto del nostro calcio sfruttando anche alcuni passi falsi delle avversarie che hanno perso fin da subito contatto con la vetta (una su tutte la Juventus, che “decise” quindi di concentrare tutte le forze in Coppa dei Campioni, riportandola in Italia dopo sedici stagioni). Solo il Torino è sembrato in parte l’unica squadra in grado di impensierire l’armata di Bagnoli, non riuscendo la squadra granata a scalfire il suo primo posto in classifica, una posizione che in trenta giornata il Verona ha perso per una sola giornata.

Fortuna e caparbietà sono due parole che calzano a pennello per raccontare quel Verona, una squadra fatta da uomini giusti-al posto giusto-al momento giusto. Come l’allenatore, Osvaldo Bagnoli, milanese della Bovisa, uomo semplice e pragmatico, senza fronzoli ma con un solo mantra: ognuno il proprio ruolo. Ed infatti tutti i giocatori del Verona in campo avevano il proprio ruolo specifico, nessuno andava fuori posto: non era il Calcio totale olandese, ma la semplice ricetta per portare una squadra che fino a quel magico 1985 non aveva mai vinto nulla, se non arrivare una volta seconda e togliere al Milan uno scudetto già vinto (la “fatal Verona” del 20 maggio 1973), a diventare campione d’Italia.

In panchina Bagnoli ed il suo vice Antonio Lonardi, in campo loro, gli eroi.

In porta Claudio Garella, torinese, portiere molto bravo che parava tutto soprattutto con i piedi (nel vero senso del termine). In difesa Ferroni e Marangon, marcatore asfissiante il primo e preciso negli interventi il secondo. In loro supporto capitan Tricella e Fontolan, un altro molto asfissiante nel marcare l’avversario del caso. A centrocampo Bruni, Volpati, la “diga” Briegel e di Gennaro, il numero 10 e quello tecnicamente più forte. Fondamentale il ruolo di Fanna, preso dalla Juventus e fatto diventare un’ala perdifiato e capace di essere la spina nel fianco di tutte le difese avversarie.

Davanti Galderisi, che dopo l’esperienza juventina aveva necessità di tornare a livelli alti, e Elkjaer Larsen.

Il Verona vinse lo scudetto con giocatori che ebbero poco successo in altre squadre, come Galderisi e Fanna dalla Juventus e di Gennaro dalla Fiorentina. Una bella rivincita, visto che tutte le squadre di questi ex giocatori si sono mangiate le mani nel vedere cosa avevano fatto questi loro ex giocatori in riva all’Adige quell’incredibile stagione 1984/1985.

Il giocatore simbolo dello scudetto: Preben Elkjaer Larsen

Nella stagione dello scudetto, il Verona è sceso in campo con diciassette giocatori. Di questi, come da regolamento, due stranieri: Briegel e Elkjaer Larsen. Da quando avevano riaperto le frontiere (stagione 1980/1981), questi sono stati gli stranieri numero quattro e cinque del Verona dopo il polacco Zmuda, il brasiliano “giramondo” Dirceu e lo scozzese Jordan. Briegel rimarrà fino all’estate 1986 per poi accasarsi alla Sampdoria, mentre il danese rimarrà anche l’anno dopo per poi passare ai danesi del Vejle.  E proprio il danese è il giocatore senza dubbio più forte di tutta la rosa del Verona scudettato: Galderisi è stato il miglior marcatore, Briegel la “diga” e di Gennaio il più tecnico, ma l’apporto dato dall’attaccante danese è stato da vero top player. Ed infatti nella classifica del Pallone d’oro è stato terzo nel 1984 (dietro a Platini e Tigana), secondo nel 1985 (dietro a Platini e davanti a Schuster), quarto nel 1986 e ventunesimo (a ex equo) nel 1987. Mai più da allora un giocatore del Verona è entrato nella lista dei calciatori più forti espressi da France Football.

Preben Elkjaer Larsen (cognome materno e paterno) arrivò a Verona nell’estate 1984 insieme a Briegel (un altro che è entrato nella lista di France Football nel 1984 e nel 1985) proveniente dai belgi del Lokeren dove aveva militato nelle precedenti sei stagioni acquistato precedentemente dal Colonia. Il palmares del futuro “sindaco” era di tutto rispetto, con il double tedesco campionato-DFBPokal con il club della Nordreno-Vestfalia ed era l’attaccante della Danimarca sorpresa dell’Europeo francese del 1984. Chiampan staccò un assegno di poco superiore ai 2 miliardi e portò Elkiaer Larsen alla corte di Bagnoli.

L’impatto tra questo giocatore  e la piazza è stato devastante, in senso positivo. La stagione dello scudetto lo vedrà in rete ben otto volte, ma i suoi gol non sono banali. Chiedere alla difesa della Juventus che dal giocatore di Copenhagen incassò un gol epico.

Minuto 81 di Verona-Juventus, quinta giornata di campionato. Di Gennaro innescò il compagno direttamente con una rimessa dal fondo. Elkjaer Larsen, sulla sinistra, con una finta, seminò Pioli e, in area, lasciò sul posto Favero e, di destro, superò Tacconi. 2-0 Verona e partita chiusa. Un gol di potenza e forza come ne avvenivano sui campi di tutto il Mondo, se nonché quella rete Elkjaer Larsen la segnò senza la scarpa destra persa nel precedente scontro con Favero. Il danese si accorse fin da subito della perdita della scarpa, ma non poté fermarsi per farlo notare perché avrebbe interrotto l’azione e, quindi, non avrebbe segnato. Fatto sta che ancora oggi nel ricordarsi di quella fantastica stagione, il gol di “Cenerentolo” (soprannome coniato dai tifosi veronesi nei confronti del loro numero 11 per l’occasione) è nell’immaginario collettivo come un gol da annali. Quello al “Bentegodi” fu il secondo gol con la maglia del Verona dopo quello all’Ascoli alla seconda giornata.

Ma Elkjaer era arrivato a Verona con un altro soprannome, “cavallo pazzo”, affibiatogli dopo la stagione di Colonia dopo un diverbio con l’allora tecnico dei biancorossi. Il motivo? Il danese faceva tutto ciò che un giocatore poteva fare per farsi volere male dal proprio allenatore: fare la bella vita. Importante in campo, scapestrato fuori trascorrendo più tempo nei locali a bere (e abbracciato a diverse donne) anziché a casa a riposarsi per essere pimpante il giorno dopo in tuta. Lui era pimpante ugualmente, ma a mister Weisweiler ciò non piaceva ed il giocatore salutò la Germania Ovest dopo un solo anno per approdare in Belgio.

A Verona, il “sindaco” Elkjaer Larsen rimase quattro stagioni, giocando 130 partite, segnando 48 reti e diventando un vero mito per la piazza scaligera. Dopo la stagione 1987/1988 con il Verona decimo in campionato e con la campagna europea terminata nei quarti di Coppa Uefa contro il Werder Brema, “Cenerentolo” tornò a casa e due stagioni dopo il Verona retrocesse in Serie B.

Con la maglia del Verona, Elkjaer Larsen disputò il Mondiali di Messico ’86 in quella Nazionale che passò alla storia come “Danish Dynamite”, composta da giocatori molti forti come John Eriksen, Michael Laudrup, Jesper Olsen, Klaus Berggreen e l’ex Pallone d’oro Allan Simonsen. La Danimarca, debuttante al Mondiale quanto debuttante due anni prima in Francia, vinse il suo girone davanti alla Germania Ovest vice-Campione in Spagna e all’Uruguay (con Elkjaer Larsen che segnò il gol vittoria contro la Scozia e siglò una tripletta contro la Celeste), per poi perdere 5-1 negli ottavi contro la Spagna.

I tifosi del Verona non hanno mai dimenticato ciò che fece il loro bomber danese negli anni in gialloblu e ricordare di quel gol scalzo alla Juventus ha lanciato Preben Elkjær Larsen, nato a Copenaghen l’11 settembre 1967, nell’Olimpo dei miti del calcio.

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