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Gianni Comandini, niente compromessi

La storia di Gianni Comandini: un’ascesa folgorante, stroncata prematuramente da infortuni e disillusioni, che ci consegna la storia di un uomo che ha anteposto la coerenza ai servilismi e alle mezze misure.
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Gianni Comandini - Illustrazione Tacchetti di Provincia

C’è una canzone di Lucio Dalla molto bella ma poco conosciuta. Si chiama Meri Luis e descrive una serie di persone imprigionate nella loro vita di tutti i giorni, nelle gabbie che, a poco a poco, si sono costruite. A un certo punto, tutti i protagonisti della canzone decidono di “spezzare” il meccanismo, si alzano e mollano tutto per andare in cerca della propria libertà.

All’interno della canzone ci starebbe benissimo la storia di Gianni Comandini, che molti milanisti ricorderanno per la grande doppietta nel derby contro l’Inter dell’11 maggio 2001, e che molti tifosi ricorderanno invece per la decisione di mollare il calcio lasciando la Serie A a soli 29 anni.

Gli esordi, il Milan

La sua carriera inizia in crescendo. Esordio nel mondo del calcio con la maglia della squadra della sua città, il Cesena, alcune buone stagioni nei campionati minori, di cui una di altissimo livello al Lanerossi Vicenza durante la quale segna 20 gol in 34 partite, guidando peraltro i biancorossi alla promozione in Serie A.

Quest’annata strepitosa lo consegna in modo rocambolesco al grande palcoscenico della Serie A.

L'estate del 2000 è infatti ricca di speranze per Gianni Comandini: il giovane attaccante, viene acquistato dal Milan per la cifra di 20 miliardi di lire. Un'occasione irripetibile per affermarsi nel calcio che conta e indossare la maglia gloriosa dei rossoneri.

Comandini si presenta a Milanello con il numero 9 sulle spalle, un'eredità pesante lasciata da un campione come George Weah.

Proprio durante l’estate segna nel finale della gara d'andata dei preliminari di Champions League il gol del 3-1 sulla Dinamo Zagabria, ma il vero apogeo della sua esperienza milanese è la doppietta citata all’inizio della nostra storia, segnata agli eterni rivali nerazzurri in quella che sarà una delle più larghe vittorie dei Diavoli nella Stracittadina (che terminerà 6-0).

Partita che riscatta una stagione un po’ annacquata, durante la quale Gianni raccoglie solo 13 presenze, e che è preludio di una partenza per nuovi lidi. Tuttavia, i due gol nel derby di maggio consegnano a Gianni un record che condivide con Paolo Rossi e Olivier Giroud: quello di aver messo a segno una doppietta nel primo derby giocato.

Gli infortuni e la parabola discendente

Dopo l'esperienza altalenante al Milan, Comandini passa all'Atalanta nell'estate del 2001 per la cifra di 30 miliardi di lire, diventando l'acquisto più oneroso della storia della Dea.

L'inizio non è male, con 4 reti nella prima parte di stagione, ma il rendimento del giocatore viene presto condizionato da nuovi infortuni. Conclude la stagione con 11 presenze e 4 gol, non riuscendo a conquistare un posto da titolare fisso.

Nelle stagioni successive, Comandini cambia diverse squadre, passando al Genoa (2002-2003), al Vicenza (2003-2004) e alla Ternana (2004-2005), senza però riuscire a trovare continuità e ad esprimere appieno il suo vero talento.

Gli infortuni continuano a tormentare la sua carriera, limitandone il minutaggio e le prestazioni.

Il ritiro prematuro

Nel 2006, a soli 29 anni, è costretto ad annunciare il ritiro dal calcio giocato. Una decisione sofferta ma inevitabile vista la situazione fisica, così cercano di giustificarla i media e gli appassionati.

Ma c’è dell’altro. Gli infortuni hanno certamente condizionato la carriera di Comandini, ma non sono stati l'unica ragione del suo prematuro ritiro. Dietro la sua decisione c'era anche una profonda disillusione per il mondo del calcio.

In alcune interviste, Comandini ha infatti dichiarato:

“Ho subito due interventi per l’ernia del disco, sono stato fuori tanto tempo ma questo non è il motivo. Certo, avrei dovuto ridimensionare gli obiettivi, non sono più il Comandini del Milan. Ma avrei potuto continuare tranquillamente. Ho smesso perché ero stufo di questo calcio, con le sue regole strane, dove ognuno gira la verità come vuole. Questa esiste, ma nessuno è libero di farla conoscere. Non è questo il calcio che cercavo, senza emozioni”

Non è stata una scelta facile, ma Comandini ha preferito ritirarsi piuttosto che scendere a compromessi con i suoi principi. Un atto di orgoglio, di una persona che non voleva giocare ad un gioco che sentiva truccato.

Si parla tanto, oggi più che mai, di quanto il calcio possa dimostrarsi un mondo malato, di quanto i riflettori dei grandi palcoscenici ci abbiano allontanati da quella che in fondo è la vera essenza del gioco: un pallone, due zaini messi per terra a fungere da pali, tanta grinta. Gianni non ha voluto cedere ai compromessi e rovinare il suo rapporto con una delle cose più belle della sua vita: ha scelto di smettere di fare il calciatore… per continuare ad amare il calcio.

C'è chi lo ha criticato, definendolo un "pazzo" o un "ingrato". Ma Comandini non ha mai rinnegato la sua scelta. Ha preferito la coerenza alla fama e al denaro, dimostrando di essere una persona con una forte personalità e un profondo senso di dignità.

La sua storia è un esempio di come la vita possa a volte essere imprevedibile, ma anche di come la coerenza e l'onestà restino sempre valori importanti, anche quando comportano sacrifici, forse ancor di più quando comportano sacrifici.

Certo, la sua uscita prematura dal mondo del calcio è stata uno spreco, considerando il suo potenziale e le sue doti tecniche. Comandini non ha avuto la carriera che avrebbe meritato, ma la sua storia è comunque un esempio di grande tenacia e perseveranza.

Comandini oggi

E comunque la vita di Gianni Comandini non era finita. Al momento dell’addio al calcio, con la tenacia che lo aveva sempre contraddistinto, ha deciso di reinventarsi.

Ha aperto un ristorante nella sua Cesena e ha cominciato a giocare a calcio nei campionati amatoriali, nel Forza Vigne, squadra fondata dal padre Paolo negli anni 80: là ha potuto ritrovare quella autenticità che non riusciva più a vedere nel calcio dei grandi.

Racconto a cura di Andrea Possamai

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