Socrates e la sua "Democracia"
"Vincere o perdere ma sempre con democrazia"
" Vai a votare giorno 15!"
Per proiettarsi interamente dentro questa storia è opportuno riallacciare questi slogan alla loro lingua originale, così come erano scritti:
"Ganhar ou perder, mas sempre com democracia"
"Dia 15 vote!"
Siamo nel Brasile degli anni 80, sotto il governo militare del generale Figureido. Un paese dove parlare di democrazia significava esporsi a ritorsioni e a torture, nonostante il falso mito del Brasile moderato al cospetto di un continente, quello sudamericano, tristemente famoso per le sanguinose dittature politiche tra tutte quella cilena di Pinochet e quella argentina del generale Videla.
Ma quelle frasi, quelle due frasi così come tante altre, non provenivano da oppositori del regime, da comizi di piazza in piena campagna elettorale o da manifestazioni studentesche e di lavoratori. Quelle frasi capeggiavano orgogliosamente su maglie da gioco e su striscioni issati dagli spalti prima del calcio d'inizio di una partita.
Gli attori di questa rivoluzione culturale e sportiva furono alcuni dei più grandi giocatori del futebol di quegli anni. Nel nome di quel sovvertimento a tutte le logiche preponderanti del calcio c’era racchiuso quel desiderio di cambiamento di un intero paese; proprio cosi, perchè la Democracia Corinthiana non è stato altro che il più grande esperimento sociale applicato allo sport.
Dove c’è un pallone ci sono sempre gli inglesi
Protagonista di quell’assurda, controversa e straordinaria esperienza non fu una squadra qualunque, ma una delle più titolate del paese con una torcida unica nel suo genere e massima espressione dei ceti popolari. Un club che aveva già vinto, e continuerà a farlo nel tempo, trofei nazionali ed internazionali. Stiamo parlando dello Sport Clube Corinthians Paulista per sineddoche semplicemente Corinthians.
Origini britanniche per lo SC Corinthians Paulista. Il nome è un omaggio al Corinthians Football Club, squadra fino a oggi mai votata al professionismo, che nei primi anni del '900 dettava legge nel nuovo sport inventato in terra albionica, ed esportato dal mare anche nel Nuovo Continente; memorabile la vittoria per 11-3 sul Manchester United nel 1904 ancora a oggi la peggiore sconfitta di sempre dei Red Devils.
I dirigenti della squadra inglese, padri ispiratori della compagine brasiliana, furono tra i più convinti sostenitori del beatiful game puro disapprovando, inizialmente, l’assegnazione dei calci di punizione conseguenti a scontri di gioco. Il motivo? Per dei gentlemen era cosa scontata il confronto leale con gli avversari, al punto da ritenere inaccettabile il commettere un fallo intenzionalmente. Storie di integralismo calcistico del tutto utopiche se rapportate ai nostri giorni.
Chiusa la parentesi narrante sulle origini inglesi, è tempo di tornare al racconto in terra carioca.
La svolta democratica
Per un metodo rivoluzionario, così come narrato in precedenza, servono interpreti rivoluzionari
Tutto ha inizio nel 1982 con l’arrivo alla presidenza di Waldemar Pires che nomina subito Mario Travaglini nuovo allenatore e poi Adilson Monteiro Alves, di professione sociologo e con zero esperienza nel mondo del pallone, come nuovo direttore sportivo. Sarà proprio quest’ultimo una delle figure strategiche che segneranno la svolta con intuizioni visionarie.
Cambiamento che arriva soprattutto grazie ad una rosa composta da giocatori straordinari. Elementi e idee che riescono a fondersi all'unisono. Talenti del calibro di Walter Casagrande, capelluto attaccante che ammireremo anche in Italia, poi Wladimir, Zenon, l'eclettico Biro-Biro, ma su tutti una delle figure più iconiche del calcio brasiliano ossia Socrates Brasileiro Sampaio de Souza Vieria de Oliveira. Per tutti semplicemente Socrates, così battezzato dal padre che da autodidatta si era appassionato agli studi greci.
Nomen omen dicevano i latini; anche lui difatti, in tempi moderni, si potrà definire un vero intellettuale con una cultura straordinaria e sopra le righe, un vero e proprio filosofo del calcio. Forse sprecato per quel mondo. Un centrocampista con una preparazione e un’intelligenza superiore alla media dei calciatori dell’epoca. E senza dubbio anche di quella attuale.
Spesso in contrasto con i giornalisti del suo paese che gli chiedevano continuamente di tattica e risultati, al punto che un giorno provocatoriamente gli fu chiesto come immaginasse la sua morte. La risposta fu semplice “vorrei morire di domenica, nel giorno in cui il Corinthians vincerà il Campionato”. Conquistando ancora di più il cuore della caldissima tifoseria bianconera.
Fu lui il vero artefice, il promotore e l’assoluto portavoce della Democracia calcistica. Ogni giocatore, ogni mente, ogni piede, valeva uno. Una specie di comune, un'autogestione. Le scelte erano sottoposte al voto di tutti. Dal bomber, al magazziniere. Anche la formazione non faceva eccezione, con l'allenatore Mario Travaglini che si trovò in piena alchimia con questa nuova prospettiva.
E nel paese dove tutti vivono per il calcio, dove nelle favelas un pallone a volte è l'unica via d'uscita da un destino già tristemente segnato, il Corinthians sembrava una vera e propria ancora di salvezza. Ma sempre prossima al fallimento, almeno per i suoi più ostili detrattori. Invece la squadra Paulista, sovvertendo tutto il sistema, conquistò due Campionati nel 1982 e nel 1983.
Il popolo del Corinthians, il popolo brasiliano in generale, visse quel trionfale periodo come una sorta di riscatto.
Il Mundial ’82 e il passaggio alla Fiorentina
E fu in quel momento che Socrates si spinse oltre, al punto che nel 1984 dichiarò : "Resto solo se il Consiglio Nazionale ripristina l'elezione diretta del presidente del Brasile". Quell'emendamento voluto dall'opposizione non passò e così il leader più importante di quella squadra lasciò San Paolo, decretando il tramonto del movimento. A nulla valsero i tentativi del visionario presidente Wladimir Peres di mantenere in vita un progetto straordinariamente unico e irripetibile nel suo genere.
Il dottor, cosi era chiamato Socrates per via della sua laurea in medicina conseguita nel 1976, fu anche protagonista con la maglia della propria nazionale; condottiero di una delle Seleção più forti di tutti i tempi, guidò da capitano la spedizione al Mundial del 1982.
In quella rovente estate spagnola, l'opinione pubblica era certa del successo e della conquista della quarta coppa del mondo per i brasiliani. Però Socrates e compagni dovettero fare i conti con Pablito e con l'Italia di Beazort, in quella che passerà alla storia come la tragedia sportiva del Sarrià. Il 3-2 firmato Paolo Rossi, tripletta per quello che diventerà il capocannoniere di Spagna 82, mandò a casa i verdeoro. Socrates mise il sigillo in quella gara con un gol capolavoro, sfruttando un assist di tacco di Zico, trafiggendo chirurgicamente l'incolpevole Zoff sul proprio palo lasciando di stucco anche un mostro sacro come Gaetano Scirea, con un'accelerazione repentina. L'Italia spezzò quel sogno mondiale, ma sarà proprio il Belpaese ad accoglierlo dopo l'addio al Corinthians nel 1984.
Passò alla Fiorentina di Pontello allenata da Picchio De Sisti dapprima e Ferruccio Valcareggi successivamente. Una stagione non molto felice, quella in maglia viola, ma in realtà "o' Magrao" ( questo un altro nomignolo per via della sua corporatura esile) aveva principi ben chiari riguardo al suo approdo a Firenze. Ad una domanda di un giornalista se stimasse di più Mazzola o Rivera, due mostri sacri del calcio, rispose senza indugio : "non li conosco. Io sono qui in Italia per leggere Gramsci in lingua originale e studiare la storia del movimento operaio"
Passioni, debolezze e immaginario pop di un profeta del calcio
Nel corso della sua vita Socrates recitò in telenovelas e incise anche un suo disco partecipando tra l’altro alla registrazione della celebre "Aquarela" di Toquihno. Iconica anche la citazione nel film L'allenatore nel pallone, con Oronzo Cana’ che vola in Brasile alla ricerca di un talento e che alla fine pur di accaparrarsi la firma del centrocampista carioca finisce per farsi operare di appendicite dal “Doutor Socrates” sbagliato.
Mente sopraffina, sempre alla ricerca della conoscenza e del sapere, dopo l'esperienza italiana non riuscì più a trovare continuità e stimoli nel mondo del pallone. Chiuderà la carriera in una squadra minore inglese senza percepire alcun compenso, subito dopo aver fatto una tappa di ritorno nella sua terra tra Santos e Botafogo.
Ma prima, nel 1985, il Brasile andrà, finalmente, a votare per l'elezione diretta del Presidente con la proclamazione della Democrazia in tutto il paese. Gran parte del merito, per avere smosso la coscienza dell'intero popolo, sarà attribuito ai giocatori ed alla dirigenza del Timão, il nome con cui i brasiliani chiamano la squadra del Corinthians.
Chioma da rockstar e una vita fatta di eccessi tra fumo, birra e drink. Muore il 4 dicembre 2011, a 57 anni. Nel giorno che lui sperava, difatti quella domenica il Corinthians conquistò il suo quarto titolo brasiliano. Mai banale, così come solo i profeti sanno fare.
Socrates, il filosofo di un calcio che non esiste più.
Una postilla sui “cugini” britannici
Una curiosità sul Corinthians Football Club. La compagine inglese si fuse nel 1939 con il Casuals Football Club dando così vita al Corinthians Casuals Football Club.
Di conseguenza la squadra decise di cambiare anche i colori sociali. Dal bianco, che si narra ispirò tra l'altro le maglie del Real Madrid, al Rosa e Marrone anzi più esattamente al Pink&Chocolate. Una maglia con questi colori unici, ancora oggi usata dal Corinthians Casuals, si può ammirare al Palermo Museum all’interno dello stadio Renzo Barbera.
Il motivo di questa ubicazione in terra siciliana? Beh, semplice: l’analogia tra colori sociali. Due assolute unicità cromatiche del mondo calcistico.
Racconto a cura di Giuseppe Vassallo