Adriano, c'era una volta un Imperatore
Un conto è l’imperatore Adriano, un conto è l’Imperatore Adriano. Il primo è uno degli imperatori romani che più ha fatto per il suo popolo, amante della cultura e dell’arte; il secondo piomba nel mondo del calcio da una favela e decide di cambiare le carte in tavola.
Adriano Leite Ribeiro irrompe nel calcio esattamente 2.120 anni dopo la morte dell’imperatore erede di Traiano: è martedì 14 agosto 2001, giorno del “Trofeo Bernabeu” tra Real Madrid e Inter. Il teatro dello scontro è proprio il Bernabeu. Il 19enne attaccante brasiliano entra in campo a sette minuti dalla fine. Si rende subito pericoloso, e Hierro, uno che non ci va leggero, lo stende al limite dell’area. Punizione. Minuto 91, punteggio sull’1-1. Sulla palla ci sono lui e Seedorf: il numero 10 olandese dice al ragazzo che tirerà lui. Adriano calcia e… il mondo scopre un talento straordinario.
Un fenomeno: brasiliano nel tocco, corazziere nel fisico. Uno di quelli che poteva cambiare il gioco. “Poteva” perché Adriano, oggi 43enne, non ha cambiato nulla, e il suo nome resterà per sempre legato alla parola “incompiuto”. Se non è riuscito a cambiare il calcio, la colpa è senz’altro sua, ma anche degli eventi esterni che lo hanno colpito e trasformato.
Esistono tre Adriano: quello prima del 2001, quello tra il 2001 e il 2006, e quello dal 2006 al 2016. In pratica: la scoperta, l’età dell’oro, e il canto del cigno.
La partita del Bernabeu lo rivela al mondo. Fino al 2006 è devastante, poi qualcosa si rompe. Ma noi siamo qui per raccontare la sua storia e celebrare il suo mito, quando il calcio non si poteva immaginare senza Adriano.
Dalla favela alla favola: dal Flamengo all’Europa
Il 17 febbraio 1982 Almir Leite e Rosilde Ribeiro danno alla luce Adriano. La famiglia è povera e vive in una favela. Le favelas sono qualcosa che noi italiani (o, più in generale, chi è nato nella “parte giusta del mondo”) non possiamo comprendere appieno: povertà estrema, baraccopoli ovunque, e la speranza quotidiana di tornare vivi anche solo da una breve uscita di casa. Un ambiente terribile. Ma è proprio da lì che sono emersi molti dei più grandi calciatori brasiliani.
Adriano Leite Ribeiro non fa eccezione: Vila Cruzeiro è un quartiere duro. Come tanti ragazzi brasiliani, anche lui sogna una svolta: diventare calciatore e indossare la maglia verdeoro della Seleção. Adriano, però, ha dentro di sé una fame feroce, la voglia di riscatto, di rendere orgogliosi mamma e papà.
Dalla favela riesce a emergere: viene tesserato dal Flamengo di Rio de Janeiro, uno dei club più prestigiosi del Brasile. Attaccante puro, esplosivo, con fiuto per il gol. È il 2000, un nuovo secolo è appena iniziato, e Adriano è in rampa di lancio: nel torneo carioca segna undici gol in un anno. La stampa comincia a parlare di lui e il 15 novembre 2000 il CT Émerson Leão lo fa debuttare in Nazionale, a San Paolo, in una gara di qualificazione ai Mondiali 2002 contro la Colombia.
Il Flamengo sa di avere in casa una gallina dalle uova d’oro e vuole monetizzare: in Brasile è quasi impossibile trattenere un potenziale craque. E Adriano ha l’aria di esserlo davvero. Come tanti connazionali, sale su un aereo e atterra in Europa. Lo prende l’Inter, che cede la meteora Vampeta e si porta ad Appiano Gentile il ragazzo 19enne di Vila Cruzeiro.
La favola: Inter, Parma e Fiorentina. Il biennio d’oro 2004–2006
Torniamo al 14 agosto 2001: Madrid, Bernabeu. Adriano è appena arrivato all’Inter e si presenta con un gol devastante. Una punizione nata dal fallo subito da Hierro: la palla vola a una velocità tra i 140 e i 160 km/h e si insacca. Casillas non può nulla. Il mondo scopre Adriano. I tifosi interisti sognano: con Vieri e un Ronaldo apparentemente tornato ai fasti del '97, si sogna lo scudetto.
Alla seconda giornata Adriano segna contro il Venezia, ma l’Inter lo manda in prestito alla Fiorentina per sei mesi, per farsi le ossa. La Viola retrocede e fallisce, ma il brasiliano fa bene anche lì, segnando al debutto. Tornato a Milano, parte per Parma: lì è devastante. In diciotto mesi segna 26 gol in 44 partite, formando un’intesa micidiale con Adrian Mutu. L’Inter capisce che è pronto e lo riporta ad Appiano Gentile a gennaio 2004.
Il biennio 2004-2006 è il suo apice: segna con continuità, fisicamente è dominante. I tifosi lo soprannominano “l’Imperatore”. Due momenti restano scolpiti: la traversa colpita da 35 metri contro il Palermo il 18 settembre 2004 e il gol all’Udinese un mese dopo, dove percorre sessanta metri palla al piede, salta quattro uomini e segna. In quel match aveva già segnato poco prima su punizione dai trenta metri. Adriano chiude al sesto e settimo posto nelle classifiche del Pallone d’Oro. Il mondo del calcio è ai suoi piedi.
Anche in Nazionale brilla: nel 2004 trascina il Brasile alla vittoria della Copa América e alla Confederations Cup in Germania. Il Brasile è tra i favoriti al Mondiale 2006 con un attacco che include, oltre a lui, Ronaldo, Ronaldinho, Kakà, Robinho, Juninho Pernambucano. Ma la Seleção si ferma ai quarti, eliminata dalla Francia. Adriano segna contro Australia e Ghana.
Il 2006, però, è anche l’anno della svolta negativa nella sua vita, sportiva e personale.
Per capire la parabola discendente bisogna tornare al 5 agosto 2004, quando muore Almir Leite, suo padre, a soli 44 anni. Per Adriano è uno shock: il padre era come un fratello. I suoi due migliori anni calcistici sono proprio quelli successivi, ma poi si spegne la luce. Adriano cambia.
Comincia una vita da non-atleta, tra whisky e feste, abbandonando l’etica professionale. Una volta, dopo una notte brava, dorme ad Appiano Gentile e il giorno dopo è un fantasma in allenamento. In una stagione e mezza (2006-gennaio 2008) segna appena cinque gol: una volta li avrebbe fatti in tre partite.
Nel gennaio 2008 lascia l’Inter per sei mesi e va al San Paolo. L’estate successiva torna, e i tifosi sognano: Adriano con Ibrahimović, Crespo e un giovane Balotelli. Ma a 26 anni ha la testa altrove. Ad aprile 2009 lascia definitivamente l’Europa e torna in Brasile. Se a 27 anni un calciatore dovrebbe essere al suo apice, Adriano è già un ex.
Torna al Flamengo, dove tutto era iniziato. Non è l’Adriano di un tempo, ma segna ancora. Poi, l’8 giugno 2010, l’incredibile: firma con la Roma di Ranieri. Una squadra europea gli dà ancora fiducia. Ma si presenta al ritiro con 102 kg: peso non da professionista. I tifosi giallorossi sognano: l’Imperatore con Totti, Vucinic, Menez e Borriello è la ciliegina sulla torta ma a marzo rescinde e torna in Brasile con un misero bottino di otto partite senza segnare un gol.
Seguono stagioni spente tra Corinthians, Flamengo, Atlético Paranaense. Palmeiras e Internacional rifiutano di tesserarlo. Prova anche nella quarta serie americana con il Miami United, poi una fugace apparizione con il Le Havre in Francia. In quattro anni (2010-2014) gioca nove partite e segna tre reti. È finita.
Cosa sarebbe successo se …
“Con i se e con i ma, la storia non si fa”, dice un proverbio. Figurarsi nel calcio. Questo sport è pieno di talenti bruciati. Adriano Leite Ribeiro ne è uno dei massimi esempi. Un vero peccato: fino al Mondiale tedesco aveva carisma, tecnica, potenza. Alcuni dicono che l’Inter non abbia saputo proteggerlo. Ma la realtà è che in campo ci va il giocatore, ed è lui il primo responsabile. Adriano ha molte colpe: le notti brave, l’alcol, gli amici sbagliati, le distrazioni. Aveva la strada spianata, il fisico e un sinistro magico.
I tifosi italiani, soprattutto quelli interisti, non lo hanno mai dimenticato: il 21 dicembre 2016 torna a San Siro prima di Inter-Lazio, accolto da cori e applausi della Curva Nord. L’8 giugno 2025 partecipa a un raduno di ex giocatori a Parma: fuori forma, ma amato da tutti.
Nessuno ha dimenticato Adriano, neanche quando in Brasile pubblicava video mentre beveva, mangiava salamelle o si filmava in auto. Un bomber vero, che ha smesso troppo presto. Una sorta di Icaro: se il figlio di Dedalo morì per essersi avvicinato troppo al sole, Adriano “cadde” per colpa dei suoi demoni. Icaro morì davvero. L’Imperatore, invece, si è solo bruciato da solo.
Il prossimo 14 agosto saranno 24 anni da quella sassata al Bernabeu. È durata poco, ma la favola di Adriano – che ha lasciato la favela – nessuno la dimenticherà mai.
Racconto a cura di Simone Balocco