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Steaua Bucarest, quando l'Est vinse l'Europa

Il 7 maggio 1986, sotto il cielo di Siviglia, la Steaua Bucarest sfida il destino e scrive una delle pagine più romantiche della storia del calcio. In un’Europa ancora divisa, la squadra rumena spezza il dominio occidentale con un'impresa leggendaria. L’eroe è Helmut Duckadam, il portiere che para quattro rigori al Barcellona e consegna alla Romania e all’Europa dell’Est la sua prima Coppa dei Campioni. Un’impresa che ancora oggi risuona come una leggenda.
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Steaua Bucarest 1986 - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Sullo sfondo di una Bucarest che si risveglia sotto un cielo plumbeo, tra le ombre lunghe di un regime che opprime ma non spegne la speranza, si staglia il mito della Steaua. Oggi, il suo nome è sussurrato con malinconia, un'eco lontano dai fasti che sembrano appartenere a un'altra era, FCSB, un'ombra dell'antica gloria. Eppure, nel cuore di ogni tifoso, arde ancora la fiamma di quel 7 maggio 1986, una data incisa nel firmamento del calcio.

Nel cuore di un'Europa divisa dalla Cortina di Ferro, la Romania degli anni '80 vive sotto il regime autocratico di Nicolae Ceausescu. È un periodo di forti ristrettezze economiche, di una sorveglianza che tutto controlla e di limitazioni che minano le libertà individuali. 

In questo contesto oppressivo, il calcio si erge a una delle poche vie di fuga, un'oasi di passione e orgoglio nazionale. Le squadre, spesso legate agli apparati statali, diventano simboli di identità e speranza.

Durante gli anni della Guerra Fredda, il calcio nell’Est Europa è molto più di un semplice sport. È un'arena dove le nazioni possono competere e affermare la propria identità in un contesto internazionale segnato da tensioni politiche. Le squadre dell'Est, spesso sostenute dallo Stato, esprimono un calcio pragmatico e disciplinato, espressione di un sistema che valorizza il collettivo sull'individualismo. 

In questo panorama calcistico, la Steaua Bucarest emerge come una delle realtà più promettenti. 

Una squadra in cerca di gloria

Fondata nel 1947 come squadra dell'esercito, la Steaua vive per circa quarant'anni una storia fatta di alti e bassi. Ottiene vittorie in patria ma non ottiene risultati di rilievo a livello internazionale. Tuttavia, nella stagione 1985-1986, qualcosa cambia. 

Sotto la guida di Emerich Jenei, allenatore abile nella gestione del gruppo e nella preparazione tattica, la squadra trova una nuova solidità e consapevolezza. Eppure, in un primo momento, Jenei non sembra il tipico allenatore destinato a fare la storia. Come un alchimista medievale, con i suoi modi pacati e il suo approccio metodico, Jenei si dimostra un fine psicologo, un maestro nell'arte di toccare le corde giuste.

"Jenei ci parlava come un padre," raccontava Ștefan Iovan, capitano di quella squadra. "Non alzava mai la voce, ma quando parlava, tutti ascoltavamo. Ci diceva sempre: 'Non siete inferiori a nessuno. Il rispetto si guadagna sul campo."

Jenei non è un semplice stratega. La sua genialità risiede nella capacità di creare un ambiente sereno e fiducioso introducendo alcune innovazioni rivoluzionarie per l’epoca. Annunciando la squadra titolare sempre tre giorni prima della partita, fa in modo di stemperare la tensione e permettere ai giocatori di prepararsi con la mente sgombra alle partite perché sa che la paura e l'incertezza sono nemici della performance. Abbandona le lunghe e snervanti disquisizioni tattiche che affaticano la mente e lo spirito preferendo brevi incontri di una decina di minuti dove vengono analizzati gli avversari gradualmente, come se fossero carte da scoprire. 

La sua visione del calcio è pragmatica. Privilegia la solidità difensiva e non ricerca il bel gioco a tutti i costi, ma l'efficacia, la concretezza e la capacità di colpire al momento giusto. 

Nato in Romania da una famiglia di origine ungherese, Jenei comprende le difficoltà e le aspirazioni di un popolo. Sa come infondere nei suoi giocatori l'orgoglio di rappresentare un paese intero. Non è un caso che molti dei suoi uomini migliori provengano da realtà provinciali, da storie di sacrifici e di riscatto.

La spina dorsale della sua squadra è formata da giovani talenti con la voglia di emergere. Ma il vero segreto della squadra è la coesione quasi telepatica che si crea tra questi ragazzi che condividono, oltre al campo da gioco, anche un’intera visione del mondo.

La Steaua può fare affidamento a un collettivo ben amalgamato con alcune individualità di spicco. In difesa, Miodrag Belodedici emerge come un centrale elegante che si distingue per il suo senso della posizione, intelligenza tattica e calma olimpica. Avrebbe poi vinto la Coppa dei Campioni anche con la Stella Rossa di Belgrado nel 1991. Adrian Bumbescu è una roccia difensiva, che contribuisce alla solidità della squadra. A centrocampo spicca László Bölöni, prelevato da una squadra minore, che si rivela una pedina fondamentale nello scacchiere di Jenei. In attacco, Marius Lăcătuș, futuro giocatore della Fiorentina, corre sulla fascia con la sua velocità. Victor Pițurcă, ottimo colpitore di testa, ha la capacità di entrare subito in partita e segnare gol decisivi. E poi c’è Helmut Duckadam, il portiere silenzioso, il custode del destino, l’eroe che sarebbe entrato nella leggenda. 

Il cammino verso l'imbattibilità

La Steaua Bucarest, si presenta ai nastri di partenza della massima competizione europea come vittima sacrificale ma la squadra rumena è costruita con grande intelligenza tattica e capace di difendersi con ordine e colpire con velocità.

Il cammino europeo inizia ai sedicesimi di finale contro i danesi del Vejle. Dopo il pareggio per 1-1 in Danimarca, la Steaua si impone con un netto per 4-1 al ritorno grazie alle reti di Pițurcă, Bölöni, Balint e Stoica

Agli ottavi la squadra di Jenei affronta gli eterni rivali ungheresi dell’Honved di Lajos Détári. Dopo una sconfitta di misura all'andata, la Steaua ribalta il risultato in casa con un altro 4-1, ancora con Pițurcă protagonista

"Quando batterono l'Honvéd, cominciammo a pensare che forse stavamo assistendo a qualcosa di speciale," ricorda Ion Alexe, un tifoso che seguì tutte le partite. "Era come se ogni vittoria non fosse solo della squadra, ma di tutti noi rumeni."

Poi è la volta dei finlandesi del Kuusysi Lathi, incredibilmente arrivati ai quarti di finale, dopo aver estromesso il Sarajevo e lo Zenit Leningrado. Dopo uno 0-0 a Bucarest, il ritorno in Finlandia è decisivo. Trentamila tifosi di casa (record assoluto del paese nordico) affollano le tribune dello stadio. Tutto intorno al campo una fitta coltre di neve contribuisce a rendere leggendaria l’ambientazione. Il gol decisivo è segnato da Pițurcă che porta i suoi alle semifinali contro i belgi dell’Anderlecht. 

L’andata a Bruxelles si conclude con il vantaggio dei bianco-malva, mentre il ritorno allo Stadionul Steaua di Bucarest è un’unica sinfonia rumena. Sotto un cielo minaccioso di pioggia, con le tribune gremite nonostante il freddo pungente, la squadra di Jenei sfodera una prestazione straordinaria imponendosi per 3-0, ribaltando completamente il risultato dell'andata e guadagnandosi l'accesso alla finale.

Non rimaneva che un ultimo scoglio: il Barcellona.

La notte di Siviglia

Il 7 maggio 1986, lo Stadio Ramón Sánchez Pizjuán di Siviglia accoglie una finale che nessuno aveva previsto: la Steaua Bucarest affronta il Barcellona di Terry Venables e le sue stelle del calibro di Schuster, Archibald e Lineker.

La città andalusa è invasa da oltre 60.000 tifosi blaugrana, pronti a festeggiare un trionfo che sembra scontato. Contrariamente alle aspettative, il regime di Ceaușescu, fiutando l'opportunità propagandistica, permette a poco più di un migliaio di tifosi rumeni di viaggiare fino in Spagna.  Ottenere il permesso di varcare i confini nazionali era un privilegio concesso a pochi, attentamente selezionati per la loro lealtà e affidabilità politica.

La selezione dei tifosi che avrebbe avuto l'onore di rappresentare la Romania a Siviglia fu un processo meticoloso. Non si trattava di semplici appassionati di calcio ma di militari e rappresentanti della politica che avevano come fede più quella ideologica del regime che quella calcistica. Per questo, i tifosi prescelti furono selezionati direttamente dal Ministero della Propaganda rumeno. 

A Siviglia, i tifosi della Steaua si trovano immersi in un'atmosfera surreale. Sono una minoranza silenziosa di fronte all'onda dei Cules blaugrana presenti in città. In mezzo a quella marea di colori e di entusiasmo, i tifosi rumeni si aggrappano alla speranza, consapevoli che il loro sostegno, seppur numericamente inferiore, può aiutare la squadra a compiere l’impresa. 

La partita è un capolavoro di resistenza tattica. Jenei ha preparato la sua squadra per contenere le offensive del Barcellona. "Non possiamo batterli giocando il loro gioco ma possiamo costringerli a giocare il nostro." aveva ripetuto ai suoi ragazzi nelle settimane precedenti alla partita.

Il piano della partita è arroccarsi in difesa per impedire al Barcellona di sfondare. Schuster, il faro del gioco catalano, viene ingabbiato tra le linee mentre Archibald e Lineker si infrangono contro il muro difensivo eretto da Belodedici e soci. Per 90 minuti, la Steaua resiste eroicamente trascinando la partita ai tempi supplementari dove continua con lo stesso copione. E così dopo 120 minuti la partita si conclude sullo 0-0 portando la sfida ai calci di rigore.  

L'eroe silenzioso tra i pali

Come in ogni grande storia che si rispetti, c'è sempre un eroe inaspettato. Per la Steaua Bucarest quell'eroe ha le mani grandi e il coraggio di un leone. Il suo nome è Helmuth Duckadam. Ruolo portiere. Alto, possente, con un'espressione sempre seria, sembra un guardiano di antiche fortezze piuttosto che un atleta e, stilisticamente, non è il portiere più tecnico ed elegante del suo tempo.

Nato in una famiglia di origini tedesche nella regione del Banato, Duckadam è l’immagine della determinazione silenziosa. Nessuno, fino ai calci di rigore, può immaginare che quest’uomo riservato, non appariscente, sarebbe diventato la leggenda di una delle più grandi imprese nella storia del calcio europeo. 

Mentre milioni di rumeni trattengono il respiro davanti ai rari televisori presenti nelle case rumene, Helmuth Duckadam si trasforma in un eroe.

La sequenza dei rigori è un susseguirsi di emozioni contrastanti. Il primo a presentarsi sul dischetto è Majearu della Steaua, ma il suo tiro debole e centrale è facilmente intercettato dal portiere blaugrana Urruti. È Alexanko a inaugurare la serie per il Barcellona, ma Duckadam si supera, deviando il tiro angolato con un balzo felino sulla sua destra. Anche Bölöni subisce la stessa sorte, Urruti respinge il suo tiro. Tocca a Pedraza a tentare di rompere l’equilibrio ma Duckadam riesce a toccare la sua conclusione destinata all'angolo basso alla sua destra. A rompere l'incantesimo ci pensa Lăcătuș, che con un bolide sotto la traversa trafigge Urruti e porta in vantaggio la Steaua. E tocca di nuovo al Barcellona che si affida al "Pichi" Alonso, entrato nei supplementari, per ristabilire la parità. Carico di responsabilità il giocatore s’incammina verso il dischetto pensando: “Duckadam è andato a destra due volte, non ci andrà di nuovo. Tiro lì”. Il portiere rumeno, forse accorgendosi dei pensieri del suo avversario, lo pressa psicologicamente e si posiziona sulla linea di porta facendo intendere ad Alonso che si butterà alla sua sinistra ma mentre il giocatore blaugrana si appresta a tirare, Duckadam si sposta leggermente alla sua destra. Alonso vede il cambio di posizione ma è troppo tardi per cambiare angolo. Ne esce un tiro debole che Duckadam blocca con sicurezza. 

Con due rigori ancora da battere per il Barcellona, per la Steaua è il turno di Balint. Il centrocampista rumeno con grande freddezza non si fa spaventare dai fischi dei 60.000 tifosi e realizza il miglior rigore della serie, spiazzando Urruti. Poi, l'ultimo atto: Marcos Alonso Peña contro Helmut Duckadam. L'attaccante spagnolo calcia debole e centrale e il portiere rumeno blocca senza difficoltà.

È la parata che scrive la storia e consegna la Coppa dei Campioni alla Steaua Bucarest. Helmut Duckadam diventa per tutti "L'Eroe di Siviglia" capace di compiere anche un’impresa nell’impresa: parare quattro rigori su quattro, fatto mai visto prima e mai replicato in una finale europea.

"Cupa Campionilor Europeni eşte la Bucureşti!"

Quando Duckadam para il rigore decisivo, Il telecronista rumeno, Teoharie Coca-Cosma, pronuncia una frase destinata a entrare nella storia: "Apără Duckadam! Suntem finalişti! Am câştigat Cupa! Cupa Campionilor Europeni eşte la Bucureşti!" ("Para Duckadam! Siamo finalisti! Abbiamo vinto la Coppa! La Coppa dei Campioni è a Bucarest!"). L'intera Romania esplode in una gioia che supera di gran lunga quella sportiva. 

Per la prima volta, una squadra dell'Est Europa conquista la Coppa dei Campioni, rompendo un tabù e dimostrando che anche al di là della cortina di ferro si possono raggiungere risultati di alto livello. I giocatori della Steaua, però, non sono preparati a festeggiare e dopo la vittoria e la doccia di rito, tornarono in albergo a stappare una semplice bottiglia di champagne. 

Il giorno dopo, mentre sono a passeggio per le vie della città spagnola, i tifosi locali del Siviglia e del Betis, riconoscono i giocatori della Steaua e offrono loro interminabili giri di birra chiedendo autografi, foto e facendo festa.

La squadra torna a Bucarest accolta, dal popolo rumeno, come eroi nazionali. Perfino Ceaușescu, che non aveva mai mostrato particolare interesse per il calcio, vuole incontrare i giocatori ma riserva loro parole molto fredde, sostenendo che se si fossero impegnati di più avrebbero potuto vincere la coppa nei tempi regolamentari. Nonostante questo, la propaganda del regime si appropria di quel successo.

Per il popolo rumeno, invece, la vittoria della Steaua rappresenta qualcosa di più profondo: la dimostrazione che i muri, fisici o ideologici, potevano essere abbattuti.

Tuttavia, la gioia per la vittoria viene presto offuscata da eventi controversi. La carriera di Duckadam subisce un brusco stop a causa di una presunta trombosi alle mani, alimentando voci di complotti e vendette da parte del regime. Secondo alcune ricostruzioni, il portiere si sarebbe rifiutato di cedere una lussuosa auto regalatagli dal presidente del Real Madrid a Nicu Ceaușescu, figlio del dittatore, subendo per ritorsione una frattura ai polsi. Lo stesso Duckadam, anni dopo, smentirà questa versione, ma i dubbi sono sempre rimasti.

L'eredità di una notte eterna

La vittoria della Steaua non è stata soltanto un trionfo sportivo. È stata il simbolo di un'epoca, la dimostrazione che il calcio poteva ancora essere romantico, che la disciplina e il cuore potevano superare il potere economico e il favore del pubblico. Nonostante ciò, il suo nome rimane ancora oggi scolpito nel mito.

La vittoria dello Steaua Bucarest nella Coppa dei Campioni fu un momento storico che segnò un'epoca, lasciando un'eredità duratura nel calcio rumeno e internazionale.

La Steaua aveva scalato la montagna più alta, aveva dimostrato che il calcio dell'Est poteva sognare e vincere. In un periodo storico segnato da restrizioni politiche ed economiche, il trionfo della squadra rumena rappresentò un raggio di speranza e un motivo di orgoglio per l'intera Romania. 

La Steaua diventa la prima squadra dell'Europa orientale a vincere la Coppa dei Campioni. Poi riuscirà ancora a competere ad alti livelli nelle edizioni successive del torneo, raggiungendo la semifinale nel 1988 e la finale nel 1989, poi persa contro il Milan di Sacchi.

La Steaua oggi: un'eredità divisa

Dopo la caduta del regime comunista, la Steaua vive momenti di turbolenza e un periodo di transizione, segnato dalla privatizzazione e da cambiamenti societari. Nel 1998, la squadra di calcio viene scorporata dalla società polisportiva dell'esercito e acquisita dal noto procuratore sportivo Gigi Becali.

Becali inizia una lunga battaglia legale con il Ministero della Difesa per la proprietà del marchio e del nome che porta alla scissione del club e alla nascita di due entità distinte. Due Steaua: la prima proprietaria di ragione sociale, marchio e colori; la seconda depositaria della storia calcistica e dei trofei del club. Nel 2017, il tribunale supremo accoglie un ricorso del Ministero della Difesa, obbligando la società di Becali a rinunciare alla denominazione Steaua che diventa Fotbal Club FCSB, pur continuando a utilizzare informalmente il nome di Steaua Bucarest. L'esercito si appropria, invece, del nome e del logo, e crea una nuova società con il nome Steaua Bucarest e facendola partire dalla quarta serie rumena.

Nonostante la disputa, per la UEFA e la Federazione Rumena, l'unica Steaua rimane quella di proprietà di Becali. 

La vittoria della Coppa dei Campioni della Steaua rimane un evento leggendario. La storia di quella squadra, fatta di talento, sacrificio e spirito di gruppo, continua a emozionare e ispirare generazioni di appassionati. 

È la testimonianza di come, talvolta, il calcio possa diventare molto più di un gioco, trasformandosi in un potente veicolo di speranza, identità e resistenza culturale. In un'Europa ancora divisa da muri e ideologie, undici uomini in maglia rossa (anche se bianca in finale) dimostrarono che il talento, la determinazione e il coraggio potevano superare qualsiasi barriera, reale o percepita.

Oggi, quando i tifosi più anziani della Steaua si riuniscono nei caffè di Bucarest, i loro occhi brillano ancora raccontando di quella notte di maggio. E quando parlano di Duckadam, Lăcătuș, Belodedici, Piturca e compagni, nelle loro voci c'è la reverenza che si riserva a degli eroi … e come scrisse il poeta rumeno Nichita Stănescu in un'ode alla squadra: "In un tempo in cui le stelle sembravano spente, voi avete dimostrato che la nostra stella brillava più forte che mai."

Questa stella continua a brillare, oltre ogni confine, oltre ogni tempo.

Racconto a cura di Biagio Gaeta

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