Iván de la Peña, il piccolo Buddha
Barcellona, una delle città più belle d’Europa, forse del Mondo: è sul mare, è viva, ha il fascino del suo animo indipendentista. La città ha due squadre: il FC Barcelona, orgoglio catalano, e la squadra da sempre lealista alla corona, il Reial Club Deportiu Espanyol de Barcelona, noto come Espanyol.
I due club danno vita, dal 20 gennaio 1929, al “derbi barcelonés”: i blanquiazul non lo vincono dal 2009. Sono diversi i giocatori che hanno vestito entrambe le camisetas: il primo è stato Ricardo Zamora, l’ultimo Martin Braithwaite. Tra questi, il protagonista della nostra storia, Iván de la Peña.
Da Santander a idolo del Nou Camp
De la Peña si forma nella principale squadra di Santander, il Racing, la più nota della Cantabria. Entra nel settore giovanile e gioca a centrocampo, poi quando è in età adolescenziale sia lui che il club capiscono una cosa: per Ivan, lì, non c’è speranza di emergere.
Nel 1993, a 17 anni, è ingaggiato dal Barcellona. Motivato, si fa 540 chilometri verso il Mediterraneo, ma non avrà vita facile: il Barcellona è un club più strutturato del Racing Santander, le due squadre hanno obiettivi diversi, ma il giovane Iván capisce di essere l’uomo giusto-al posto giusto-al momento giusto. Deve fare la trafila della juvenil ed entra a far parte del Barcellona B, in Segunda division. Nel giro di due anni debutta in prima squadra. E come può essere diversamente? Ha intelligenza calcistica, ha il piede educato, tutte le azioni passano dai suoi piedi.
Il debutto avviene il 3 settembre 1995 a Valladolid: il Barça vince e de la Peña cosa fa? Segna il gol del definitivo 0-2. L'allenatore è Johan Crujiff, uno che di giovani e campioni se ne intende. Ha forti dubbi sul ragazzo di Santander: è pigro, si impegna poco, è lento. Gli riconosce però una tecnica sopraffina e, dopo quel gran debutto, può ritenerlo una scommessa vinta. Da quel 3 settembre, Iván de la Peña giocherà con il Barcellona in tutto 81 partite segnando nove reti. Con lui in campo, il Barcellona riapre la bacheca: una Liga, tre Coppa del Rey, una Supercoppa spagnola, una Coppa delle Coppe ed il titolo di miglior giovane del campionato spagnolo vinto proprio nella stagione del debutto. Titolo poi vinto anche l’anno successivo.
La sua seconda stagione con il club (la 1996/1997) è quella della consacrazione: a 21 anni, de la Peña è uno dei giocatori più in vista in Europa, un talento innato e cristallino che sta facendo le fortune del Barcellona. L’allora tecnico catalano, l’inglese Bobby Robson, ha un top team: in mezzo a centrocampo ha il ragazzo di Santander e Pep Guardiola, a centrocampo poi c’è anche Luis Figo e davanti ci sono Stoichkov e Ronaldo. Proprio con l’attaccante brasiliano, suo coetaneo, il feeling è incredibile.
Si aprono anche le porte della Nazionale Under 21 e de la Peña conduce la Spagna alla finale dell’Europeo del 1996: avversaria l’Italia di Maldini che vincerà il trofeo per la terza volta consecutiva, sconfiggendo la baby Roja ai rigori. De la Peña sbaglia il suo. Lo dice anche de Gregori che “non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore”, ma l’amarezza per il rigore sbagliato è forte.
La fatica del Barca ad affermarsi in Spagna nonostante la Coppa delle Coppe conquistata nel ‘97, la partenza di Ronaldo per l'Inter e l'arrivo in panchina del sergente di ferro Louis van Gall sono i fattori che influenzano negativamente De la Peña. Avrà la sua stagione peggiore proprio nel momento del triplete d'oro del Barça e, dopo cinque anni, prende una strada diversa.
L’amara stagione alla Lazio
Gli anni Novanta sono la decade del calcio italiano: arrivano tante coppe europee quanto i calciatori più forti del Mondo. C’è una squadra che in quegli anni vuole fare il grande salto: è la Lazio di Cragnotti, presidente munifico con idee chiare e che investe tantissimo nella squadra.
L’obiettivo è lo Scudetto che, nel 1998, manca in bacheca ormai da ventiquattro anni. Durante l'estate, Cragnotti fa il colpo da novanta: porta a Formello “el pequeño Buddha” Iván de la Peña. Con lui, arrivano alla corte di mister Sven Göran Eriksson anche Salas, Stankovic, Mihajlovic e Sergio Conceiçao (che compensano le partenza di Signori, Jugovic, Casiraghi, Chamot e Fuser). Tra questi poi arriva anche Fernando Couto, difensore roccioso made in Portogallo anche lui del Barcellona.
La Lazio acquista il centravanti cantabrico per 30 miliardi di lire e lo ingaggia a 6 miliardi a stagione per quattro anni: un colpo sensazionale per un giocatore sensazionale. Molti storcono il naso: 6 miliardi sono davvero tanti, ma se si vuole vincere, c’è da spendere.
I tifosi lo attendono all’aeroporto e a Formello con tanta trepidazione, aspettative e l’arrivo è da star hollywoodiana: il “piccolo Buddha” rimane stupito ed affascinato da questa accoglienza.
Uno potrebbe pensare: accoglienza top, campionato top. Per la Lazio, sì: secondo posto in campionato (miglior posizione dai tempi dello scudetto di Maestrelli e Chinaglia), vittoria di Supercoppa italiana, Coppa delle Coppe e (anche se rientra nella stagione successiva) Supercoppa europea a Montecarlo contro il Manchester United campione d’Europa.
Per de la Peña, no: 23 partite totali, una sola rete segnata (il 3-0 nei quarti di finale al ritorno contro i greci del Panionios). In poche giornate, passa dal centrocampo alla panchina. E lì rimane tutta la stagione, tanto da non giocare nemmeno la finale del “Villa Park” contro il Maiorca.
Gioca ad inizio stagione la finale di Supercoppa italiana contro la Juventus campione d’Italia risultando determinante per i gol di Nedved e Conceiçao, poi basta. In una stagione sembra che il giocatore abbia dimenticato come si gioca a calcio, deludendo tutta la piazza. Tutti vedevano in lui il competitor di Zidane, ma così non è stato. E’ necessario cambiare aria.
Un’altra amara stagione con l’Olympique Marsiglia
Le soluzioni possibili sono due: rimettersi in riga o cambiare aria. Più facile cambiare aria, per uno che non ha messo il sacrificio e l’allenarsi bene al primo posto. Urge trovare una sistemazione, ma dove? Chi avrebbe preso, anche solo un prestito, un giocatore strapagato reduce da un’annata no?
L’unica squadra che si fa avanti è l’Olympique Marsiglia, in Ligue 1, lontana parente della squadra fortissima di inizio anni Novanta. Il club francese accoglie il talento spagnolo ed è pronta a rigenerarlo, tanto che gli dà anche la maglia numero 10.
La stagione del club è negativa con un anonimo quindicesimo posto e la batosta (5-1) in Champions all’Olimpico proprio contro la Lazio.
Quell’anno in riva al Mediterraneo, Iván de la Peña va peggio che a Roma: 19 presenze ed un gol. Un’involuzione terribile. Che fare ora?
Tutto torna al suo posto: i nove anni all’Espanyol
In pochi anni, Iván de la Peña, anche per colpa sua, ha dissipato tutto il suo talento. Nel 2002 il “piccolo Buddha” ha 26 anni e sa di dare ancora tanto, ma sa che deve darsi una mossa e cambiare atteggiamento.
Mentre si disputano i Mondiali di calcio in Corea e Giappone (con la Spagna che nei quarti viene eliminata dalla Corea del Sud padrona di casa), Iván de la Peña torna in Catalogna e capisce che da lì, dalla città che lo aveva adottato a 17 anni, deve ripartire e per farlo firma con il club antagonista del Barcellona, l’Espanyol.
L’Espanyol fino a quel 2002 non ha raccolto molto nella sua storia: tre Coppe di Spagna, qualche apparizione in Segunda Division, e tre terzi posti come miglior posizione in campionato. Potrebbe essere il luogo, l’ultimo, dove dimostrare a tutti che le quattro stagioni precedenti sono state un errore, per tutti. Del resto, una volta toccato il fondo si può solo risalire, dice il detto.
Come va l’esperienza in maglia blanquiazul per de la Peña? Nove stagioni, 206 partite, nove reti, una Coppa di Spagna vinta e la prima convocazione in Nazionale a 29 anni nel 2005 dopo le esperienze nella Under 21 e nell’Olimpica. Nella stagione 2006/2007 il talento di Santander porta il club alla finale di Copa del Rey (persa contro il Barcellona in un inedito “derbi” in una finale di coppa domestica) e a un’incredibile finale di Coppa Uefa, perdendo in maniera rocambolesca contro il Siviglia.
Un cammino che ha visto il club allora allenato da Ernesto Valverde vincere a mani basse il proprio girone e sconfiggere nei sedicesimi il Livorno, il Maccabi Haifa negli ottavi, il Benfica nei quarti ed il Werder Brema in semifinale.
Con de la Peña in squadra, l’Espanyol diventa protagonista e non più solo “la seconda squadra di Barcellona”, quella legata alla monarchia e non alla causa secessionista catalana. A proposito di derby con il Barcellona, tra il 2002/2003 e il 2010/2011 se ne giocheranno quarantaquattro e due li vincerà l’Espanyol, tra cui quello del 21 febbraio 2009 vinto al Camp Nou con doppietta propria di de la Peña.
Il 19 maggio 2011, a 35 anni, de la Peña si ritira: una carriera piena di “what if”. Un talento che non riusciva a emergere ovunque, ma solo dove ha trovato posti e persone che gli consentivano di esprimersi. Inespresso non per tutti, alla fine.
Ovvero la Barcellona sponda Espanyol.
Racconto a cura di Simone Balocco