Un paese, una stella
Fondata il 4 marzo 1945, la Stella Rossa nasce dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale come club dell'esercito popolare jugoslavo. Il suo nome e il suo colore non sono casuali: rappresentano l'ideologia comunista che guida la Jugoslavia di Tito nei decenni successivi. La stella a cinque punte, simbolo del socialismo, diviene presto più di un semplice emblema calcistico: è l'espressione di un'identità nazionale che Tito sta forgiando, un mosaico di popoli slavi uniti sotto un'unica bandiera.
"Costruimmo quel club con l'idea che potesse rappresentare l'unità nella diversità della nostra Jugoslavia", ricorda anni dopo uno dei fondatori. "Non immaginavamo che un giorno sarebbe diventato uno degli ultimi simboli di quella unità, proprio mentre tutto stava per crollare."
Dal 1945 al 1990, la Stella Rossa costruisce già una storia rispettabile, vincendo 18 campionati jugoslavi e affermandosi come una delle potenze calcistiche dell'Est Europa. Ma nessuno può prevedere che proprio nel momento più buio della storia jugoslava, quella stella brillerà più intensamente che mai.
La Jugoslavia in frantumi: il contesto di un'epoca
Per comprendere appieno la grandezza dell'impresa della Stella Rossa, è necessario immergersi nel contesto storico della Jugoslavia di fine anni '80 e inizio '90.
Dopo la morte di Tito nel 1980, il paese comincia a mostrare profonde crepe. La classe politica che gli succede non ha né la forza né l'autorità per mantenere la coesione di un paese tanto complesso. La crisi economica degli anni '80 esaspera tensioni sopite: l'inflazione galoppante (che raggiunge il 2000% nel 1989), il debito estero insostenibile e la disoccupazione crescente creano il terreno fertile per la rinascita dei nazionalismi.
Slobodan Milošević in Serbia, Franjo Tuđman in Croazia, e altri leader nazionalisti nelle varie repubbliche jugoslave soffiano già sul fuoco dell'odio etnico. Il Kosovo è già in stato di emergenza. La Slovenia guarda con interesse crescente all'Occidente e all'indipendenza. La Bosnia-Erzegovina vive un equilibrio sempre più precario tra le sue componenti etniche.
"È come vivere su un vulcano", ricorda Dejan Savićević, una delle stelle di quella squadra. "Sappiamo che qualcosa sta per accadere, ma nessuno immagina quanto sarà devastante. Il calcio è una delle poche cose che ancora unisce persone di etnie diverse."
In questo contesto esplosivo, lo sport, e in particolare il calcio, diventa uno degli ultimi spazi in cui l'idea jugoslava può ancora manifestarsi. Eppure, anche gli stadi stanno diventando luoghi di manifestazioni nazionaliste. La famigerata partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa del 13 maggio 1990, mai giocata a causa di violenti scontri tra tifosi, è considerata da molti storici come l'inizio simbolico della guerra jugoslava.
Ed è proprio in questo clima che la Stella Rossa si appresta a vivere la sua stagione più gloriosa.
I maestri di Belgrado: una squadra di talenti straordinari
La squadra che nella stagione 1990-91 conquista l'Europa è il frutto di anni di lavoro della scuola calcistica jugoslava, una delle più raffinate del continente. La Stella Rossa costruisce una rosa che rappresenta perfettamente il mosaico etnico della federazione, seppur con una predominanza serba.
L'artefice di quel capolavoro è Ljubomir Petrović, detto "Ljupko", un allenatore dalla personalità forte e dalle idee tattiche innovative. Ex giocatore della Stella Rossa negli anni '60, Petrović sviluppa un calcio offensivo, basato sulla tecnica individuale e sulla velocità di esecuzione. Il suo 4-4-2 fluido, che spesso si trasforma in 4-3-3, è all'avanguardia per quei tempi.
"Petrović ci dice sempre: 'Il pubblico viene allo stadio per vedere gol e spettacolo, non per vedere difese chiuse'", ricorda Vladimir Jugović. "Ha capito che con i giocatori tecnici che abbiamo, dobbiamo puntare sull'attacco."
In porta, la squadra può contare su Stevan Stojanović, capitano e leader morale del gruppo. Serbo di nascita, Stojanović incarna lo spirito combattivo della squadra, con una leadership silenziosa ma efficace.
La difesa è un mix di esperienza e talento emergente. Il romeno Miodrag Belodedici, fuggito dalla Romania di Ceaușescu nel 1988, porta con sé l'esperienza di chi ha già vinto una Coppa dei Campioni con la Steaua Bucarest nel 1986. Al suo fianco, il talentuoso Refik Šabanadžović e il solido Slobodan Marović garantiscono sicurezza. Sulle fasce, Siniša Mihajlović si sta già affermando come uno dei migliori battitori di calci piazzati al mondo.
A centrocampo, il genio e la sregolatezza sono rappresentati da Robert Prosinečki, croato dal talento cristallino ma dal carattere complesso. Accanto a lui, la solidità di Jugović e la classe di Savićević creano un reparto di livello mondiale. Proprio Savićević, montenegrino dal piede vellutato, rappresenta la quintessenza del talento balcanico: imprevedibile, a tratti indolente, ma capace di giocate che lasciano a bocca aperta.
In attacco, il macedone Darko Pančev, soprannominato "Cobra" per la sua freddezza sotto porta, è la punta di diamante. Capocannoniere della stagione europea con 7 gol, Pančev rappresenta l'efficacia di un attacco che ha in Dragiša Binić un'altra freccia importante al proprio arco.
"Quella squadra era un concentrato di talento puro", dichiara anni dopo Fabio Capello, che avrebbe poi allenato Savićević al Milan. "Avevano una tecnica individuale straordinaria, tipica della scuola jugoslava, ma anche una maturità tattica che li rendeva completi."
L'età media della squadra è di appena 22,5 anni. Una generazione d'oro che, in altre circostanze, avrebbe potuto dominare il calcio europeo per anni. Il destino, tuttavia, ha altri piani.
La marcia trionfale: il cammino in Coppa dei Campioni
Il cammino della Stella Rossa nella Coppa dei Campioni 1990-91 inizia nell'agosto 1990, quando la Jugoslavia è già attraversata da forti tensioni ma nessuno può ancora immaginare l'imminente tragedia.
Il primo turno vede i ragazzi di Petrović opposti agli svizzeri del Grasshoppers. All'andata, in Svizzera, la Stella Rossa ottiene un prezioso pareggio (1-1), per poi dominare al ritorno con un netto 4-1 al Marakana di Belgrado, lo stadio che i tifosi della Stella Rossa hanno soprannominato così in onore del ben più famoso impianto brasiliano.
È nel secondo turno che la squadra jugoslava mostra di avere non solo classe, ma anche carattere. Contro i Rangers di Glasgow, la Stella Rossa domina l'andata con un secco 3-0 (reti di Prosinečki, Binić e Savićević). Al ritorno, in una atmosfera infuocata dell'Ibrox Park, i ragazzi di Petrović sanno resistere, pareggiando 1-1 grazie a una rete di Pančev che mette a tacere il pubblico scozzese.
Di quella trasferta a Glasgow si racconta un aneddoto emblematico della personalità di Savićević. Mentre la squadra entra in campo per il riscaldamento, sommersa dai fischi del pubblico locale, Prosinečki si volta verso il compagno montenegrino dicendo: "Questi vogliono mangiarci vivi". Savićević, con il sorriso sornione che lo caratterizza, risponde: "Non ti preoccupare, noi mangiamo gli scozzesi a colazione".
Nei quarti di finale, la strada verso la gloria porta la Stella Rossa a incontrare la Dinamo Dresda, allora una delle migliori squadre della Germania Est, che sta vivendo l'ultimo anno di divisione tedesca. Ancora una volta, gli jugoslavi sono dominanti all'andata, vincendo 3-0 a Belgrado. Il ritorno ha un epilogo controverso: sul punteggio di 2-1 per i tedeschi, al 78° minuto, violenti disordini provocati dai tifosi della Dinamo costringono l'arbitro a sospendere la partita. La UEFA decide di assegnare la vittoria a tavolino (3-0) alla Stella Rossa, che si qualifica così con un complessivo 6-0.
La semifinale contro il Bayern Monaco rappresenta il momento più alto del percorso europeo. All'andata, all'Olympiastadion di Monaco, la Stella Rossa conquista una storica vittoria per 2-1, con reti di Pančev e Savićević. Al ritorno, a Belgrado, in un'atmosfera elettrizzante, la partita termina 2-2, con i tedeschi (a segno con Augenthaler e Bender) che non riescono a ribaltare il risultato.
Di quella semifinale si ricorda un episodio significativo: al termine della partita, Klaus Augenthaler, capitano del Bayern e campione del mondo con la Germania nel 1990, si avvicina a Savićević per chiedergli la maglia, dicendogli: "Sei uno dei migliori giocatori contro cui abbia mai giocato". Un riconoscimento straordinario da parte di uno dei difensori più forti dell'epoca.
E così, la Stella Rossa si qualifica per la finale di Bari, dove l'attende l'Olympique Marsiglia di Chris Waddle, Jean-Pierre Papin e Abedi Pelé, guidato in panchina dal "mago" belga Raymond Goethals.
La notte di Bari: il trionfo europeo
Il 29 maggio 1991, allo Stadio San Nicola di Bari, la Stella Rossa si presenta alla sua prima finale di Coppa dei Campioni. In Jugoslavia, le tensioni politiche sono ormai al culmine: meno di un mese dopo, Slovenia e Croazia dichiareranno l'indipendenza, dando inizio alla disgregazione violenta della federazione.
Per la finale di Bari, i tifosi della Stella Rossa si mobilitano in massa. Molti di loro viaggiano in auto, autobus e persino in treno per raggiungere l'Italia. La città di Bari viene invasa da migliaia di tifosi jugoslavi, che colorano le strade con i colori biancorossi della loro squadra. Un aneddoto curioso riguarda un tifoso che, per assistere alla finale, vende la sua auto per finanziare il viaggio. Questo gesto estremo dimostra quanto sia grande l'amore dei tifosi per la Stella Rossa. Dopo la vittoria, il tifoso dichiara che non avrebbe mai rimpianto la sua decisione, poiché ha assistito a uno dei momenti più belli della sua vita.
Ma per una sera, un intero paese si ferma davanti ai televisori, unito da un'unica passione. La finale contro il Marsiglia non è uno spettacolo di bel gioco. Consapevole della forza offensiva dei francesi, Petrović opta per un approccio più prudente del solito. "Per una volta, dobbiamo pensare prima a non prenderle", dice ai suoi giocatori prima della partita.
Ne esce una gara tesa, tattica, bloccata, che si conclude 0-0 dopo i tempi supplementari. Ai rigori, dopo che entrambe le squadre hanno segnato i primi due tentativi, Manuel Amoros si fa parare il tiro da Stojanović. I successivi rigoristi della Stella Rossa non falliscono, e Darko Pančev trasforma il penalty decisivo, consegnando la coppa alla squadra jugoslava.
"Quando vidi la palla entrare, pensai che stavamo vivendo un sogno", ricorda anni dopo Stojanović. "Non è stata solo una vittoria sportiva, è qualcosa che va oltre. Abbiamo dimostrato che anche noi, venendo da un paese con problemi enormi, possiamo essere i migliori d'Europa."
Le immagini del capitano Stojanović che solleva la coppa, circondato dai compagni in lacrime, rimangono uno dei momenti più iconici nella storia del calcio europeo. È la prima volta che una squadra jugoslava conquista il trofeo più prestigioso del calcio per club.
Una curiosità poco nota: la sera prima della finale, Bernard Tapie, il vulcanico presidente del Marsiglia, prova a disturbare il sonno della squadra jugoslava. Scoperto dove alloggia la Stella Rossa, organizza una festa chiassosa nell'hotel di fronte, con musica ad alto volume. Petrović, venuto a conoscenza del piano, fa cambiare albergo ai suoi giocatori all'ultimo momento, permettendo loro di riposare tranquillamente.
L'ultimo valzer: la Supercoppa e l'Intercontinentale
La vittoria di Bari non è l'ultimo capitolo della favola della Stella Rossa. Il 19 agosto 1991, a Manchester, i "biancorossi" affrontano lo United (vincitore della Coppa delle Coppe) nella Supercoppa Europea. In un'atmosfera surreale, con la guerra già iniziata in alcune parti della Jugoslavia, i Red Devils si impongono per 1-0, con gol di Brian McClair.
Ma è l'8 dicembre 1991 che la Stella Rossa completa il suo triplete internazionale. A Tokyo, nella finale della Coppa Intercontinentale (l'attuale Mondiale per Club), i jugoslavi affrontano il Colo Colo, campione del Sudamerica. Con la Jugoslavia ormai in piena disgregazione, la Stella Rossa vince 3-0, con gol di Jugović e doppietta di Pančev, laureandosi campione del mondo.
"A Tokyo siamo ormai una squadra senza paese", ricorda anni dopo Vladimir Jugović. "Giochiamo sotto una bandiera che rappresenta una nazione che non esiste più, almeno non come l'abbiamo conosciuta. È strano ed emotivamente difficile, ma ci spinge a dare ancora di più."
Quella vittoria rappresenta il canto del cigno di una squadra destinata a dissolversi rapidamente, proprio come il paese che rappresenta.
La diaspora: la fine di un sogno
Come una stella che brilla intensamente prima di spegnersi, la Stella Rossa che ha dominato l'Europa si dissolve rapidamente. La guerra e le sanzioni economiche imposte alla nuova Repubblica Federale di Jugoslavia (Serbia e Montenegro) rendono impossibile trattenere i talenti migliori.
Savićević è il primo a partire, direzione Milan, dove diventerà "il Genio" sotto la guida di Fabio Capello, vincendo tutto con i rossoneri. Prosinečki si trasferisce al Real Madrid, Mihajlović alla Roma, Pančev all'Inter (dove, paradossalmente, non riesce mai a esprimersi ai livelli della Stella Rossa). Jugović fa una carriera brillante tra Sampdoria e Juventus, vincendo un'altra Champions League con i bianconeri nel 1996.
Questa diaspora di talenti non fa che accrescere la leggenda di quella squadra. Molti esperti si chiedono cosa sarebbe potuto accadere se quella generazione fosse rimasta unita, sia a livello di club sia in nazionale. Il giornalista britannico Jonathan Wilson, nel suo libro "Behind the Curtain", definisce la Stella Rossa del 1991 come "l'ultima grande orchestra jugoslava, un'armonia perfetta di talenti che non avrebbe mai più potuto suonare insieme".
La guerra nei Balcani non solo disperde i talenti, ma cambia per sempre il DNA del calcio nell'ex Jugoslavia. Le sanzioni economiche, l'isolamento internazionale e la crisi economica devastante trasformano la Serbia in una periferia calcistica dell'Europa, dopo essere stata per decenni uno dei centri nevralgici di talento e innovazione tattica.
La Stella Rossa, come club, precipita in una crisi profonda. Lo stadio Marakana, una volta teatro di imprese epiche, diviene spesso scenario di manifestazioni nazionaliste. Il club continua a dominare il campionato locale, ma in Europa diventa rapidamente una comparsa.
Una curiosità amara: Pančev, dopo il trasferimento all'Inter, sviluppa quella che molti definiscono la "sindrome di Basilea" (dal nome della città svizzera dove gioca una delle sue peggiori partite con i nerazzurri). Da implacabile goleador, diviene improvvisamente incapace di segnare, al punto che il suo nome diventa in Italia sinonimo di acquisto deludente.
L'eredità: una stella che non si spegne
Nonostante il declino successivo, l'eredità della Stella Rossa del 1991 rimane indelebile nella storia del calcio. Quella squadra non rappresenta solo l'ultimo capolavoro del calcio jugoslavo, ma anche un modello di football offensivo e spettacolare che influenza generazioni di allenatori.
In Serbia, quella vittoria è diventata parte dell'identità nazionale, un momento di orgoglio collettivo in anni difficili. "Durante i bombardamenti NATO del 1999, guardiamo i video di quella finale per ricordarci che una volta eravamo stati i migliori d'Europa", racconta un tifoso in un documentario sulla Stella Rossa.
Nel resto dell'ex Jugoslavia, il ricordo è più complesso. Per molti croati, bosniaci o sloveni, quella Stella Rossa è vista attraverso la lente distorta della guerra e del nazionalismo serbo. Eppure, anche loro non possono negare la grandezza sportiva di quella squadra e il fatto che rappresentasse l'ultima espressione di un'identità jugoslava ormai perduta.
Negli anni, i protagonisti di quell'impresa prendono strade diverse, anche dal punto di vista politico. Siniša Mihajlović, scomparso prematuramente nel 2022, diventa una figura controversa per le sue posizioni nazionaliste serbe. Prosinečki, dopo una carriera da allenatore, guida le nazionali di Azerbaigian e Bosnia. Savićević diventa presidente della Federazione calcistica montenegrina dopo l'indipendenza del Montenegro nel 2006.
Proprio Savićević sottolinea sempre come quella squadra rappresentasse l'ultimo momento di unità nella diversità: "Siamo serbi, croati, montenegrini, macedoni, uniti dalla stessa maglia. Il nostro trionfo appartiene a tutta l'ex Jugoslavia, non solo alla Serbia."
Negli ultimi decenni, la Stella Rossa cerca di ricostruire il suo prestigio, ma le difficoltà economiche e la marginalizzazione del calcio serbo nel contesto europeo rendono l'impresa ardua. Il club continua a dominare il campionato serbo insieme all'eterno rivale del Partizan, ma in Europa fatica a competere con le potenze economiche del calcio moderno.
Nel 2018, la qualificazione alla fase a gironi della Champions League viene accolta come un trionfo, a testimonianza di quanto siano cambiate le ambizioni. Nel dicembre 2023, la Stella Rossa riesce a qualificarsi agli ottavi di Europa League, un risultato che, seppur modesto rispetto ai fasti del passato, riaccende l'entusiasmo dei tifosi.
Oggi, a più di trent'anni di distanza, quella Stella Rossa rimane un simbolo di ciò che il calcio balcanico poteva essere e non è stato. Un esempio di come lo sport possa trascendere i confini e le divisioni, anche se solo temporaneamente. Un ricordo agrodolce di un paese che non esiste più, ma che per una notte di maggio, a Bari, è il re d'Europa.
Come disse una volta Ljupko Petrović, con una saggezza che va oltre il calcio: "A volte, nei momenti più bui, le stelle brillano più intensamente. La nostra brilla ancora abbastanza da essere ricordata per sempre."
Racconto a cura di Biagio Gaeta