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Giuseppe Rossi, Vietato mollare!

Storia del wonder kid d'oltreoceano con un sogno azzurro (infranto) nel cuore. Il potenziale crack del calcio italiano -tradito da due ginocchia fragili come foglie attaccate al ramo in autunno- non si è ancora arreso. La sua storia sarebbe già una di quelle da raccontare,  ma  occhio che non è ancora finita. Pepito Rossi non molla mai!
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Giuseppe "Pepito" Rossi - Illustrazione di Tacchetti di Provincia
" Si uccide un uomo con l’imprevisto come un bue con la mazza "
Victor Hugo

Beh, Giuseppe non potrebbe essere meno d’accordo di così. La bacheca dei trofei a casa Rossi è malinconicamente vuota, ma lui c’è, è vivo e ogni mattina si sveglia con una voglia di calcio smisurata ed un unico obiettivo ben chiaro in testa: calcare con i suoi scarpini il manto erboso del Centro Sportivo “GB Fabbri”, casa della Spal.
Servirà ancora pazienza per coloro che si aspettano di veder volgere al termine la lunga e travagliata storia di un giocatore incapace di arrendersi e perdutamente innamorato del pallone.

Per sempre, uno dei calciatori che più rimarrà nel cuore degli appassionati di questo sport.
Trofei, vittorie e successi: praticamente nessuno, ma quella tenacia con pochi eguali, quella dedizione, quella capacità di rimettersi sempre in piedi dopo i troppi tremendi infortuni hanno ispirato a tutti stima, affetto e crescente voglia di ammirare il suo mancino fatato.

Questo è quello che rende Giuseppe Rossi un giocatore magico.

La “pepita” del New Jersey

Il cognome è lo stesso, ma lui è “Pepito” e non “Pablito”. Il mitico Bearzot ci ha visto lungo nel ribattezzarlo in onore dell’eroe di Spagna ’82, -d’altronde- il talento, il fiuto del gol e la classe cristallina lo ricordavano tremendamente. Ciò che però il buon Enzo non poteva prevedere erano due ginocchia così fragili da tenerlo in infermeria per più di 1000 giorni. Praticamente gran parte di quella che poteva essere una carriera da vero fuoriclasse.

Cresciuto a pane e calcio nella piccola cittadina di Clifton, ad una ventina di minuti da New York, Giuseppe racchiude nel suo piede sinistro tutte le speranze di papà Fernando, che, in pieno stile stelle e strisce, sogna di vedere il figlio vestire la maglia della nazionale, ma ben inteso, quella italiana. Le origini della famiglia sono inconfondibili e il richiamo del “bel paese” è troppo forte. È proprio durante una delle vacanze estive in Abruzzo della famiglia Rossi, che l’appena dodicenne viene notato dal Parma. La strada è tracciata, Pepito sbarca in Italia, nelle giovanili del club ducale.

Crack

Forse una delle parole più utilizzate nel ripercorrere i passi del nostro eroe.
Nel 2004 il crac Parmalat destabilizza il club emiliano talmente tanto da costringere la società a mettere sul mercato persino una giovane promessa del vivaio come Giuseppe. Ad approfittarne è niente meno che lo United di Ferguson, tuttavia il peso della maglia più prestigiosa d’Inghilterra pare non farsi sentire sulle spalle dell’esuberante italo-americano. Diviene presto un pupillo di Sir Alex, ma nonostante i 4 centri in 14 partite disputate in maglia red devils, la concorrenza di due come Ronaldo e Rooney è spietata. 

Per giocare, bisogna andare via. 

Dunque, mezza stagione ancora a Parma in prestito, conquistando una fondamentale salvezza da protagonista (9 gol) e poi a titolo definitivo a Villarreal. Dal 2007, a bordo del sottomarino giallo Rossi è un portento. Gol, assist, giocate e un primo piccolo crack, quello del menisco rotto e del crociato stirato, ma niente paura, un infortunio del genere lo può tenere lontano dal campo solo qualche mese. Al ritorno è più forte di prima. Nelle stagioni successive, Pepito diventa il comandante del sottomarino e lo trascina verso vette sempre più insperate. Con in campo il loro sempre più prolifico 9 e 1/2 (un po’ bomber e un po’ fantasista) per i tifosi amarillo non è vietato sognare. 

Ad ogni pallone che Rossi recapita in fondo al sacco in Spagna, la consapevolezza che la nazionale azzurra possa aver finalmente ritrovato un leader tecnico ed un punto fermo del proprio reparto offensivo cresce sempre più. Ha personalità, la testa sulle spalle e soprattutto classe da vendere. Pare che nessuno lo possa fermare, ma poi.. 

nell’ottobre 2011… ancora crack. Questa volta il crociato destro è rotto. 3 operazioni chirurgiche, 1 anno e 7 mesi di stop complessivo e l’inizio di un calvario.

Il Villarreal senza il suo condottiero retrocedere e, così, a puntare sul talento americano è la Fiorentina. Lo aspetta, se lo coccola, lo cura e poi finalmente dopo una manciata di mesi, al rientro dopo l’interminabile riabilitazione, può godersi le giocate del proprio campione. Idolo viola, Pepito, tra lo stupore generale, pare essere tornato ancora una volta più forte di prima. 

Difficile che all’ombra della cupola del Brunelleschi qualcuno si sia dimenticato della storica rimonta gigliata ai danni degli acerrimi rivali juventini.

Il Franchi s’è appena abituato ad accendersi per le sue giocate quando -dopo appena un anno- sempre lo stesso ginocchio fa di nuovo crack. È il derby contro il Livorno in casa amaranto, quando Rinaudo tocca fallosamente l’avversario in mezzo al campo. Capiscono tutti subito cosa sia successo: un incubo. Ogni volta il recupero si fa sempre più duro e le ricadute più frequenti, così come le complicazioni. Passano i giorni, i mesi e gli anni. Di Pepito poco niente, di sicuro non di quello vero.Ma non basta, perché al povero Giuseppe, mentre prova a rilasciarsi in Liga con le maglie di Levante e Celta Vigo, fa crack anche il legamento crociato dell’altro ginocchio, il sinistro.

È la fine. Anni da svincolato portano tutti a presagire il termine di una carriera maledetta, e invece…

Pepito Rossi e il bisogno di pallone

Una vita passata a giocare a calcio ed a lottare contro due ginocchia incapaci di reggere il peso del suo troppo talento. Un carattere tranquillo e umile a servizio di quel gioco, di quello sport che gli ha fatto perdere la testa da bambino. I ricordi più belli sono quelli con il 22 sulle spalle al Villarreal o con il 49 a Firenze, preso in onore del padre nato quell’anno, ma sono lontani e sfuocati.

La fisioterapia, la riabilitazione e i noiosi e durissimi allenamenti lontani dal campo e dai compagni, invece, sono la quotidianità. Probabilmente porterebbero alla nausea chiunque, ma non Giuseppe. La domanda che ognuno di noi si farebbe al suo posto sarebbe certamente: “ma ne varrà la pena?”.

Evidentemente, nel caso di Pepito, la risposta è semplice: “Sì!” L’ultimo a capirlo è stato il presidente Tacopina, altro italo-americano e grande estimatore di Giuseppe. L’impressione è che il nuovo 49 spallino a Ferrara non debba dimostrare nulla a nessuno e né porsi obiettivi. Giocare, e farlo con gioia, stando bene fisicamente e senza essere etichettato come “ex-calciatore” o “finito”. Dopo una vita in infermeria è l’unica cosa che gli si possa chiedere ed augurare. 

Il più grande rimpianto di Pepito Rossi

Cesare Prandelli dopo non averlo convocato ai mondiali di Brasile 2014 disse:

" Rossi sapeva dall’inizio che non l’avrei convocato, era un rischio troppo grande, non me la sono sentita "

Per la cronaca, questi i convocati in attacco: Balotelli (Milan), Cassano (Parma), Cerci (Torino), Immobile (Torino), Insigne (Napoli).

Appena rientrato dall’infortunio causato da Rinaudo nel derby toscano di gennaio, Rossi si sente bene e rientra tra i pre-convocati, ma con grande stupore generale non viene inserito nella lista dei 23 che partono per il mondiale stilata da Mister Prandelli, proprio come era successo 4 anni prima per i mondiali in Sudafrica con il CT Lippi.

Sono queste le due scelte che hanno mandato in fumo i sogni mondiali di Pepito e che probabilmente hanno fatto male al giocatore più dei tanti infortuni, scatenando polemiche e discussioni in tutto il paese. A chi vive il calcio in maniera romantica verrebbe da pensare istintivamente che la maglia azzurra al mondiale sarebbe stata benissimo ad un giocatore del genere. Il rimpianto di Pepito è anche quello di chi lo ha amato. E sono tanti.

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