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Essere Juan Román Riquelme

In "Essere John Malkovich", film del 1999 di quel geniaccio di Spike Jonze, i due protagonisti, Craig e Lotte, scoprono l'esistenza di un corridoio, nascosto dietro un mobile, che gli consente di ritrovarsi nella testa dell'attore John Malkovich. Il film prende, pian piano, una piega tutta diversa ma, voi, immaginate per un attimo di entrare in un corridoio del genere e di ritrovarvi nella testa dell'ultimo Diez, Juan Roman Riquelme. Immergetevi nel labirintico gioco di Roman, seguite le indicazioni del testo e, "per andare da un punto A a un punto B", seguite quella che Vadano definisce la "tortuosa strada panoramica piena di paesaggi meravigliosi".
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Hai compiuto da poco vent’anni e sei lontano dalla tua amata Argentina. Ti sei abbassato poco prima della metà campo per ricevere palla. Lo fai spesso, nel tuo girovagare senza riferimenti nel rettangolo verde. Da quando giochi a calcio sei tu, il più delle volte, il riferimento. La palla puntualmente arriva tra i tuoi piedi. La addomestichi con la suola, controllandola in avanti, e ... scegli A o B

A - Soy bostero

... nello stesso istante ruoti il tuo corpo in direzione della porta avversaria. In una frazione di secondo hai già visto. Hai già capito. Makelelè prova inutilmente a fare da filtro venendoti incontro ma il suo intervento è decisamente in ritardo rispetto alla velocità del tuo pensiero. 

La palla parte lunga, profonda, delicata. Rimbalza una volta fuori area, poi, rallentando, al limite. Sembra pilotata perché, ad ogni rimbalzo, perde la quantità giusta di velocità. Quando Martin (Palermo) ce l’ha a portata di tiro, è perfettamente orientata da permettergli di liberare il sinistro. È il momentaneo 2-0 di quella che sarà la più grande vittoria del Boca Juniors- la tua squadra. 

Il tuo Boca sta vincendo la Coppa Intercontinentale contro il Real Madrid. Le merengues sembravano un avversario insormontabile alla vigilia. Non si saprà mai se gli spagnoli avessero sottovalutato la vostra pericolosità, di certo però, a passare alla storia è la tua prestazione: un autentico incubo per il centrocampo dei blancos. 

Makelelè, Helguera, McManaman gireranno a vuoto per tutta la partita, ipnotizzati dalle labirintiche trame del tuo gioco e tu, al fischio finale, a soli vent’anni, sarai già nella storia del Boca.


Un anno più tardi, il 10 Novembre 2001, nel giorno del suo saluto a La Bombonera, Diego Armando Maradona pronuncia il suo celebre discorso di addio. Poco prima di parlare si sfila la maglia dell’albiceleste e sale sul palco con quella del Boca. 

Sotto al numero dieci c’è scritto Román, il tuo nome. È un investitura, un lascito, da Diez a Diez: per quei colori sarai leggenda. Prosegui con A2 
 

B - “Al centro” o “il centro” del gioco?

… cerchi un compagno da servire. La manovra si inceppa, il pubblico rumoreggia. Hai la percezione che dalla panchina qualcuno stia pensando “ ecco, ci risiamo”. Sei un pesce fuor d’acqua in maglia blaugrana. Da quando sei arrivato a Barcellona, ad inizio luglio 2002, è come se avessi perso lucidità, grinta, amore per il gioco.


Il tuo nuovo allenatore è Louis van Gaal, uomo tutto d’un pezzo, un sergente di ferro, un uomo di poche ma taglienti parole. Era appena finita la tua presentazione alla stampa quando ti aveva detto che non avresti giocato nel tuo ruolo preferito e che il sistema di gioco non poteva adattarsi a te, perché senza il pallone tra i piedi non valevi nulla. Non la migliore delle presentazioni, bisogna dirlo.


L’allenatore olandese prova ad imporre il suo diktat, a schierarti come ala sinistra, a integrare il tuo talento nel suo sistema che, imperativamente, viene prima di tutto. Ma tu, Román, non sei mai stato imbrigliabile, né calcisticamente né caratterialmente e il rapporto con van Gaal naufragherà ben presto. 

Barcellona resterà una cicatrice indelebile nella tua storia calcistica e - a guardare il genio di Ronaldinho integrato nello scacchiere di Rijkaard soltanto un anno dopo- un grandissimo “what if”.
Il desiderio di ritrovare un posto al centro del gioco diventa quasi un ossessione. Ma il tuo nuovo allenatore, Manuel Pellegrini, è sudamericano come te. 

Pellegrini capisce subito che non puoi essere “al” centro ma che devi necessariamente essere tu “il” centro. Il sistema di gioco deve adattarsi al tuo ritmo, alle tue esigenze, al tuo scandire inesorabilmente il tempo di ogni giocata altrui ... Prosegui con B2 

A2 - Volver

È il 30 giugno 2006, sei a Berlino, in panchina da meno di una decina di minuti. Sono i quarti di finale dei Mondiali. L’Argentina è in vantaggio per uno a zero. Ha segnato Roberto Ayala. Al minuto 80 Ballack crossa dalla sinistra. Borowski la sfiora quel tanto che basta per toccarla verso Klose che, di testa, segna il gol del pari. 

Pekerman stravede per te. Con lui avevi già vinto i Mondiali Under-20 del 1997 e ti aveva affidato le redini del centrocampo alla vigilia di questo mondiale. Al 72’ ti ha fatto uscire, però, nel tentativo di contenere l’arrembante tentativo di rimonta tedesca. Ha rinunciato al tuo calcio per coprirsi, ha rinnegato temporaneamente parte dei suoi principi. Abbassare il baricentro non è sempre una scelta perdente. Il calcio non si analizza a posteriori. Ancora di più se a sancire la vostra eliminazione ci pensa la crudele lotteria dei rigori e un Lehmann in stato di grazia.

Sessantacinque giorni prima, proprio dagli undici metri, avevi sbagliato un rigore decisivo. Era il 43’ del secondo tempo e avevi l’occasione di portare ai supplementari la semifinale di ritorno di Champions League contro l’Arsenal - all’andata i londinesi si erano imposti per 1-0. Il tuo tiro debole, fiacco, poco angolato era finito facilmente tra le mani del portiere. Il portiere, ironia della sorte, era proprio Lehmann, lo stesso Lehmann che ora ha appena eliminato la tua Argentina dal Mondiale.

Le due delusioni sono troppo cocenti, troppo pesanti da digerire. Hai bisogno di un’aria diversa. L’Europa non è più il palcoscenico su cui vuoi esibirti. Il richiamo azul y oro si fa sentire. Quando fai il tuo ritorno alla Bombonera non sei più il ragazzo di 22 anni che era partito verso l’Europa. Non torni a giocare per il Boca ma a reclamare un regno come un sovrano in esilio.

La duplice delusione estiva non ti ha spezzato: porti con te le stimmate del fallimento catalano e la delusione per quel maledetto rigore sbagliato.

Poi inizi a giocare la Libertadores, quella Libertadores. Contro il Vélez, ricordi a tutto il continente del tuo ritorno. Ogni tua prestazione sembra gridare al mondo “ Riquelme è tornato”. È in semifinale, contro il Cúcuta, che si compie il tuo capolavoro. Una coltre di nebbia copre la Bombonera, e tu con le tue giocate rappresenti i fasci di luce che la penetrano. Segni su punizione, servi l'assist per il raddoppio, umili gli avversari. 

E, poi, la finale di ritorno contro il Grêmio, nel loro stadio, infuocato come non mai. Sono pronti a farti la guerra, e tu, invece, rispondi con l'arte, che è la forma più alta di dominio. Quel tuo primo gol, un tiro secco e potente è il momento in cui dichiari a tutti che la coppa tornerà a casa con te ... Prosegui con D 
 

B2 - È la palla a dover andare veloce 

A Vila-real, piccola città che si affaccia al grande calcio, diventi il sole attorno a cui orbitano tutti gli altri pianeti. Il Villarreal, il Submarino Amarillo, diventa il tuo ecosistema perfetto. Pellegrini capisce che la tua lentezza apparente è in realtà velocità di pensiero. La tua pausa, quel momento quasi irreale in cui fermi la palla e alzi la testa, diventa il marchio di fabbrica della squadra. 

In quell'istante, mentre il mondo del calcio corre frenetico, tu stai già disegnando la giocata successiva. Accanto a te, Marcos Senna corre per due, ti garantisce copertura e recupera palloni che tu trasformerai in oro. Davanti, Diego Forlán, un altro "reietto" del grande calcio europeo (dopo la non brillantissima esperienza al Manchester United), dialoga con la tua mente prima ancora che con i tuoi piedi. I tuoi assist lo lanciano verso la Scarpa d'Oro. 

Juan Pablo Sorín sulla fascia è un'estensione del tuo pensiero. La squadra non gioca, recita uno spartito che tu componi in tempo reale. Guidi il Villarreal alla sua prima, storica qualificazione in Champions League e poi, l'anno dopo, fino a una incredibile semifinale. 

Ogni volta che tocchi palla sembri gridare a tutto il calcio europeo che non eri tu a essere inadatto, non eri tu a non essere pronto. Il tuo calcio, cerebrale, quasi anacronistico, non solo può esistere, ma può dominare. È la tua rivincita, la dimostrazione che un genio, per esprimersi, ha solo bisogno del palcoscenico giusto ... Vai ad A2 
 

D - De Boca no se va 

La vittoria in Libertadores del 2007 è la riaffermazione del tuo status di Re. Gli anni che seguono sono un continuo tira e molla, un'altalena di prestazioni divine e di rapporti sempre più tesi con la dirigenza. Il tuo carattere, la tua pretesa di centralità assoluta, mal si concilia con le logiche di un club che cambia.

Il tuo rapporto con il presidente Daniel Angelici si logora fino a diventare una guerra fredda pubblica. Tu non parli, giochi. E quando giochi, la Bombonera parla per te. Lo stadio diventa un plebiscito a ogni partita. "Riquelme es de Boca, y de Boca no se va", canta la tua gente, che ti vede come l'ultimo baluardo di un calcio romantico e identitario.

Alla fine, la rottura diventerà inevitabile. Quello del 2014 non è un addio concordato, ma uno strappo doloroso. Non rinnovi. La sensazione è che ti abbiano spinto fuori dalla porta di casa tua. Ma tu non sei uno che si arrende. In un gesto di orgoglio e romanticismo puro, scegli di tornare dove tutto è iniziato, prima ancora del Boca: all'Argentinos Juniors, la squadra che ti ha formato. Li riporti in prima divisione, un'ultima pennellata d'autore, come a dire "il calcio è ancora mio".

Pochi mesi dopo, annunci il tuo ritiro. A nulla sono valsi i tentativi di ritornare tra i bosteros per giocare un'ultima partita con la maglia della tua vita.  Ma a te, un addio così non potrà mai andar bene. Hai appeso gli scarpini al chiodo ma non hai spento la fiamma bostera. Probabilmente, non lo farai mai. Nel 2019 diventi vicepresidente del tuo Boca. Quattro anni dopo la partita per l'anima del Boca Juniors si fa più aspra. 

La tua vecchia nemesi, Mauricio Macri, l'uomo che era presidente ai tempi delle tue prime battaglie contrattuali, muove le sue pedine per tornare a controllare il club. Il suo delfino, Ibarra, è il candidato numero uno nella corsa alle presidenziali. Tu fiuti, osservi, capisci, come quando alzavi un attimo il capo prima di ricevere palla per anticipare la successiva giocata. 

Decidi di candidarti alla presidenza. Le elezioni sono le più partecipate della storia bostera. È un plebiscito: Ibarra è sconfitto e, tu, Roman, presidente. 

Bostero para sempre 

L' 8 aprile 2001, in un Superclásico contro il River avevi segnato un gol magnifico. Subito dopo eri corso verso la tribuna d'onore. Ti eri piantato lì, con le mani alle orecchie, fissando il palco presidenziale. Quella non era un'esultanza per i tifosi, ma una muta richiesta d'ascolto rivolta all'allora presidente, con cui eri in piena disputa. Era un modo per dire: "Mi senti ora?". Il presidente, in quel momento, era proprio Macrì. 

Un anno prima delle elezioni per la presidenza del Boca, il 9 dicembre 2022, l'Argentina affronta l'Olanda nella semifinale del Mondiale in Qatar. Al 73' Lionel Messi segna, poi corre a bordo campo. Si ferma. Porta le mani alle orecchie, guardando dritto verso la panchina. È  quel gesto, il tuo gesto. È il "Topo Gigio". In quel momento, il più grande calciatore del mondo, nell'ora della sua massima gloria, non sta solo esultando: ti sta omaggiando. 

Sulla panchina olandese, come una statua di sale, siede Lois van Gaal. Messi, pochi giorni dopo, seguirà  le orme di Diego entrando nell'olimpo del calcio argentino con la vittoria mondiale. Con quel gesto, però, sottolinea un legame, un destino comune - come già aveva fatto Maradona il giorno del suo ritiro indossando la tua maglietta. 

Nel percorso di questo fil rouge che collega Diego Armando Maradona a Lionel Messi ci sei tu. Ma tu non sei "asceso alla divinità" come Diego, non hai superato limiti inimmaginabili come Lionel. 

Tu, Roman, sei rimasto icona terrena, idolo del popolo, bostero.

Racconto a cura di Emilio Picciano

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