Alessandria, il grigio più bello
Il colore distintivo dell’Unione Sportiva Alessandria è il grigio.
Un colore insolito nel mondo del calcio. C’è chi dice fosse il colore della squadra ciclistica di proprietà del signor Giovanni Maino, che diede poi ispirazione al momento di fondare il club. Chi sostiene invece che il grigio fosse meno incline a sporcarsi, rispetto all’originario bianco e azzurro.
Sta di fatto che non c’è altra squadra, in Europa, che indossi questo colore sociale.
I giocatori dell’Alessandria sono da sempre, per questo motivo, chiamati “I Grigi”. E così pure i loro tifosi.
Ebbene, c’è stato un tempo, principalmente a cavallo tra i due conflitti mondiali, in cui i Grigi militavano stabilmente in serie A.
Vinsero addirittura una Coppa Coni (una sorta di Coppa Italia primordiale) nel 1927, sfiorando poi un clamoroso scudetto, vinto poi dal Torino, a causa di una inopinata sconfitta contro il Casale ultimo in classifica (con il portiere alessandrino Curti accusato di essersi venduto la partita).
C’è stato poi un tempo, molto più recente, in cui l’Alessandria, dopo decenni di semi-anonimato nelle serie inferiori, è tornata grande, riuscendo di nuovo a calcare i migliori palcoscenici del nostro calcio.
È la storia dell’Alessandria 2015/2016, partita dalla serie C e giunta fino alle semifinali di Coppa Italia.
Basse aspettative
L’Alessandria inizia la Coppa Italia 15/16 come tutte le squadre impegnate, come lei, in terza serie.
I primissimi turni estivi, giocati spesso contro formazioni dei dilettanti, serviranno come fossero delle amichevoli un po’ più competitive, per misurare il valore della squadra, e capire dove mettere mano, negli ultimi caldissimi giorni di mercato.
Se si avrà la bravura e la fortuna di andare avanti, si cercherà di fare il meglio possibile. Ma c’è un momento specifico, solitamente verso ottobre/novembre, in cui la quasi totalità dei club vedono la competizione come un impiccio, male incastonato in mezzo a numerosi impegni di campionato e, nel caso delle big, pause per le nazionali.
Figuriamoci per chi poi non sente di avere la benché minima speranza di vincerla quella Coppa. Niente niente, quasi meglio andar fuori subito.
Sulla panchina dei Grigi è Giuseppe Scienza a iniziare l’anno, ma ben presto i deludenti risultati in campionato porteranno al suo esonero, e all’arrivo di Angelo Adamo Gregucci: da sempre braccio destro di Roberto Mancini, da allenatore qualche buona esperienza, soprattutto con Vicenza e Salernitana.
La squadra non è molto dissimile rispetto alle altre della propria categoria. Tanti giovani di belle speranze e qualche “vecchio” a trainare il gruppo.
I nomi più conosciuti sono quelli del capitano, Santiago Morero, centrale argentino già visto in A con la maglia del Chievo; era transitato per la serie A pure Massimo Loviso, la classica eterna promessa cresciuta nel Bologna; davanti poi Antimo Iunco, a giocarsi le ultime fiches della propria carriera, dopo discrete esperienze con Chievo, Cittadella e Torino: quindi Riccardo Bocalon, detto Il Doge, l’eroe del Portogruaro, arrivato fino in serie B dopo aver battuto l’Hellas Verona nello spareggio decisivo.
I primi turni agevoli
Come da programma, i primi turni sono piuttosto agevoli.
A inizio agosto, all’esordio ufficiale, l’Alto Vicentino viene steso 2 a 0 sotto i colpi di Fischnaller e Loviso, Una settimana dopo, nel goloso derby piemontese contro la più nobile delle decadute, la Pro Vercelli, l’Alessandria soffre ma vince, grazie al gol del brasiliano Adriano Mezavilla (sì perché in tutte le grandi storie di calcio, un brasiliano ci deve sempre essere).
Quindi, appena prima dell’inizio del campionato, i Grigi battono anche la Juve Stabia allo stadio Moccagatta, grazie a una perla del solito Loviso, direttamente da calcio di punizione.
Chiusa la parentesi Coppa Italia, la squadra si dedica al campionato, senza pensare più ad altro. E lì le cose non vanno per niente bene.
4 punti nelle prime quattro partite, solo 3 gol fatti, sconfitte esiziali contro Feralpisalò e Lumezzane e, più in generale, una squadra che fatica a sviluppare il proprio gioco. La società non perde tempo, e caccia il giovane Scienza, per affidarsi al più esperto Gregucci.
Il nuovo mister sistema alcune cose, e la squadra ricomincia a fare risultati.
Il sorteggio nel frattempo ha detto la sua: il 2 dicembre 2015 l’Alessandria, per il quarto turno di Coppa Italia, sarà di scena a Palermo.
La sfida alla serie A
I rosanero di Ballardini sono impegnati nella lotta salvezza in serie A, ma la Coppa non la vogliono per niente sottovalutare, e rinunciano perciò al classico turnover, quantomeno parzialmente.
Cambia il portiere (gioca Colombi, e non Sorrentino), per il resto ci sono molti dei big del campionato: da Luca Rigoni a El Mudo Vazquez, passando per Hiljemark e Maresca.
Alessandria che invece un po di rotazioni le fa, ma in modalità “nulla da perdere”, con Iunco e Marras, lì davanti, in supporto a Marconi.
Partita indirizzata già dopo nemmeno mezzora: al quarto rigore trasformato da Loviso, al 23esimo gol di Marconi per il raddoppio. Prova Trajkovski a raddrizzarla, il macedone che negherà all’Italia, qualche anno dopo, l’accesso ai mondiali. Ma nella ripresa la mette il 10, Gianluca Nicco, e nemmeno il 2-3 del campione del Mondo Gilardino, appena entrato, riuscirà a invertire le sorti dell’incontro.
La qualificazione pone di fronte un altro ostacolo proveniente dalla Serie A: il Genoa di Gasperini.
A Marassi però l’Alessandria gioca davvero bene. Trova il gol con Marras, 49 secondi dopo l’inizio della ripresa, e regge fino allo scadere, quando un guizzo di Pavoletti costringe i Grigi all’agonia dei tempi supplementari.
Dove, ovviamente, ecco lui, l’uomo del destino, il bomber dei gol pesanti: Riccardo Bocalon. Il Doge uccella un’incerta difesa rossoblu, dà e riceve da Marras e a porta vuota manda i grigi ai quarti di finale.
È già un miracolo
Già così il cammino dell’Alessandria sarebbe una sorta di miracolo per il nostro calcio.
In una competizione come la Coppa Italia, che a differenza dell’FA Cup e di altre coppe nazionali estere, dove a certe “piccole” non vengono elargiti favori, ma nemmeno tarpate le ali (gli inglesi hanno addirittura coniato un termine per imprese come queste, il “giant killing), in un meccanismo bieco che tende a far sparire il più possibile dal tabellone certe realtà, è una vera e propria impresa.
Se poi si considera che ai quarti la sfida sarà tra i piemontesi e una squadra di serie B, come lo Spezia di Mimmo Di Carlo, allora vengono quasi le lacrime.
Al Picco però, per i ragazzi di Gregucci, la musica sembra essere diversa. Lo Spezia fa valere il proprio tasso tecnico, e al 20esimo l’arciere Calaiò mette alle spalle del portiere Vannucchi un calcio di rigore.
A 20 dalla fine il mister ci mette un tocco di genio: fuori il regista, il cervello della squadra, Massimo Loviso, ben imbrigliato dal centocampo spezzino, dentro Bocalon.
“Solo lui può risolverla”
Minuto 83. Azione confusa in area ligure: il Doge si impossessa del pallone, lo controlla e lo mette alle spalle di Chichizola. 1-1.
Minuto 90. Quando tutti ormai già pensano ai supplementari, Vitofrancesco lega una preghiera al pallone e lo manda in mezzo, sempre da Bocalon, che stacca su Valentini e manda l’Alessandria IN SEMIFINALE
I grigi nell’Olimpo
Alessandria-Milan. Vengono i brividi solo a pensarci.
I ragazzi di Gregucci, la domenica, vincono a fatica il derby con il Cuneo al Moccagatta. Per il primo atto di questo “appuntamento con la storia” sono però costretti a fare i bagagli.
Troppo piccolo e inadeguato il Moccagatta, per ospitare un evento di tale portata. D’altronde, chi se lo aspettava? A saperlo prima, i lavori si facevano.
Si va quindi a giocare qualche chilometro più a Ovest. Allo Stadio Olimpico Grande Torino.
A qualcuno piace questa soluzione. In un Italia che oramai simpatizza tutta per i Grigi, si pensa che sia quello l’impianto giusto per coronare un’impresa. Quello che porta il nome della miglior squadra italiana di tutti i tempi, e chissà che i ragazzi, da lassù, non vedano di buon occhio e favoriscano in qualche modo questa favola.
L’andata a Torino termina 1-0 per i rossoneri, ma solo per un rigore trasformato da Balotelli per fallo di Morero su Antonelli.
Ma i rossoneri di Sinisa Mihajilovic non sono parsi una corazzata inaffondabile, e in molti pensano che al ritorno la storia si possa fare.
Il 1 marzo, a San Siro, la Scala del Calcio, ci sono 15mila tifosi piemontesi. Pensate che il Giuseppe Moccagatta, dal 1929 lo stadio di casa dell’Alessandria, a piena capienza ne può contenere poco meno di 6 mila. E che gli abitanti della provincia di Alessandria sono poco più di 90mila.
Ci sono tutti, praticamente. Tutti coloro che, anche solo per un minuto o per tutta la vita, hanno a cuore la squadra mandrogna.
Formazioni.
Milan con Abbiati tra i pali, e De Sciglio, Zapata, Romagnoli e Antonelli in linea difensiva. Centrocampo a 4, con Honda, Kucka, Poli e Bonaventura. Davanti, con Supermario Balotelli, c’è il folletto francese Jeremy Menez.
Alessandria. Gianmarco Vannucchi; Vedran Celjak, il capitano Santiago Morero, Alex Sirri, Rocco Sabato; Simone Branca, Massimo Loviso, Gianluca Nicco; Manuel Marras, Simone Iocolano, Manuel Fischnaller.
Andrà male, molto male per l’Alessandria. Troppo, se si considera la bellezza e la purezza di questa storia.
5-0 per il Milan, e stavolta non c’è Bocalon che tenga.
Nulla tuttavia che possa rovinare la magia di quella squadra. Capace di far innamorare una provincia e di stupire l’Italia intera.
E di farci capire che, anche se la Coppa Italia non è l’FA Cup, a tutti è concesso di sognare.
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