Antonio Chimenti, l'ultimo pugno
Finisce così, con un pugno violento sferrato a un malcapitato tavolino, nel gelo di uno spogliatoio arrabbiato e deluso per la sconfitta appena subita, la carriera di uno dei portieri più longevi e al tempo stesso moderni del calcio degli anni 90/2000.
Tutta colpa di quel geniaccio maledetto di Antonio Cassano, che ha pensato bene di tirare praticamente da casa sua, quel pomeriggio a Marassi, sorprendendo il povero Antonio Chimenti, che proprio non se l’aspettava.
Lui che quella partita manco doveva giocarla. Dal momento che alla Juventus era semplicemente intenzionato a chiudere la propria carriera da terzo portiere, dietro il più forte di tutti, Gianluigi Buffon, e il suo numero 12, Alex Manninger.
Il calcio si sa, sa essere molto crudele, alle volte.
Ma quel pugno, quel gol subito da distanza siderale non possono far dimenticare, tutt’un tratto, chi è stato Antonio Chimenti. O “zucchina”, come Francesco Totti amava soprannominarlo.
Un portiere forte tra i pali, agile, furbo e molto dotato con i piedi. Roba che, al giorno d’oggi, stuzzicherebbe la curiosità anche di un Pep Guardiola qualsiasi.
Con Zeman a Roma
Sono proprio queste doti ad accattivare l’attenzione di un allenatore sempre attento non solo a come para il proprio portiere, ma anche a come è in grado di far iniziare pulita l’azione della propria squadra.
Zdenek Zeman, nell’estate del 1997, sceglie proprio Antonio Chimenti come secondo portiere della sua Roma. Il titolare è Konsel, su cui il club giallorosso ha investito pesantemente. Chimenti, reduce da ottime stagioni tra i pali della Salernitana, sarà il suo 12esmo, con l’idea, in prospettiva, di diventare un giorno il titolare (il portiere austriaco, d’altronde, al suo arrivo all’ombra del Colosseo, ha già sulle spalle 35 primavere).
L’anno successivo, infatti, avviene il cambio della guardia. Konsel si rompe in un amichevole giocata tra Austria e Francia, e Chimenti diventa il titolare inamovibile. Una stagione buona, fatta di ottime parate e qualche sparuta incertezza. Non abbastanza però da convincere il buon Fabio Capello dal puntare ancora su di lui l’anno successivo, quando il mister friulano si siede sulla panchina della Maggica, con l’intento di provare ad alzare l’asticella delle ambizioni giallorosse.
Il retro-front di Don Fabio
Ci ripenserà, Don Fabio. Una cosa che già gli è successa in carriera (per informazioni vedere la storia di Francesco Antonioli).
E quando l’allenatore, divenuto poi campione d’Italia con la Roma, viene chiamato a guidare la Juventus, decide di confermarlo come vice-Buffon, nella corazzata che è intenzionato a costruire per provare a vincere tutto.
Nel frattempo Chimenti si è ben destreggiato a Lecce, giocando 3 stagioni da titolare, prima di accettare la chiamata, appunto, della Vecchia Signora. Che, una volta congedato il buon Michelangelo Rampulla, deve trovare qualcuno che guardi le spalle a Gigi Buffon, destinato a diventare il portiere titolare dei bianconeri per quasi due decadi.
Antonio accetta di buon grado il ruolo di secondo. In primo luogo, perché ciò gli darà la possibilità di giocare per una grande squadra. E gli anni alla Juve, a suo dire, gli permettono davvero di capire il significato della parola “mentalità vincente”. E poi perché se devi fare il secondo al portiere più forte del mondo, allora ci sta. E Buffon, in quegli anni, è davvero, per distacco, il numero uno migliore del pianeta.
Il destino gli riserverà un piccolo angolo di paradiso. Il 19 febbraio del 2003 la Juventus è infatti impegnata in Coppa dei Campioni nientemeno che all’Old Trafford di Manchester, contro la leggendaria corazzata di mister Sir Alex Ferguson. Un epidemia di influenza, scoppiata all’interno dello spogliatoio bianconero, sega l le gambe proprio a Buffon. Tocca così a Chimenti difendere i pali al cospetto dei Red Devils nell’impianto denominato “Il Teatro dei Sogni”.
Finirà 2-1 per gli inglesi, con la zuccata di Wes Brown e il solito sigillo di Ruud Van Nisterlooy, prima del consolation-goal timbrato da Nedved nel finale. Ma quella sera Antonio la ricorderà per sempre, come il punto più alto della propria carriera.
Di nuovo in bianconero
Zucchina saluta la Vecchia Signora dopo essersi ritagliato ulteriore spazio gli anni seguenti, complici altri infortuni capitati prima a Buffon, che si fa male seriamente durante un Trofeo Berlusconi contro il Milan, e poi a Christian Abbiati, che il Milan “regala” alla Juventus proprio per i sensi di colpa derivati dall’infortunio occorso al portiere della Nazionale durante un trofeo amichevole meramente celebrativo.
Il nuovo capitolo della sua avventura lo vede tornare protagonista assoluto. A Cagliari in particolare, dove conquista delle storiche salvezze con il club sardo, togliendosi pure lo sfizio di parare un rigore da ex ad Alessandro Del Piero.
Poi una semplice comparsata a Udine, prima di accettare di tornare alla Juventus, rigeneratasi dopo Calciopoli, e transitata per le forche caudine del campionato di serie B.
Dovrebbe essere il terzo portiere, ma il destino ancora una volta gli tende la mano, a scapito dei suoi colleghi. Buffon e Manninger si rompono, così tocca di nuovo a lui.
Manca solo il lieto fine
Solo che, stavolta, non c’è spazio per l’happy ending delle favole.
Le ultime partite della sua carriera sono infatti il disgraziatissimo ottavo di finale di Europa League contro il Fulham, dove la Juventus finisce maltrattata, e quel dannato Sampdoria-Juve, dove galeotto fu l’eurogol di Cassano.
Comprensibile allora quel pugno di rabbia scagliato al tavolino. Che gli costa la frattura del quinto metacarpo della mano destra, e la fine inevitabile della propria carriera.
Dura da accettare di chiudere così. Soprattutto se sei stato molto di più di un portiere figlio e nipote d’arte (giocavano infatti a calcio sia il papà Francesco che lo zio Vito). Sei stato un portiere teso al futuro, un portiere che oggi farebbe gola a molte big.
Non per nulla De Rossi gli ha affidato i portieri della propria Spal. Sa che con Zucchina si va sul sicuro.
Scopri un altro portiere leggendario. Scopri Marco Ballotta, fuori tempo.