La giocata come simbolo del mondo
Fabio Caressa, quando non è impegnato a scrivere la storia del calcio con le sue telecronache, si occupa ancora di calcio. Lo fa su Sky, ma anche su YouTube. Assieme ai suoi colleghi giornalisti ne parlano così tanto che - e Caressa se ne è accorto - rischiano di perdersi in noiose e fredde discussioni su schemi e tattica. Dimenticando elementi fondamentali come fantasia, la giocata del singolo, l'invenzione.
"Il pubblico - dice Caressa - paga il biglietto per la bellezza di un’intuizione capace di folgorare e far discutere per giorni. Non per Mourinho, per Conte o per De Zerbi." E così ha deciso di inserire all'interno di Sky Calcio Club un approfondimento sulla giocata del weekend.
Nella rubrica che guarda al vero cuore del calcio giocato, c'è finita anche la visione di gioco di un ragazzo che già lo scorso anno aveva fatto grandi cose, ma che in questa stagione ha deciso di partire fortissimo.
Como–Lazio è il teatro: partita dominata per novanta minuti dai lariani e conclusasi 2-0. Assist e gol del nostro protagonista: Nico Paz. Il talento argentino, classe 2004, cresciuto nel Real Madrid, con due giocate sensazionali è riuscito a piegare la squadra di Sarri, tornata a Roma ancora intontita da una tattica imbambolata e per nulla efficace.
La prima rete nasce da un assist geniale: ruleta su Nuno Tavares e passaggio che taglia come un coltello nel burro la difesa laziale, mettendo il centravanti Douvikas a tu per tu con Provedel: 1-0. La seconda perla arriva direttamente da una punizione dal limite: tiro a giro mirando all'incrocio e palla che come si suol dire “toglie le ragnatele dall’angolo”. Due lampi di raffinatezza che solo il piede di un 10 puro poteva regalare. Finalmente, per un paio di giorni, ci siamo potuti concentrare sul gesto, lasciando il resto — schemi e tattiche — ai margini, o semplicemente nascosto. Direi un buon inizio.
Le parole di Caressa e il tocco di Nico Paz fungono da apripista per iniziare questa riflessione: perché ci siamo dimenticati di esaltare il singolo giocatore? Anzi, in certi casi, siamo arrivati a considerarlo un problema, per dare spazio a una morbosa discussione su linee, spazi e altri temi di dominio esclusivo degli allenatori.
Faccio un esempio: Paulo Dybala. Nella Roma, è diventato croce e delizia. Non per i tifosi giallorossi, ovviamente, ma per tutti quelli che ormai vedono i calciatori solo come pedine da incastrare in uno scacchiere, utili solo per portare a casa la vittoria. Dybala è spesso infortunato. Dybala blocca la crescita dei giovani. Dybala inizia a invecchiare e a non garantire più brillantezza. Questo discorso torna ciclicamente. E puntualmente, il 10 (mascherato da numero 21), è sempre pronto a smentire tutti con qualche giocata tirata fuori dal nulla.
La Serie A — nonostante ciò che si racconta su questo campionato — di genialità ne ha ancora in abbondanza. Avete visto la rabona con cui Castellanos chiude il triangolo con Zaccagni contro l’Hellas Verona? O, ancora, l’intuizione di Sucic per Thuram contro il Torino?
Benissimo. Portati alcuni esempi prettamente di campo per rinfrescare la memoria di chi legge, riporto qui una parte di un articolo de Il Post, presente anche su The Italian Review, scritto da Giacomo Papi — giornalista e direttore dei contenuti della Fondazione Mondadori — in cui racconta il rapporto di un grande personaggio come Carmelo Bene con lo sport, in particolare il calcio:
"Lo sport, per Bene, è gioco, ma il gioco è un simbolo del mondo poiché condivide qualcosa di profondo con l’arte, dunque con il senso stesso del bello e della vita: la possibilità di estrarre dal flusso del tempo e dalla gabbia dello spazio l’eternità istantanea del gesto grazie a cui all’improvviso, e solo per un attimo, qualcosa può apparire libero dal fardello del qui e ora, del prima e del poi, per diventare sublime. Era questa apparizione dell’eterno che Carmelo Bene cercava nello sport, come nel teatro, l’attimo perfetto in cui tecnica e natura, scomparsa e apparizione coincidono nella luce dell’essere."
Ecco, il senso del bello e della vita.
Anche Pier Paolo Pasolini ha raccontato a più riprese il suo amore viscerale per il doppio passo di Sivori ai tempi del Bologna dicendo come amasse poi riportarlo sui campi di periferia che tanto amava il poeta, aggiungendo anche come:
“Ci sono nel calcio dei momenti che sono esclusivamente poetici: si tratta dei momenti dei gol. Ogni gol è sempre un’invenzione, è sempre una sovversione del codice. Ogni gol è ineluttabilità, folgorazione, stupore, irreversibilità. Proprio come la parola poetica. Il capocannoniere del campionato è sempre il miglior poeta dell’anno. In questo momento lo è Savoldi. Il calcio che esprime più goal è il calcio più poetico.”
Poesia, folgorazione, gol, giocate. Questo è il calcio.
Per questo, io all'immagine di De Zerbi, Baldini e Adani che, durante una cena, si divertono a spostare posate e pietanze per provare a ridisegnare una marcatura a uomo o il posizionamento di alcuni giocatori in una determinata fase di gioco, preferisco un numero dieci, un numero ventuno, un numero qualsiasi che dal cilindro decide di regalare una perla rara, impronosticabile.
Proviamo, invece, a posare i cellulari, lasciamo parlare le giocate, ascoltiamo la poesia che emana il pallone, culliamo il genio e abbandoniamoci alla sorpresa. Non rimaniamo impatanati in parole che non ci competono e di cui spesso neanche sappiamo il significato. Cerchiamo di rimanere ignoranti, in un mondo in cui tutti sanno di tutto, e lasciamo che la fantasia possa essere manifestata senza freni.
Racconto a cura di Bernardo Mancini