Sergio Agüero, live forever
È la notte tra il 17 e il 18 dicembre 2022 a Lusail, Qatar. Le giornate sono infinite, complice un dicembre atipico, protagonista, per la prima volta nella storia, di un Mondiale di Calcio. È la notte che precede la finale. Argentina e Francia sono ad un solo passo dalla storia. Lionel Messi è davanti a quella che potrebbe diventare la partita più importante della sua carriera. Quella che, per molti, potrebbe far pendere dalla sua parte la bilancia di “più grande dalla storia”.
È una notte lunghissima per Messi, quella tra il 17 e il 18 dicembre 2022. Al suo fianco, però, come a schermarlo dai pensieri più inquieti, dalle naturali ansie di una vigilia, c’è chi, di notti così, ne ha passate tante con lui. Un amico che, ironia della sorte, come secondo nome ha Leonel - doveva chiamarsi Lionel ma non era previsto nell’elenco dei nomi concessi dal comune di Buenos Aires. Non è tra i convocati della Selección ma per tutto il Mondiale è stato accanto alla squadra. Soltanto un anno prima, aveva partecipato alla spedizione vincente in Brasile per la Copa America.
Cosa avrà pensato quella notte Messi? Quante ore avrà dormito? Quanto si sarà sentito amato ad avere al suo fianco, ancora una volta, Sergio Leonel Agüero Del Castillo?
Piacere, Kun Agüero
Il primo contatto con “la pelota”, Sergio, fatica a ricordarselo. C’è una costante, però, che ne caratterizza l’intera infanzia: ogni volta che i suoi genitori cambiano casa – per un furto subito o per problematiche con la criminalità locale- la nuova casa è a due passi da un potrero. A Los Eucaliptos è praticamente ad un metro dalla bandierina del calcio d’angolo del campetto di strada.
In genetica si definisce fenotipo la manifestazione esterna di un organismo, l'insieme dei caratteri visibili e osservabili o, più semplicemente, il risultato dell'interazione tra il genotipo e l'ambiente. Agüero è un argentino e, in Argentina, difficilmente ci si discosta dal “fenotipo calcistico”. L’ambiente, si sa, è totalmente permeato dal “fulbo”, come lo chiamano da quelle parti. Il potrero diventa per lui, letteralmente, una seconda casa.
Giocare a calcio è una cosa che gli riesce particolarmente bene: segna quattro, cinque, sei gol a partita, ha un’astuzia innata, poco comune per un bambino della sua età. Gli scout di mezza Argentina se ne innamorano a prima vista e, quando ha solo dieci anni, l’Indipendiente investe su di lui. La crescita di Aguero è esponenziale: a soli quindici anni viene prima convocato con la squadra riserve e, quindi, inizia a presenziare agli allenamenti della prima squadra. In Argentina si comincia a parlare di Sergio, che però tutti chiamano El Kun perché da bambino ripeteva in continuazione, storpiandolo, il nome di un anime giapponese “Wanpaku Omukashi Kumu Kumu”.
Il 7 luglio 2003, in un Indipendiente-San Lorenzo, Sergio fa il suo esordio in Primera División. Ha 15 anni e 35 giorni, è il più giovane di sempre ad esordire in prima squadra – il primato sarà superato soltanto a maggio 2024 da Apolonio. Davanti alla tv, quel giorno, c’è anche un altro giovane talento del calcio argentino. Si è trasferito in catalogna da qualche anno e nel giro di un anno diventerà l’astro nascente del Barcellona. Quel giorno, senza capire bene il nome del più giovane esordiente della Primera, Lionel Messi, assiste al battesimo calcistico del Kun.
La carriera argentina di Agüero, però, altro non è che una parentesi introduttiva nel mondo del calcio: giocherà solo tre anni in patria prima di trasferirsi in Spagna all’Atletico Madrid. L’arrivo in Europa segna l’inizio di una continua trasformazione del suo interpretare il gioco. In Argentina, si sa, se sei dotato tecnicamente e indossi una maglia numero 10, è automatico il paragone con Diego Armando Maradona. Lo stesso Kun, infatti, vive un periodo in cui non si capisce bene quale sia il suo effettivo ruolo. Segna, infatti, come un centravanti ma non ha minimamente il phisique du role del bomber, anzi. È praticamente un trequartista “mancato: alto 170 cm, baricentro basso, piede raffinato e visione di gioco poco comune. Eppure, quando vede la porta, ha un killer instinct tra i più letali in assoluto.
In campo, con i colchoneros, è un’incognita continua: gioca leggermente staccato dal suo compagno di reparto Diego Forlán con cui formerà una coppia devastante. In quello spazio tra i due, il Kun è libero di muoversi, di accorciare, di gestire il gioco, di dettare la profondità per la punta uruguaiana o per le ali che si sovrappongono. Non gioca, però, da trequartista. È una versione antesignana di quello che sarà l’interpretazione del centravanti di Lautaro Martinez, ad esempio – probabilmente il calciatore in attività che lo ricorda maggiormente. Segna, tanto; guardando le statistiche di quegli anni, ci si rende conto della semplicità con cui trova il gol.
In Spagna resterà per cinque stagioni indimenticabili. L’Atletico, che non vinceva un trofeo dal 1995, vincerà, con lui, l’Europa League e la Supercoppa Uefa, primi trofei europei nella storia del club.
Today is gonna be the day
Quando il Kun arriva a Manchester, il City è una squadra in rampa di lancio. La nuova proprietà, con a capo il principe degli Emirati Arabi Mansur, è una delle più ricche del mondo e gli investimenti sul mercato sono da capogiro. L’arrivo di Agüero, però, è letteralmente esplosivo.
Ridurre la carriera di un calciatore ad un gol è, sempre, terribilmente limitante – anche quando si scrive e parla di effettive “meteore- e lo è ancora di più quando si scrive e parla di una leggenda come il Kun. Quello che succede il 13 maggio 2012, però, è un evento quasi irripetibile, così celebre e iconico da meritare una pagina apposita di Wikipedia. Il Manchester City è primo, per differenza reti, rispetto ai rivali dello United alla vigilia dell’ultima giornata di una Premier League stranissima in cui entrambe le pretendenti al titolo hanno sprecato più e più volte la possibilità di chiudere anticipatamente i conti. Lo United ha vita facile contro il Sunderland mentre il City ha davanti un avversario che gioca per la salvezza.
È il 93° minuto quando il Kun chiede palla sulla trequarti. Il risultato, sul tabellone, è 2-2. Dzeko ha pareggiato da appena un minuto, regalando un’ultima speranza alla squadra guidata da Roberto Mancini. A Sunderland è appena finita la partita e lo United è, momentaneamente, primo in classifica. Sergio riceve, alza la testa e serve Mario Balotelli al limite dell’area. L’attaccante italiano è contrastato duramente, scivola, sembra perdere il controllo del pallone. Agüero prova a sfondare centralmente prima di lanciarsi, in una frazione di secondo, in uno spazio libero alla sua destra. È lì che Balotelli, con la punta del piede, da terra, spinge la palla. Il Kun se la ritrova magicamente davanti. I tifosi urlano “shoot!” ma Agüero finta la conclusione con un movimento rapidissimo dell’anca prima di spostare la palla quel tanto che basta per ritrovarsi libero davanti al portiere. A quel punto, è gioco facile per il suo destro letale.
Manchester, sponda celeste, esplode di gioia. Il Kun diventa simbolo di una città squadra che stava disperatamente cercando di riconquistarsi un posto nella storia. Non un uomo, ma un istante. Il più puro, irripetibile istante che un tifoso possa ricordare. Agüero non è solo l’attaccante che regala un titolo. È uno che riscrive la grammatica dell’attesa. Uno che ti insegna che il finale può ancora sorprenderti, anche dopo che hai smesso di crederci. Quel gol, sublimato dal grido prima strozzato e poi prolungato di Martin Tyler, è l’apertura di una sliding door unica nella storia del City. È l’attimo che consegna il Kun, alla sua prima stagione in Inghilterra, alla storia, alla leggenda.
Con il City vincerà quasi tutto: 5 Premier League, 3 Community Shield, 6 Carabao Cup, 1 FA Cup fermandosi ad un passo dal sogno Champions, svanito il 29 maggio 2021 contro il Chelsea in quella che sarà la sua ultima partita con la maglia dei Citizens.
Due giorni dopo, infatti, viene ingaggiato dal Barcellona. In Catalogna, per giorni, non si parla d’altro: il desiderio di vedere all’opera la coppia Messi- Agüero è forte. Succede, però, l’inaspettato. Il Kun si ferma quasi subito per un infortunio che lo costringe a 10 settimane di stop e Messi, dopo una vita con la maglia blaugrana, passa a sorpresa al PSG.
Se l’inizio dell’esperienza catalana non è dei migliori, la fine è degna di un film drama contemporaneo. Il 31 ottobre, nella sfida contro l'Alavés, ha un malore in campo. La diagnosi è una doccia fredda difficile da tollerare: aritmia cardiaca. I medici impongono uno stop di almeno tre mesi ma, quella di ottobre, diventerà, a tutti gli effetti, l’ultima partita del Kun.
La carriera del Kun non è mai stata lineare. I muscoli che cedevano, le stagioni a singhiozzo, il dolore che si accumulava silenzioso. E poi il cuore. Quel cuore incapace di reggere ancora il battito del campo. La diagnosi a Barcellona — la città dove tutto sembrava pronto per l’ultima grande danza — lo ha inchiodato alla realtà più spietata: non si può più.
Ed è stato lì, in conferenza stampa per annunciare il ritiro, che il Kun è tornato definitivamente bambino. Seduto davanti al mondo intero con gli occhi lucidi, le parole rotte, e un senso di perdita che va oltre il calcio. Lui, in fondo, non aveva mai desiderato altro che essere un ragazzo che gioca. Non un simbolo, non un idolo. Solo uno che ride dopo ogni gol.
Questa stanza non ha più pareti
Chissà, invece, cosa avrà pensato Agüero la notte tra il 17 e il 18 dicembre 2022 a Lusail. Poco più di un anno prima aveva partecipato alla Copa America. Aveva alzato al cielo quella coppa tanto attesa, riscattando le due sanguinose finali perse contro il Cile.
Poco più di un anno prima era felice, giocava a calcio, era in procinto di trasferirsi al Barcellona, di ritornare a giocare con Lionel.
Ora invece è lì, nella camera di Messi, a fare da supporto al suo amico, a ricordare quel Mondiale Under-20 vinto insieme tanti anni prima, a sperare che questa volta l’Argentina ritorni sul tetto del mondo.
Il Mondiale in Qatar ha regalato infiniti aneddoti e momenti iconici: c’è la mistica del cinque di coppe, la finale più bella della storia, la “consacrazione” ultima di Lionel Messi. Quella notte, però, pochi minuti dopo il rigore decisivo di Montiel, ci ha regalato un’immagine difficile da dimenticare.
Messi ha in mano la coppa, esulta, canta, festante. È circondato da una folla albiceleste che lo trascina in giro per lo stadio come una divinità. Tra i giocatori che saltano, i cronisti che parlano, gli innumerevoli obiettivi dei fotografi si fatica a riconoscere i componenti del corteo in festa. Messi sembra fluttuare come una rockstar che ha appena fatto stage diving. È sul tetto del mondo. Sotto di lui, a sorreggerlo, questa volta letteralmente, c’è El Kun.
Non sappiamo cosa ha pensato Agüero quella notte. Di sicuro, in quel momento lì, però, è tornato a sorridere.
Racconto a cura di Emilio Picciano