Marc Albrighton, l'acquedotto di Leicester
Del Leicester dei miracoli di Claudio Ranieri e dei suoi protagonisti si è oramai detto e raccontato tutto. Si è parlato della classe di Mahrez, della spietatezza di un bomber come Jamie Vardy, della marmorea solidità del duo difensivo Morgan-Huth, dell’ubiquità della quale pare essere dotato Ngolo Kantè.
Troppo poco si è parlato di un altro degli eroi di quella squadra. Magari meno appariscente, magari non destinato ad entrare nelle classifiche del pallone d’oro. Ma terribilmente importante nell’economia di quella squadra, plasmata dal mister di Testaccio e capace di conquistare un titolo a dispetto di qualsiasi tipo di pronostico.
Stiamo parlando di Marc Albrighton. L’altra freccia, oltre a Mahrez, delle corsie laterali delle foxes.
Giocatore generoso, inesauribile, intelligente, che qualcuno ha definito il “portaborracce” di quella squadra, usando una metafora presa in prestito dal mondo del ciclismo.
Anche se, per la quantità di acqua portata da Albrighton alla causa comune, più che di un “portaborracce” bisognerebbe parlare di un acquedotto. L’acquedotto di Leicester.
Un bambino col sogno claret and blue
L’inizio della carriera calcistica di questo biondo ragazzo, nato nelle Midlands, corrisponde al sogno di un bambino che si avvera. A 8 anni viene tesserato nell’Aston Villa, la squadra per cui ha sempre tifato.
Poteva andare in realtà molto diversamente, dal momento che il primo club ad accorgersi delle sue qualità è il West Bromwich Albion, squadra acerrima rivale dei Villans, contro i quali disputa, con una certa regolarità, quello che viene definito il “West Midlands Derby”.
I Baggies propongono al giovane Marc un provino. Mamma Carol pensa sia uno di quei treni da prendere al volo, ma fosse per suo figlio neanche ci andrebbe. È cresciuto con il mito di David Ginola, di Robert Pires e dell’italianissimo Benito Carbone. Tutta gente che, alla fine degli anni ’90, spopola in maglia Claret and Blue.
Fortunatamente (per la sua fede) da quel provino Marc viene scartato. Troppo piccolo e fragile per poter diventare un vero calciatore, dicono. Ma mamma Carol può consolarsi, perché poche settimane dopo il tanto agognato Aston Villa si fa vivo e accoglie Marc nella propria Academy.
L’Aston Villa alla fine arriva
Arrivato fino all’under 18, Marc esplode a livello tecnico e muscolare. Nell’estate del 2008 il manager Martin O’Neill gli fa giocare pure 17 minuti in un’amichevole contro gli svizzeri del Wil. Rimane impressionato dalla sua capacità di corsa, e decide che, d’ora in poi, il ragazzo si aggregherà stabilmente alla prima squadra.
Prima ancora che in Premier League esordisce nel calcio europeo, venendo buttato dentro in una gara oramai persa dall’Aston Villa in Russia contro il CSKA Mosca.
Poi, alla prima giornata della stagione 2009-2010, ecco finalmente l’esordio in campionato, quando sostituisce Beye a 20 minuti dal termine di una partita interna, poi persa, contro il Wigan.
Riesce a ritagliarsi un discreto spazio durante la sua prima stagione, anche perché O’Neill nel frattempo ha rispedito al mittente tutte le richieste delle squadre che vorrebbero il ragazzo in prestito, magari anche solo per 1-2 mesi (in Inghilterra, tra squadre di diversa categoria, si può fare). “Il suo posto è qui, al Villa Park”.
L’anno successivo arriva pure il primo gol, segnato contro il Tottenham, e la prima vera amarezza da calciatore professionista.
Viene infatti espulso per un entrataccia ingenua in un match di Coppa di Lega. Quel rosso lo costringerà, inevitabilmente, a saltare la partita che al Villa Park conta più di tutte: il derby contro il Birmingham.
Si rifarà con gli interessi l’11 dicembre del 2010, quando, nel West Midlands Derby contro quel W.B.A. che lo scartò, piazza un doppio assist per le reti decisive di Downing prima e di Heskey poi, che valgono la vittoria per 2 a 1. Probabilmente, fino a quel momento, l’attimo più bello nella carriera calcistica di Marc Albrighton.
L’addio alla propria fede
Poi, come spesso accade nel calcio, le cose per Marc cambiano rapidamente.
Cambiano gli allenatori, all’Aston Villa. Con cadenza quasi annuale. Dopo Martin O’Neill arriva Gerard Houllier, che non riesce a replicare quanto di buono fatto quando era alla guida del Liverpool. Poi, con Alex McLeish, ritorna pure l’incubo della retrocessione, scampata per un pelo.
Infine arriva Paul Lambert. Con lui, Marc, non si piglia mai fino in fondo. Finisce addirittura in prestito, per un mese, al Wigan. Più in generale non viene più visto come elemento indispensabile per la squadra.
Succede così che, il 20 maggio 2014, data di scadenza naturale del suo contratto con i Villans, nessuna offerta di rinnovo giunge a lui o al suo procuratore. E Marc Albrighton finisce svincolato, libero perciò di cercarsi, da solo, un’altra squadra.
Ritrovarsi senza contratto a 25 anni non è che sia una gran cosa. Significa non avere sfondato fino in fondo. Significa essere troppo vecchi per essere considerati dei “giovani emergenti”, e troppo giovani per solleticare l’interesse di chi magari cerca elementi di esperienza.
Per Marc, poi, la delusione è doppia. Il dover dire addio alla propria squadra del cuore, quella per cui ha sempre tifato e per cui ha sempre sognato di giocare, chissà che tetri pensieri deve aver portato nella sua mente.
Chiusa una porta, si apre un portone
23 maggio 2014. Non passa poi molto tempo alla fine. Il Leicester annuncia il suo tesseramento a parametro zero.
Il trasferimento da Birmingham a Leicester vuol dire tante cose. Innanzitutto, vuol dire non spostarsi di troppo, un oretta di macchina al massimo, tenendo così casa e i propri affetti a un tiro di schioppo (si tratta pure sempre di un ragazzo di 25 anni, che da 2 è oltretutto diventato papà di una splendida bambina).
Ma significa anche avere un’altra chance in Premier League, il campionato più bello del mondo. In una piazza che, oltretutto, non fa mistero, con la nuova proprietà thailandese, di essere molto molto ambiziosa.
La prima stagione con le foxes è, a dire la verità, piuttosto agonica. Il manager Nigel Pearson, l’uomo della promozione, prova a barcamenarsi con una squadra in cui i buoni giocatori non mancano (da David Nugent ad Andrej Kramaric, fino addirittura ad Esteban Cambiasso), ma che fa una fatica maledetta a trovare continuità. Solo nel finale le volpi inanellano una serie di risultati utili che consente loro di mantenere, con grande fatica, la categoria.
Per Albrighton, in compenso, è una buona stagione, fatta di 20 presenze e due gol, che gli permette di rompere il ghiaccio con questa nuova realtà.
Il miracolo di Ranieri
L’anno successivo arriva in panchina Claudio Ranieri. E, permetteteci di dirlo, tutto il resto è storia.
Il mister romano prende quella squadra sgangherata, a cui oltretutto sono stati tolti dei pezzi importanti, e la trasforma in un’autentica corazzata. Infonde mentalità e soprattutto coraggio ai suoi ragazzi, che saranno in grado di stupire il mondo, conquistando il titolo di campioni d’Inghilterra.
Nella sua idea tattica il piano è piuttosto semplice. Schmeichel in porta è una certezza. Davanti a lui i due buttafuori Robert Huth e Wes Morgan, più larghi due terzini attenti come Simpson e Fuchs. In mezzo al campo le chiavi del gioco sono consegnate a Danny Drinkwater. A Ngolo Kantè il compito di pensare a tutto quanto il resto. Le fasce saranno occupate: da una parte dal talento cristallino di Riyad Mahrez, dall’altra da Marc Albrighton. Davanti si punterà tutto sul working-class-hero Jamie Vardy e sulla sua fame di gol. Appena dietro, al samurai Shinji Okazaki il compito di rifinire ciò che rimane.
Una delle chiavi tattiche di quel Leicester è proprio il ruolo di Albrighton. Può interscambiarsi liberamente la fascia con Mahrez, giocando indifferentemente a destra piuttosto che a sinistra. All’algerino verrà data qualche licenza in più, dal momento che si capisce ben presto che dai suoi piedi partono gran parte dei pericoli per le difese avversarie.
Albrighton avrà il compito di collegare tutto il meccanismo. Dovrà percorrere a perdifiato la fascia, e all’occorrenza buttare in mezzo qualche palla buona per Jamie. Dovrà coprire il centrocampo ogni qual volta il pallone viene perso, formando una cintura con Kantè e Drinkwater. Dovrà all’occorrenza stare basso qualora l’austriaco Fuchs vedesse lo spazio buono per andare in sovrapposizione.
Un ruolo da gregario quindi, ma di fondamentale importanza. Senza Albrighton tutto il sistema non avrebbe potuto funzionare. Ma attenzione: non senza “uno come Albrighton”. Serve proprio lui, che a una eccellente capacità polmonare e muscolare abbina pure una intelligenza tattica che gli allenatori come Ranieri adorano.
Quel ruolo da portaborracce non lo priva, in ogni caso, di qualche soddisfazione personale: come il gol alla prima di campionato, contro il Sunderland; o come il 4 a 0 di sinistro segnato allo Swansea, quando ormai il titolo è già ampiamente conquistato. A questi gol vanno oltretutto aggiunti 7 assist per i compagni.
Nella tempesta, Marc resta
Dall’anno successivo inizia una prevedibile diaspora, che porta via da Leicester molti talenti luminescenti del club. Mahrez va a rimpolpare la pattuglia acrobatica agli ordini di Guardiola al Manchester City, Kantè si dirige a Londra per fare le fortune del Chelsea, Drinkwater lo segue senza però trarne lo stesso beneficio.
Solo 3 giocatori di quel Leicester dei miracoli fanno tuttora parte della rosa a disposizione del tecnico Brendan Rodgers.
Il portiere Kasper Schmeichel. E resta un mistero, su come sia possibile che nessuna big, o presunta tale, della Premier abbia mai formulato un offerta seria e concreta per il portierone figlio d’arte danese. In un campionato dove, oltretutto, non sono mai abbondati i validi numeri uno.
Il bomber, Jamie Vardy. Ma nel suo caso sappiamo il perché. Ha sposato la causa, rifiutando lui le offerte delle big (Arsenal su tutte). Ha capito che solo il Leicester può dargli ciò che cerca. Titolarità, palloni per segnare e la libertà di essere semplicemente Jamie.
E poi lui, Marc Albrighton. Il gregario. Perché semplicemente tutti gli allenatori che si sono succeduti, dopo l’ignobile esonero di Ranieri, hanno capito che non si può fare a meno di lui. Che ogni cosa non può funzionare senza chi porta l’acqua, l’acquedotto.
Lui che si è tolto lo sfizio di entrare per sempre nella storia del Leicester, stavolta però da protagonista assoluto. È di Marc infatti il primo gol di sempre del Leicester City nella Coppa dei Campioni. Contro il Bruges segna di rapina, sfruttando una topica della difesa belga dopo una lunga rimessa laterale.
Perché anche chi porta l’acqua ha il posto che gli spetta nella storia.