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Simone Perrotta, il giocatore universale

Universale perché capace di tutto, il prototipo del centrocampista moderno. Dagli inizi alla Reggina al diventare bandiera della Roma. In mezzo un titolo mondiale da protagonista. La favola di Simone Perrotta.
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Simone Perrotta - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Forse nessuno lo inserirà mai nella lista dei 10 centrocampisti italiani più forti di sempre. Tranne magari chi ci ha giocato insieme, o chi l’ha allenato: loro sì che vi potranno descrivere che razza di giocatore fosse.

In pochi probabilmente lo ricorderanno come una bandiera della Roma. In una storia societaria dove, da sempre, a farla da padrone sono i “romani e romanisti”, come Francesco Totti, Giuseppe Giannini, Daniele De Rossi, Fulvio Bernardini. Eppure in fin dei conti lo è stato, con i suoi 326 gettoni con la maglia della Lupa.

Quasi nessuno lo inserirà tra i 5 protagonisti del Mondiale del 2006, vinto dagli azzurri sotto il magico cielo di Berlino. Ma è un dato di fatto che, insieme a Pirlo e Gattuso, è stato uno degli elementi cardine del centrocampo di Marcello Lippi.

Molti, invece, faranno fatica a dire che ruolo avesse. Se mediano di rottura, se mezzala, se centrocampista box-to-box, se trequartista, se giocatore di costruzione. È stato ognuna di queste cose, in una singola carriera. Dove c’era bisogno lo si metteva, e lui stava. Bene. Molto bene.

Forse non ha avuto, nel corso della sua luminosa carriera, i giusti riconoscimenti.

Ma questo è Simone Perrotta. Il giocatore universale.

Il gol di Simone Perrotta contro l’Inter

Dalla Regina alla Reggina

Si potrebbe immaginare che un pochino della sua fenomenale capacità di corsa e di quella continuità nel fare avanti e indietro, da area a area, la deva alle sue origini inglesi. Dal momento che Simone nasce ad Ashton-under-Lyine, nei sobborghi di Manchester.

Anche se ben presto, con tutta la famiglia, si trasferisce in Calabria, precisamente a Cerisano. Dove i suoi trovano lavoro, e lui comincia a dare calci per strada al pallone.

Cosa che gli riesce parecchio bene, se si pensa che a soli 13 anni approda subito nel vivaio della Reggina. Inizia coi Giovanissimi, arriva fino alla Primavera. Quindi finalmente, il 10 settembre del 1995, l’esordio in prima squadra, contro il Chievo Verona.

In amaranto, contro l’Ancona, segna anche la prima rete tra i professionisti. E si guadagna la chiamata nelle prime selezioni azzurre.

1 gol in 77 presenze.

“Eh beh ma d’altronde mica deve farli lui i gol. Lui è uno che corre, lotta, sgomita e recupera palloni. I gol li lascia a qualcun altro”.

Segno che del Simone Perrotta che verrà c’è ancora molto, molto da scoprire.

Quel lancio per Cassano…

Nemmeno la Juventus riesce a far risaltare quel diamante grezzo. Esordio in Europa, in Champions e nella Coppa Intertoto (monumento alla nostalgia pallonara). Ma presenze risicatissime, che lo portano a Bari, dove, si pensa, troverà maggiore spazio.

Al San Nicola, effettivamente, trova la continuità di impiego di cui aveva assolutamente bisogno. Ormai pare chiaro a tutti di che tipo di giocatore si tratti: un onesto galoppatore del centrocampo, con buoni tempi di inserimento, bravo soprattutto nel recuperare palla e nel lanciare le ripartenze in fase di transizione offensiva.

Col Bari entra, indirettamente, nelle pagine di storia della Serie A.

È suo infatti il fendente che mette in moto l’allora 16enne Antonio Cassano, che controlla col tacco, si beve mezza Inter e deposita in rete, presentandosi al grande calcio con il più sonoro dei “sono qua”.

Chievo Verona: la favola giusta

Una buona carriera non è fatta però solo di scelte giuste, ma anche di scelte fortunate.

Lo è sicuramente quella di passare, una volta archiviata la parentesi pugliese, al Chievo Verona, neopromosso in serie A.

Sembra un trasferimento come un altro, di un giocatore giovane che ha meritato la conferma in categoria e che va a rimpinguare il centrocampo di una neopromossa, per continuare a farsi le ossa.

Sarà molto diverso da così. Al Chievo Verona Simone entrerà nell’orchestra sinfonica diretta dal maestro Luigi Del Neri e che di lì a breve tutti conosceranno come “I Mussi Volanti”.

Il piano prevede: una difesa solida, esperta e sempre e costantemente alta; un eccezionale cervello in linea mediana come Eugenio “Il Genio” Corini; Simone Perrotta a corrergli intorno a perdifiato, pronto a buttarsi negli spazi; due frecce vicino le linee laterali del campo come Eriberto Luciano e Thomas Manfredini; due attaccanti pronti a ricevere i cross e in grado di scambiarsi costantemente la posizione tra di loro: Bernardo Corradi (o Federico Cossato) e Massimo Marazzina.

Una macchina perfetta, che fa stropicciare gli occhi a mezza Italia. E che porta il minuscolo club di quartiere di Verona alle porte dell’Europa che conta.

A lavorare sul motore di questa macchina proprio Simone. Che, di fianco a Corini, mette in mostra tutte le sue qualità.

Ha una costanza di corsa davvero incredibile, una tenacia innata che mette in ogni palla contesa, una fenomenale capacità di lettura dell’azione che gli consente di essere sempre al posto giusto al momento giusto.

Quando anche il Chievo diventa un orizzonte troppo limitato per un giocatore così, è ormai chiaro a tutti: Simone merita una grande.

Roma, Roma, Roma

Arriva la chiamata della Roma. E per Simone sarà l’equivalente di un appuntamento al buio col destino.

Quell’avventura iniziata in maniera ben più che rocambolesca, è destinata a cambiargli la vita, sia personale che professionale. Roma e la Roma saranno seconda casa e seconda pelle di Simone per il resto dei suoi giorni.

Arriva a Trigoria voluto fortemente da Claudio Cesare Prandelli. Il quale però, già durante il ritiro, deve abbandonare, perché ben altri pensieri, in quei giorni, annebbiano la sua mente.

Arriverà Rudi Voller, che non ci capirà granchè. Finchè a guidare i giallorossi non arriverà Luigi Del Neri, il suo vecchio mister.

Conosce molto bene Perrotta, sa dove farlo giocare: sarà un centrocampista di contenimento a supporto dei talenti là davanti (Totti, Montella, Cassano). Saranno lui, De Rossi e Dacourt gli incaricati al recupero palla, per darla di nuovo ai fenomeni offensivi.

Stagione, tutto sommato, non indimenticabile. Alla fine, per salvarla, verrà addirittura chiamato in panchina Bruno Conti. L’impressione, di tutti, è che questa squadra abbia il talento. E che, con i giusti innesti, potrebbe dire la sua. Mancano al momento idee buone, idee vincenti.

La rivoluzione targata Spalletti

A portarle ci penserà Luciano Spalletti. 

Il mister di Certaldo ha delle peculiarità che con la Roma e a Roma si sposano benissimo: ha una grande abilità nel sapersi adattare alle situazioni. Ha sempre pronto un piano B, qualora l’A non dovesse funzionare. E sa farsi ascoltare e seguire dai propri giocatori.

Ultimo particolare, non da poco: regge magnificamente le pressioni provenienti dall’esterno. Un po’ ce l’ha nel carattere, un po’ lo deve alla sua intelligenza. I giocatori della Roma lo capiscono subito: con lui si cambierà registro.

Fino a dicembre del 2005 sembra la solita vecchia Roma: altalenante, fiacca, discontinua e indisponente.

Poi, alla vigilia di un match esterno contro la Sampdoria, la svolta: da una necessità, come spesso accade, nasce un occasione.

La Roma è senza attacco: Cassano, Montella, Nonda. Tutti fuori per più o meno gravi problemi fisici.

L’idea di Spalletti, che all’inizio pare ai più una scelleratezza, e che solo dopo si rivelerà geniale, è la seguente: il capitano Francesco Totti agirà da prima punta, col suo continuo movimento a uscire non solo toglierà punti di riferimento alla difesa avversaria, ma aprirà voragini in cui si potranno infilare i 3 subito dietro, ossia Mancini, Taddei e Perrotta. A De Rossi e Aquilani il compito di azionare questo ventaglio 20 metri più indietro.

In questa pensata, Simone Perrotta è l’elemento cardine. Totti, d’altronde, dovrà fare la cosa che gli è sempre meglio riuscita in carriera, ossia inventare. Ma il tutto non potrebbe funzionare se alle sue spalle non ci fosse un centrocampista intelligente, di lettura e polmoni come Perrotta.

Sembra lo faccia da una vita, sembra che con Totti e i due brasiliani giochi insieme dall’asilo. Oltretutto sotto rete dimostra di saperci fare eccome, dal momento che, dal 2005 al 2010 andrà quasi sempre vicino alla doppia cifra.

È un punto di svolta, una passaporta. 

La Roma a Genova pareggerà 1-1 giocando meravigliosamente bene, e da quel momento in poi andrà a dare fastidio alle grandi, conquistando anche 2 coppe Italia e una Supercoppa.

Cambierà anche la carriera di Perrotta. Non più centrocampista di mera rottura, ma giocatore universale, in grado di giocare in tutti i 60-70 metri di campo dalla propria trequarti in avanti.

La chiamata di Lippi: c’è Berlino che aspetta

A gennaio 2006, a casa Perrotta fervono i preparativi per il matrimonio del fratello Massimiliano. Il quale, con mirabile lungimiranza, ha deciso di fissarlo 2 giorni dopo la data prevista per la finale della Coppa del Mondo di Berlino. “Ah Simò, nun se sa mai!”

Squilla il telefono. Dall’altra parte della cornetta Marcello Lippi. Pare quasi di sentire l’acre odore di sigaro fuoriuscire dall’apparecchio.

“Senti Simone, ci ho pensato parecchio. Alla Roma stai facendo davvero bene, vi ho visti anche l’altro giorno, siete uno spettacolo per gli occhi. Sentimi bene: io non posso darti il ruolo che hai nella Roma in Nazionale. Il nostro modo di giocare non lo prevede. Nel 4-3-1-2 che ho in mente non saprei di preciso dove collocarti, non c’è una posizione che vedo fatta su misura per te. Però sento di aver bisogno di un giocatore e di un ragazzo come te: ci vieni ai Mondiali quest’estate?”

Simone oramai si era quasi rassegnato a non andarci. Non faceva parte del giro azzurro dal 2004, da un match di qualificazione a Parma contro la Bielorussia. A quella domanda risponde ovviamente di sì.

Perrotta non solo ci andrà a quei magici mondiali. Ma li vivrà da protagonista assoluto, giocando tutte le partite. 

Agisce nei 3 di centrocampo dietro il trequartista. Le prime due partite in sostituzione di Gattuso, ancora in precarie condizioni dopo un infortunio. Poi al posto del compagno e amico De Rossi, che contro gli Stati Uniti rompe il naso a McBride.

Pirlo governa, Ringhio e Simone corrono per 6, recuperando una quantità infinitesimale di palloni. È la ricetta vincente che porterà fino in fondo la banda di Lippi.

Nella finale di Berlino lascia il campo, esausto, al 61 esimo minuto perché è giusto che anche De Rossi abbia una seconda possibilità. Ma quando capitan Cannavaro alza il trofeo al cielo, sa che quella coppa è anche sua.

A fine torneo non trova posto nell’All Star Team. Ma poco importa, cì è abituato.

Sa che probabilmente nessuno lo nominerà mai come uno dei migliori centrocampisti del calcio italiano, come protagonista assoluto di quei Mondiali, come bandiera della Roma.

Eppure sa di essere stato ciascuna di queste tre cose.

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