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Martin Jørgensen, avanti e indietro

Zaccheroni lo chiamava “il computer”, per la facilità nel recepire le indicazioni. La Fiorentina lo comprò per soli 500 euro, e con lui in campo scrisse la storia a Liverpool. Vi raccontiamo Martin Jørgensen, l’infaticabile pendolino danese.
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Martin Jørgensen – Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Se vi capitaste di trovarvi a Udine, dove ora sorge la Dacia Arena, che una volta semplicemente si chiamava “Stadio Friuli”, vi accorgereste che il terreno di gioco non è ben livellato.

Ci sono due avvallamenti, in corrispondenza delle due fasce laterali. Lo si vede ancora oggi, nonostante gli anni trascorsi. Sono le due corsie che, per tanto tempo e altrettante tante partite, sono state percorse, senza soluzione di continuità, da un aratro danese chiamato Martin Jørgensen, scovato dalla sempre lungimirante società friulana quando giocava nell’Aarhus.

Lo stesso tipo di fenomeno lo si può trovare allo stadio Franchi di Firenze, dal momento che, nell’estate del 2004, la Fiorentina si porterà in Toscana questo fenomenale esterno, grazie a un clamoroso e quasi unico inghippo di calciomercato, per la nemmeno simbolica cifra di 500 euro.

Un giocatore unico, capace di entrare nel cuore dei tifosi senza quasi proferire parola. Semplicemente con l’esempio, l’impegno e il sacrificio. Un professionista con la P maiuscola. E, più in generale, una pedina che ogni allenatore vorrebbe avere nel proprio scacchiere.

Jorgensen, il computer di Zac

È l’estate del 1997, quando l’Udinese pesca, per le proprie corsie laterali, nel calciomercato danese. Arrivano un esterno e un terzino: Martin Jørgensen e Thomas Helveg.

L’ambientamento di entrambi è immediato. Si inseriscono perfettamente nei meccanismi della squadra guidata da Alberto Zaccheroni, che quell’anno compirà una vera e propria impresa, concludendo il campionato di serie A in terza posizione.

Sì, è l’Udinese della coppia gol Bierhoff-Amoroso, un mix perfetto tra i due, micidiale.

Ma a strappare quasi sempre voti alti è proprio Martin Jorgensen, che diventa da subito una pedina inamovibile. Sembra avere almeno un polmone in più rispetto a tutti gli altri, percorre la corsia laterale a ritmo incessante. Non sembra nemmeno accusare la stanchezza.

Soprattutto, recepisce come pochi altri le direttive del proprio tecnico. Tanto che è lo stesso Zac a soprannominarlo “il computer”. Basta dargli un input, e lui esegue.

Gli spicci della Viola

Dopo 7 splendidi anni in maglia bianconera, passa, come detto, alla Fiorentina. La formula usata è quella della comproprietà: il che vuol dire che la sua situazione l’estate successiva andrà ridiscussa tra i due club.

Dopo una stagione di alti e bassi, dovuti soprattutto alla rifondazione in atto nella società viola, arriva giugno, e una soluzione va trovata. Udinese e Fiorentina non si accordano, tocca perciò andare alle buste, per capire che maglia debba vestire Martin la stagione successiva.

A questo punto accade l’impensabile. Per motivi tuttora difficili da comprendere, entrambe le squadre decidono di “mollare” il giocatore.

Al momento dell’apertura di tali buste, si scopre che l’Udinese sul piatto non ha messo nulla: 0,00 €.

La Fiorentina ha deciso, per onor di firma, di impiegare 500 euro. Più o meno il costo di un televisore.

Per quella cifra iniqua, quasi offensiva se si considera il valore di un giocatore che deve ancora compiere 30 anni, Jørgensen rimane a Firenze. E i tifosi della curva Fiesole si potranno ben presto rendere conto di aver fatto, forse, l’affare del secolo.

La storia ad Anfield

C’è tanto negli anni trascorsi da Martin alla Fiorentina. Dal 2004 al 2010, poco prima di andare a finire là dove tutto era prima cominciato, all’Aarhus.

Tanta corsa, tanto impegno, tanti assist e tanta abnegazione.

Finisce addirittura per fare il terzino, quando infortuni e circostanze varie costringono mister Prandelli a spostare il ceco Tomas Ujfalusi al centro della difesa.

C’è anche un gol, bellissimo e storico, a legare il nome del danese alla storia del club.

Il 9 dicembre del 2009 la Fiorentina diventa la terza squadra italiana, dopo Genoa e Roma, capace di espugnare un tempio sacro del calcio come Anfield.

Siamo nella fase a gironi della Champions League, e la Fiorentina và ad affrontare la trasferta senza dubbio più difficile. I viola non si lasciano intimorire dalla Kop e dal clima infuocato dello stadio. Giocano spavaldi, senza timori reverenziale.

Il Liverpool passa con l’israeliano Benayoun, ma poco dopo arriva il pareggio. E a firmarlo è proprio Martin Jorgensen, che con un diagonale mancino batte imparabilmente Cavalieri. Ci penserà poi Gilardino, allo scadere, a dare l’ultimo colpo di scalpello, prima che l’impresa dei ragazzi di Prandelli diventi eterna, nelle pietre miliari della storia del calcio italiano e non solo.

Il riscatto dopo l’agonia

Vuol dire tanto quel gol per Martin. Non solo perché è il primo, per lui, in Coppa dei Campioni.

Ma vale anche come riscatto, dopo aver superato una delle più brutte esperienze che a un atleta, e a un essere umano in generale possa capitare. La gestione di una malattia.

L’anno prima di quel magnifico gol, infatti, al danese viene una brutta influenza: febbre alta e tanto tanto mal di testa. Gli viene diagnosticata una forma virale con interessamento delle meningi. Non una meningite, ma qualcosa che non ci va troppo distante.

Il percorso verso la guarigione è lungo e difficile. Per la prima volta i ciuffi d’erba del Franchi possono respirare un attimo, dal momento che Jørgensen quella corsia non può percorrerla.

Nel momento in cui gli viene dato l’ok per tornare ad allenarsi, un rigonfiamento dei linfonodi lo costringe a fermarsi di nuovo. Altro stop, e una stagione praticamente buttata.

Ma il calcio, a giocatori della sua caratura, sa restituire il maltolto. E quella sera, ad Anfield come davanti alla tv, erano in tanti ad esultare per quel gol, non solo i tifosi viola.

Dalla fascia agli autobus

Jørgensen smette ufficialmente di giocare nel 2014, dopo essere tornato a deliziare il pubblico del club che lo aveva lanciato.

Se vi state domandando dove sia adesso, e state pensando di andare a spulciare i vari staff tecnici, per capire se magari ha deciso di allenare o comunque di rimanere nel mondo del calcio, risparmiate il vostro tempo. Non è lì che lo troverete.

Uno così non poteva avere un’altra vita non banale, al di fuori del calcio.

Guida autobus, Per l’azienda di famiglia, la De Graa Busser. Avanti e indietro, ancora una volta.

Non più sulla fascia, per andare al cross o per provare il tiro. Ma al volante, ad accompagnare a destinazione i propri passeggeri.

Avanti e indietro. Sempre e comunque. Nel calcio come nella vita.

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