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L'odio dopo la tempesta: Partizan vs Stella Rossa

Il Večiti derbi è una delle rivalità sportive più dure e cruente del mondo. Due mondi nati dopo una guerra, e un tempo accomunati solo da un nemico comune. Un derby eterno, tra zingari e becchini.
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Večiti derbi – Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Per molto tempo i rapporti tra Partizan Belgrado e Stella Rossa non sono stati tesi come lo sono ora. Non si può certo dire che tra le due realtà sia mai scorso buon sangue, quello no. La rivalità c’è sempre stata e ci sarà sempre.

Ma fino all’inizio degli anni ’90, i nemici, per entrambe le anime calcistiche di Belgrado, erano altri. I croati. E quindi l’Hajduk Spalato e la Dinamo Zagabria. Avvisaglie di un’ostilità che, di lì a poco, sarebbe definitivamente deflagrata.

Con la morte di Tito, l’unico in grado di tenere unite quei “sei stati, cinque nazioni, quattro lingue, tre religioni e due alfabeti” che ancora oggi la filastrocca ricorda, in Jugoslavia le cose sono andate via via peggiorando.

Negli anni ’90 sono arrivate le bombe di una guerra fratricida, combattuta casa per casa, quartiere per quartiere, a stravolgere i flebili equilibri nei Balcani.

E a dissotterrare, da quei 10 centimetri di terra che la ricoprivano, la rivalità tra le due principali squadre serbe. Una inimicizia, che può essere tranquillamente definita “odio”, che tutto il mondo ora conosce come una delle più feroci dell’intero panorama sportivo.

È il “Večiti derbi”, come dicono loro. Il derby eterno.

La sfida tra due universi così simili da non aver nessun tipo di comunicazione tra loro.

Studenti da una parte, partigiani dall’altra

Tutto nasce nel 1945, mentre il mondo non ha ancora finito di contare i morti di un secondo, sanguinosissimo, conflitto mondiale.

Quell’anno, a febbraio, gli studenti dell’università di Belgrado raccolgono le ceneri della SK Jugoslavija, e decidono di fondare un nuovo club calcistico, che della vecchia società erediterà tutto, dalla sede sociale, allo stadio, passando per dirigenza e giocatori.

La chiamano Stella Rossa, come quella che aggiungono al logo originario del club. La loro idea è quella di creare una squadra con uno fortissimo spirito nazionalista. Si faranno chiamare per sempre i Delije, giovani coraggiosi. E puntano al monopolio del calcio jugoslavo.

Finita la guerra, a ottobre, a non più di un chilometro di distanza, un gruppo di partigiani jugoslavi risponde istituendo il Fudbaski Klub Partizan. Loro saranno la squadra dell’esercito, quella degli eroi che cacciarono i nazisti dalle proprie terre. Squadra che si dimostra da subito competitiva a tutti i livelli, tanto che, i giocatori che ne indossano la maglia, vengono denominati i Crno-Beli (letteralmente “i rulli compressori”).

Quell’anno è destinato a cambiare per sempre il calcio jugoslavo e serbo.

Becchini contro zingari

Belgrado è come una donna bellissima, deturpata dalle cicatrici di un passato violento.

La guerra ha lasciato segni indelebili in questa città, perla e centro di gravità permanente dell’universo balcanico.

Chi nasce qui è destinato per il resto della vita a prendere delle decisioni. La prima delle quali, raggiunta l’età adulta, è: andarsene o restare.

Se poi hai avuto il privilegio di nascere qui, e pure quello di essere appassionato di pallone, la scelta è una e una soltanto. Tifare Partizan o Stella Rossa.

Se essere “becchino” oppure “zingaro”.

Già, perché pure i soprannomi dei due popoli negli anni cambiano. Al Partizan i vecchi “rulli compressori” diventano becchini (grobari), per via della divisa bianco-nera che ricorda quella degli impiegati delle pompe funebri della città.

I deljie della Stella diventano invece “zingari” (cigari), per via di una certa empatia da sempre provata nei confronti della popolazione di etnia rom.

Due mondi,come detto, molto simili per tanti aspetti. Tanto simili da non essere mai in comunicazione tra di loro. Fino a sfociare nel vero e proprio odio.

I due derby, di andata e ritorno, sono giorni in cui l’intera città è in fibrillazione.

Sia che si giochi al Marakana (che prende in realtà il nome da Rajko Mitic, uno dei più vincenti giocatori e allenatori della Stella) sia che il teatro della disputa sia il Partizan Stadion, il tutto esaurito è quasi sempre garantito.

Coreografie folkloristiche, spesso accompagnate da spettacoli pirotecnici, quasi sempre riprese dagli organi di stampa di mezzo mondo, sempre pronti a puntare il dito contro gli ultras, salvo poi meravigliarsi di fronte a cotanta bellezza.

Uno dei pochi derby in cui la passione che accende i tifosi sugli spalti è esattamente la stessa di quella che pervade i giocatori in campo. Non è mai un derby “amichevole”, ci si gioca il tutto per tutto sempre. O palla o gamba, non ci sono prigionieri. Che in un match così tutto puoi sbagliare, tranne l’atteggiamento.

Il lato oscuro del Večiti derbi. Sangue e morte

La criminalità e il malaffare hanno da sempre serpeggiato in seno a queste due tifoserie. La guerra e la tensione balcanica non ha fatto altro che acuire il tutto.

Il 22 marzo 1992 l’intero Marakana, indipendentemente dalla fede calcistica, celebra l’ingresso allo stadio di Zeljko Raznatovic, per tutti semplicemente Arkan. Un boia, un efferatissimo comandante che recluta i suoi seguaci proprio tra i tifosi della Stella. Le famose tigri di Arkan.

Le stesse tigri di cui si serve Slobodan Milosevic durante la sua politica espansionistica. E che si macchia di diversi crimini nel corso del conflitto e non solo.

Al termine della guerra le cose non sono per nulla migliorate.

L’annata più nera, in tal senso, è quella del 1999/2000. L’andata, allo Stadion Partizan, il bollettino degli scontri sembra riportare ai tempi dei bombardamenti: diversi feriti, sia da una parte che dall’altra, e pure tra le forze di esercito e polizia. Un morto: Aleksandr Radovic. Uno dei deljie, colpito da un bengala lanciato dall’opposta tifoseria.

La partita di ritorno, gli scontri cominciano una manciata di secondi dopo il fischio d’inizio dell’arbitro, per non finire praticamente mai.

E chi pensa che questo malcostume, degli scontri violenti tra opposte fazioni, sia prettamente legato al calcio, si sbaglia di grosso. Pure il Veciti Derbi della pallacanestro registra spesso incidenti, talora molto gravi. Stessa cosa vale anche per pallavolo e pallamano. Per non parlare della pallanuoto.

Večiti derbi: la verità del campo

E il campo? Il rettangolo verde dice, probabilmente, che è meglio la Stella. Più vittorie nei campionati nazionali, sia pre che post disgregazione della Jugoslavia, 19. Maggior numero di titoli nazionali in generale (32 contro i 27 dei becchini).

Ma soprattutto quel trofeo meraviglioso, quello con le orecchie grandi. La Coppa dei Campioni conquistata sotto il cielo di Bari il 29 maggio 1991. Ai rigori, contro il Marsiglia.

Prima e unica, finora, squadra jugoslava ad alzare la Champions League. In realtà, una vera congrega di fenomeni, che si affermerà in tutto il mondo. Da Prosinecki a Jugovic, da Mihajilovic al Genio Savicevic. Fino a Pancev, grande rimpianto, poi, dell’Inter.

Una coppa che i rivali di sempre hanno solo sfiorato. Precisamente nel 1966, con la finale persa dal Partizan al cospetto del grande Real di Alfredo Di Stefano.

Negli ultimi anni il Veciti Derbi è tornato in auge. Merito soprattutto di Gazprom, colosso energetico russo, che ha risollevato e rimpolpato le finanze della Stella Rossa, arrivata a un passo dal fallimento. E che ora, nei cupi tempi attuali, genera un certo sentimento di affetto del popolo serbo (della Stella soprattutto) nei confronti dei russi, invisi al resto del mondo.

Ora la Stella non solo è tornata a competere, ma pure a vincere. E la sfida si rinnova. Una sfida che non conosce né tempo né quartiere.

Una sfida eterna, un odio generatosi dopo una già assai dura tempesta.

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