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L’ultimo scudetto “italiano”

Prima della riapertura delle frontiere, l’Inter si porta a casa il suo dodicesimo titolo, l’ultimo in assoluto di una squadra tutta italiana e forgiata da numerosi prodotti del proprio vivaio.
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Nella nostra epoca farebbe un effetto molto strano sentir parlare di frontiere chiuse e limite agli stranieri, di squadre quasi solamente o interamente formate da calciatori italiani. Eppure, in passato non era per niente fantasia, ma una precisa regola della Federazione. 

Nel 1966 si era deciso di migliorare il nostro movimento vietando il tesseramento di giocatori stranieri, in modo da favorire la crescita dei giovani italiani e farli esordire più facilmente nelle prime squadre. I non italiani già presenti nei club potevano cambiare squadra e giocare, col tetto massimo di due per partita, esattamente come la regola precedente prevedeva, ma non se ne potevano più acquistare altri dalle squadre estere. Ironia della sorte, la delusione dei mondiali inglesi fece sembrare saggia la decisione. 

Con questa norma man mano sparirono dal nostro campionato, per limiti di età o per cessione. L’ultimo rimasto fu Sergio Clerici, brasiliano, che lasciò la Lazio nel 1978. Ci furono dunque due annate con la Serie A interamente italiana. Il 9 maggio 1980, dopo quasi quindici anni, il presidente della FIGC Artemio Franchi decise che da quell’estate le società avrebbero potuto tesserare uno straniero, l’inizio di una nuova era. 

Dunque, l’ultimo scudetto vinto da una squadra di soli italiani è quello conquistato dall’Inter. 

Un sergente di ferro e la giovine Italia nerazzurra

Alla fine del campionato 1976/77, un campione lascia il calcio: Sandro Mazzola, idolo nerazzurro e della nazionale, appende gli scarpini al chiodo a 35 anni non ancora compiuti e inizia una nuova avventura. Aiuterà la sua Inter non più dal campo, ma da dietro una scrivania, come consigliere delegato e uomo mercato. 

L’ex capitano si rende conto che c’è bisogno di un po’ di tempo perché si possa puntare al titolo, che manca dal 1971. Così insieme al presidente Ivanoe Fraizzoli comincia a ricostruire piano piano dove serve e a confermare alcuni prospetti che stanno emergendo, per arrivare a vincere in tre anni. Si parte dal trovare un allenatore, dopo alcune stagioni in cui ne sono stati cambiati diversi senza risultati. 

La scelta ricade su Eugenio Bersellini, il Sergente di ferro per i suoi allenamenti duri e la preparazione fisica tenuta sempre al massimo. Di lui si narra che, insieme al vice Armando Onesti, fece costruire una fossa larga 30 metri X 10 e profonda trenta centimetri per rinforzare i muscoli. Fraizzoli e Mazzola convengono con il tecnico che la base della squadra deve essere costituita da chi già è cresciuto nella società, a cominciare dalla porta: Ivano Bordon, prima promessa del settore giovanile, poi ottimo sostituto di Lido Vieri, da un anno titolare fisso. Portiere sicuro, tra i migliori dell’epoca, che vanta un saldo positivo tra presenze e gol subiti in ogni squadra in cui ha militato e in nazionale. Poi la difesa, con il jolly Beppe Baresi e il libero Graziano Bini rispettivamente in rampa di lancia e in ascesa, dopo la trafila delle giovanili dell’Inter. Bini ha anche i gradi di capitano dalla stagione 1978/1979, a seguito del ritiro di Giacinto Facchetti, mentre il fratello maggiore di Franco ricopre tutti i ruoli della difesa e anche quello di mediano, con una duttilità notevole. A centrocampo un altro factotum svezzato dal club, il mediano corsa e lotta cantato da Luciano Ligabue, Gabriele Oriali, perfettamente in grado di essere numero quattro, otto, ma anche terzino. C’è Giampiero Marini, Malik, che il mediano invece lo faceva con acume tattico; infine Carlo Muraro, ala sinistra dinamica e col cross facile, ulteriore prodotto della De Martino nerazzurra. 

A questa base fatta in casa e collaudata, Bersellini aggiunge, in tre anni, alcuni altri ragazzi delle giovanili ed elementi validi prelevati dalle avversarie. Quanto ai primi, viene integrato Nazzareno Canuti, stopper atleticamente forte e con gamba anche per operare a destra e due comprimari, il libero Leonardo Occhipinti e il centrale Franco Pancheri. Come alternativa in attacco, dopo un prestito all’Ascoli viene promosso in prima squadra Claudio Ambu.  Quanto ai secondi, due sono giovani di belle speranze, provenienti da Brescia: Alessandro Altobelli ed Evaristo Beccalossi, che hanno un’intesa pressoché perfetta. 

Spillo è il nove, il bomber, dribbling, fiuto del gol, ambidestro, Bersellini lo tartassa per irrobustirne il fisico e dunque il rendimento; Becca il fantasista, gestito dal Sergente di ferro tanto con la carota quanto col bastone, vista la sua discontinuità che lo faceva sembrare imprendibile in certe giornate e totalmente evanescente in altre. Con loro, l’organico è completato dall’approdo di Roberto Mozzini, stopper scudettato col Torino di Radice, Giancarlo Pasinato, mediano ma soprattutto ala destra e Domenico Caso, anche lui veloce numero sette ma trasformato in regista arretrato da Bersellini. In questi tre anni, l’Inter cresce di rendimento insieme ai suoi calciatori, conquistando la Coppa Italia contro il Napoli nel 1978. E dopo un’ulteriore stagione di rodaggio, nel 1979/80 deve partire l’assalto al campionato, come era stato pianificato, nonostante i colpi di mercato altisonanti siano di altre squadre (Paolo Rossi va al Perugia). La formazione tipo: Bordon, Baresi, Oriali, Pasinato, Canuti (Mozzini), Bini, Caso, Marini, Altobelli, Beccalossi, Muraro. 

Subito in testa con un fortino impenetrabile

Ai nastri di partenza, arriva immediata una sorpresa: i nerazzurri si ritrovano in vetta solitaria già alla prima gara. Con un record difficilmente battibile, infatti, ci sono sette pareggi e la sola affermazione dell’Inter in casa contro il Pescara 2-0, per un totale di appena sei reti. Alla seconda giornata, l’Udinese impone l’1-1, dopodiché una serie di tre vittorie pesanti, contro Lazio, Bologna e Napoli. 

Beccalossi e Altobelli sono partiti alla grande, e guidano l’Inter in testa, tallonata dalle due torinesi. A Catanzaro matura uno 0-0 tutto sommato accettabile, partita che precede la stracittadina milanese. Inter-Milan finisce 2-0, col mattatore di giornata Beccalossi, doppietta e prestazione maiuscola. Fuga a +2 sulla Juventus e +3 sul Toro, che non riesce ad accorciare le distanze con lo 0-0 di sette giorni dopo al Comunale contro gli uomini di Bersellini, facendosi scavalcare, insieme ai cugini, sia dal Milan che da un buon Cagliari a quota 11. 

Al nono turno, l’11 novembre, l’incontro di cartello è il derby d’Italia a San Siro. Qui l’Inter capisce che l’annata può essere propizia: dopo un primo tempo equilibrato, i nerazzurri si scatenano e asfaltano i bianconeri con un secco e storico 4-0, tripletta di Altobelli e gol di Muraro a rendere chiaro il messaggio per il campionato. La squadra di Trapattoni vivrà una fase di forte depressione, finendo in zona retrocessione, mentre la Beneamata continua la sua serie positiva, impattando ad Avellino a reti bianche. La difesa è una garanzia, Bordon non subisce gol da sette partite, 686 minuti, Altobelli e Beccalossi continuano a collezionare numeri e gol, Oriali, Marini e Pasinato si rivelano una diga collaudata. E il progetto scudetto prende corpo. 

Campioni d’inverno e marcia tra le intemperie (altrui)

La classifica, dopo dieci incontri, vede l’Inter prima a 16 punti, Milan 13, Juventus, Torino e Cagliari 12. Proprio i sardi ospitano la capolista all’undicesima giornata, costringendola all’1-1. Si apre una parentesi di flessione, perché a seguito del successo casalingo per 3-2 contro il Perugia di Paolo Rossi, ci sono la sconfitta a Roma contro i giallorossi e due pareggi con Fiorentina e Ascoli, che chiudono il girone d’andata. Ma le dirette concorrenti non ne approfittano, specie il Milan campione in carica, che rimane a -2, così la truppa di Bersellini detiene lo scettro ufficioso di campione d’inverno. 

Riparte la marcia: successi contro Pescara e Udinese (0-2 e 2-1), doppio risultato a occhiali contro Bologna e Lazio, poi è il turno del pirotecnico scontro a Fuorigrotta col Napoli: 3-4, doppietta di Muraro, Altobelli e gol partita di Beppe Baresi, che dà un saggio dell’Inter 1979/80: cuore, sudore e sacrifico di soldati ben addestrati da un sergente. Stavolta il Catanzaro cade, a San Siro, sotto i colpi di Altobelli, Beccalossi e Oriali, autore di un campionato di lusso, dove alla sostanza sta unendo anche una mira niente male specie in sfide chiave (segnerà sei gol). 

Proprio il tuttocampista dal piede caldo sarà infatti il protagonista del successivo Milan-Inter, che risolve a tredici minuti dal termine con una rete di rapina da vero attaccante. I nerazzurri volano a 33 punti, piazzando l’allungo decisivo e staccando nettamente i cugini, ora a -8 in condominio con una Juventus in ripresa e un clamoroso Avellino. 

Il 23 marzo 1980 è una data nera per il calcio italiano: scoppia lo scandalo del Calcioscommesse, per le denunce di due “aggiustatori” romani dietro alle combine, il commerciante Massimo Cruciani e il ristoratore Alvaro Trinca. Il Totonero coinvolge società e tesserati, in particolare Milan e Lazio, ma anche Avellino, Bologna, Perugia e diverse squadre della B. I calciatori accusati vengono arrestati alla fine delle partite, attesi dalle forze dell’ordine a bordocampo, una scena che passerà alla storia.

L’Inter è uno dei pochi club non coinvolti, Bersellini lo rivendica con orgoglio anni dopo: “Mi ricordo che ho passato delle notti in bianco, per cercare di controllare insieme ad un dirigente, specie quando andavamo al sud. Gli dicevo di darci il cambio e stare attenti perché secondo me c’era sotto qualcosa, vedevo della gente strana in giro che non mi piaceva per niente. Infatti, fummo forse l’unica delle grandi a non essere messa in mezzo, anche perché io certe cose le dicevo (ai giocatori ndr): «Guardate che se io pesco uno a fare una cosa del genere… è come se vieni all’allenamento che non hai voglia: me lo dici e non lo fai. Poi ci penso io a farti recuperare. Ma se fate una cosa di queste, ragazzi, se fate una cazzata del genere recupero non ce n’è, addio alla vostra carriera»”. 

Forti di questa immunità, i nerazzurri vanno avanti come se nulla fosse passando tra le macerie altrui e sentono che ormai il titolo è a un passo. 

Il tricolore si cuce sul nerazzurro

Il 9 marzo, giorno del compleanno del club, Inter-Torino termina 1-1, con Muraro che riacciuffa un punto in extremis, mentre il 23 marzo, nella giornata degli arresti, fatale è la Juventus al Comunale, ma i nerazzurri hanno buon margine e riprendono i due punti a San Siro contro l’Avellino, 3-0 in cui segneranno il loro unico gol dell’anno Caso e Ambu. A questo punto, il vantaggio in graduatoria è +8 su Juventus, Ascoli, Milan e Fiorentina, a conferma di quanto sia stata farraginosa e incostante la concorrenza. Alla ventiseiesima, tra le mura amiche matura un punto prezioso, perché il Cagliari va in vantaggio 0-2 e 1-3, ma Muraro, Oriali e Altobelli firmano la rimonta e mantengono un +7 rassicurante. Ormai, a quattro giornate dalla conclusione, è solo questione di matematica. 

Dopo lo 0-0 a Perugia, il 27 aprile 1980 è il momento della consacrazione. Basta un’altra patta per essere campioni d’Italia. Pruzzo segna, Oriali pareggia, ma alla fine della prima frazione Turone sembra rovinare la festa. Nella ripresa assalto alla porta giallorossa, la quale capitola all’80’, in virtù dell’unico ma pesantissimo gol con l’Inter dello stopper Roberto Mozzini. 2-2 e bandiere al vento. Il dodicesimo titolo per l’Inter è realtà. L’imbattibilità casalinga viene persa solo all’ultimo ininfluente turno contro l’Ascoli, seguito al successo di Firenze. Ma ormai poco importa, i rovesci sono solo tre, l’attacco è il migliore del torneo (44), guidato da Alessandro Altobelli, 15 gol, solo uno in meno del capocannoniere Bettega. I centrocampisti hanno contribuito alla causa (Beccalossi e Oriali mettono assieme tredici marcature), ma in generale segnano praticamente tutti, indice di una coralità che nel calcio premia. 

Mentre il Milan conosce l’onta della retrocessione per gli illeciti sportivi insieme alla Lazio, accendendo la gioia di un antimilanista come il vicepresidente nerazzurro Peppino Prisco, l’Inter si gode il suo capolavoro, uno scudetto vinto in realtà tre anni prima, inizialmente a fari spenti, quando tutto fu programmato minuziosamente da Mazzola insieme alla società. Una squadra concreta, al comando dalla prima all’ultima giornata, capitanata da un “militare” paterno e rigoroso, Eugenio Bersellini, che ha saputo plasmare e credere in numerosi ragazzi del vivaio, ben nove su sedici effettivi, e che in Coppa Italia e negli anni successivi lancerà anche un certo Beppe Bergomi, il quale sarà, insieme a Bordon, Marini, Oriali e Altobelli campione del mondo nel 1982. 

Li ha aspettati, li ha resi versatili in più ruoli, fatti sbagliare, cresciuti facendogli da chioccia, protetti dalle insidie nere e con un paio di innesti d’ esperienza e freschezza, li ha condotti al successo nell’anno più difficile del nostro campionato, segnato da scandali, squalifiche, processi e violenza (un tifoso laziale muore colpito da un razzo durante il derby d’andata). È un successo tutto italiano, fatto di italiani, uno scudetto tricolore de iurede facto, per l’ultima volta in Serie A, ironia della sorte da parte del club che si chiama Internazionale perché voleva aprirsi al mondo. Eppure, coltivare e credere nel talento nostrano, come si faceva ai tempi, non sarebbe peccato. 

Racconto a cura di Carmelo Bisucci

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