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Delio Rossi, il Poseidone di Foggia

Dal tuffo nel Fontanone del Gianicolo al ritorno nella città del cuore. Delio Rossi è di nuovo in campo, pronto a stupire ancora. Come ha sempre fatto nella sua carriera.
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Delio Rossi - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Roma, 10 dicembre 2006. Una figura umana emerge, seminuda, dalle gelide acque della Fontana Del Gianicolo.

Una scena che lascia attoniti i pochi presenti. D’altronde è tarda sera, quasi notte.

La Lazio ha appena battuto la Roma 3-0 nel derby. Gol di Ledesma, Oddo e Mutarelli.

E, che ci crediate o no, quell’uomo immerso nel Fontanone è proprio l’allenatore dei biancocelesti: Delio Rossi. Tutto per colpa di un voto, di una scommessa: “Se vinco il derby mi tuffo”. E così è stato.

Una specie di Poseidone post-litteram. E non solo perché quest’ultimo, nella mitologia greca, era il Dio del mare, e nella comune iconografia viene spesso raffigurato mentre emerge, imponente, dalle onde.

Ma anche perché Poseidone era l’Enosictono, che vuol dire “scuotitore di terre”. E nella propria carriera di allenatore, di terre, il buon Delio ne ha scosse eccome. Non solo quelle dell’Olimpico, poche ore prima di quel tuffo propiziatorio.

E promette di farlo, di nuovo, anche nella piazza che ha da sempre amato più di tutte: Foggia. Perché da qualche settimana è tornato sulla panchina dei “satanelli”.

Delio e Foggia

Foggia per Delio è stato l’inizio, il tramite e magari ora potrà segnare la fine del proprio percorso nel mondo del calcio. D’altronde il tempo scorre, e quest’anno saranno 63 le primavere sulle spalle dell’allenatore riminese.

È stato l’inizio non solo perché a Foggia il Delio giocatore ha collezionato più presenze di tutte le altre squadre in cui ha militato: circa 130, tra il 1981 e il 1987. Ma anche perché è a Foggia che comincia a muovere i primi magneti sulla lavagna da allenatore, quando torna per guidare la Primavera, dopo gli esordi da mister al Torremaggiore, in Promozione.

È stato sempre il tramite perché non può essere altrimenti, data che lì sono nate sia la moglie che i 3 figli, e che il Tavoliere è da sempre la meta preferita della famiglia Rossi per le vacanze estive, una sorta di buen retiro.

Può ora essere il futuro, dal momento che, non più tardi di un paio di settimane fa il club rossonero lo ha richiamato a casa, se così si può dire, per guidare la squadra in una travagliatissima stagione di Serie C, in cui l’alternarsi di ben 5 allenatori (prima di lui Roberto Boscaglia, Antonio Gentile, Fabio Gallo e Mario Somma) non ha impedito alla squadra di qualificarsi per i playoff.

Delio l’Enosictono

Delio Rossi lo scuotitore di terre, come Poseidone. In realtà servirebbe un termine greco per definirlo “uomo delle promozioni”, ma siamo consapevoli che non c’è. Ben 3, infatti, quelle conquistate in carriera, con Bologna, Lecce e Salernitana. Uno specialista, insomma.

Anche a Salerno, dove lo hanno sempre soprannominato “il Profeta”, il mister ha lasciato il segno. Non tanto grazie alle stagioni di successo, ma anche e soprattutto da un punto di vista umano. Tanto da scatenare una sorta di rivoluzione popolare, nel momento in cui, nel corso della stagione 98/99 l’allora presidente Aniello Aliberti decide di esonerarlo per la seconda volta stagione. E alla presentazione del sostituto designato, Francesco Oddo, la ribellione dei tifosi convince a richiamarlo a furor di popolo.

Una volta giunto in serie A, il mister non ne è praticamente più uscito. Regalandosi soddisfazioni ancora più grandi.

Luce e buio

Il 13 maggio 2009 la Lazio torna a vincere la Coppa Italia. Tutto grazie a un rigore sbagliato da Campagnaro, nella crudele lotteria finale, che fa svanire il sogno della Sampdoria di Mazzarri per coronare quello della società capitolina e del proprio allenatore.

Tante le pagine memorabili scritte anche nella Roma biancoceleste da parte del riminese. Nessuno infatti, ha dimenticato la folle corsa a braccia aperte sotto la Nord di Delio, uomo solitamente composto e pacato anche nelle esultanze, dopo una un soffertissimo derby della Capitale vinto all’ultimo minuto grazie a un gol di Behrami.

Fino ad arrivare al clamoroso tuffo nel Fontanone del Gianicolo, che lo ha reso, come detto, una semidivinità.

Ovviamente, come in tutte le storie di uomini, non può mancare qualche crepa, qualche angolo oscuro.

Le immagini della lite in panchina con Adem Ljajic hanno purtroppo fatto il giro del mondo, distorcendo l’immagine di chi, in quel momento, stava semplicemente difendendo, seppur nella maniera più sbagliata possibile, l’onore della propria famiglia.

Molto più goliardico e bonario il dito medio mostrato a Burdisso, un altro che probabilmente, in quel momento si era spinto un po’ oltre.

Sangue, fatica, lacrime e sudore

Al momento del suo ritorno a Foggia, per tornare ad allenare la squadra per cui ha candidamente ammesso di “fare da sempre il tifo”, Delio non ha voluto fare promesse.

Un po’ alla Winston Churchill, tutto ciò che è riuscito a garantire sono “sangue, fatica, lacrime e sudore”.

I tifosi dei satanelli lo hanno riabbracciato con enorme affetto. Come un vecchio amico tornato a casa, a dare una mano nel momento del bisogno.

I paragoni con i Santi il mister li ha respinti: “Non sono Padre Pio”.

Ma siamo sicuri che un’eventuale promozione tramite l’intricata via dei playoff varrebbe bene un altro tuffo in un qualsiasi fontanone. O perché no, direttamente nelle splendide acque del vicino golfo di Manfredonia.

A quel punto a tutti tornerebbe in mente quel Poseidone che a Roma riemerse sul Gianicolo.

Per leggere subito la storia di un altro allenatore molto legato a Foggia, clicca qui

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