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Benito Carbone, il 10 vagabondo

L'assurdo viaggio in giro per il mondo di Benito Carbone l'ultimo vero numero 10 nella storia del Napoli.
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Benito Carbone - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

Nel calcio ci sono maglie che pesano più di altre, poco da fare.

A volte dipende dai colori. Per questo motivo si dice che per un calciatore sia impossibile rifiutare la chiamata di un club come il Real Madrid. Troppo forte il richiamo della camiseta blanca, vestita nella storia da alcuni dei migliori giocatori al mondo, da Di Stefano a Cristiano Ronaldo, passando per Zinedine Zidane.

Altre, invece, è il numero a fare la differenza. Accade così che a colui al quale spetti l’onore e l’onere di indossare la 7 del Manchester United venga detto che, da quel momento in avanti, nel suo vocabolario non dovranno più comparire verbi come “accontentarsi” o “perdere”. Le parole d’ordine saranno sempre “ambire” e “vincere”.

Per indossare certe maglie non basta essere un fenomeno. Devi avere anche una filigrana particolare, nel carattere. Ti aiuterà: sia a reggere quel fardello, sia poi a portarti in posti dove non avresti mai immaginato di andare.

La 10 più pesante di tutte

È l’estate del 1994 quando Benito Carbone, un funambolico trequartista calabrese messosi in luce al Torino, approda al Napoli, dopo essere finito di un giro vorticoso di calciomercato che lo vide prima acquistato dalla Roma e poi subito girato ai partenopei nell’affare che porterà Daniel Fonseca in giallorosso.

Arrivato all’ombra del Vesuvio, Benito Carbone sceglie di indossare una di quelle maglie, pesanti come un macigno. La 10. Già, la maglia che indossò “quello là” (con il dito, ovviamente, puntato all’insù), che di Benito era ovviamente idolo di infanzia. La riceve in eredità da Gianfranco Zola, e sarà anche l’ultimo vero numero 10 ad indossarla (e non ce ne vogliano i vari Pizzi, Protti, Beto, Bogliacino, Sosa che la vestiranno sì dopo di lui, ma in un Napoli decisamente meno competitivo).

Basterebbe questo a descrivere la personalità di questo ragazzo, cresciuto nella culla del Filadelfia, e che ora vuole sfondare nel calcio che conta. 

A Napoli si comportano più che bene sia lui che tutta la squadra. Lui mostra tutte le sue doti tecniche, fatte di un dribbling secco e sgusciante, un piede poetico in grado di disegnare magie in movimento come da fermo, e una visione di gioco superiore (Boskov dirà che con le sue finte confondeva non solo gli avversari, ma anche i compagni). La squadra centra la qualificazione alla Coppa Uefa con un brillante settimo posto.

Si presenta al pubblico del San Paolo con un gol da urlo, contro la Reggiana, che i tifosi campani non dimenticheranno più. 

Controllo misterioso ad addomesticare un spiovente proveniente dalla fascia opposta, dribbling secco in mezzo a 3 difensori e stillettata sul primo palo a beffare un giovane Antonioli. Ed è subito standing ovation.

Sembra l’inizio di una felice storia d’amore tra Benito Carbone e Napoli.

Ma a fine anno è costretto a fare le valigie. Il club è indebitato fino al collo, e serve fare cassa. Viene ceduto il gioiellino di casa, Fabio Cannavaro, che passa al Parma, e Carbone, all’Inter.

La grande occasione: Inter

Tocca ripartire da capo, ma Benny lo fa con grande voglia e determinazione. Anche l’Inter rappresenta un’ occasione fantastica per imporsi nel calcio europeo.

C’è un però. Sulla panchina nerazzurra si è appena seduto un certo Roy Hodgson. Un manager inglese a cui i giocatori di talento puro e tecnica non fanno proprio impazzire. Bisogna fare la fase difensiva, giocare con la squadra. Anche a costo di reprimere i propri istinti. Sarà marchiato a fuoco, per sempre, come “colui che cedette Roberto Carlos”, aprendo la voragine sulla fascia sinistra che a suo tempo fu di Giacinto Facchetti e che l’Inter non colmerà mai più.

Anche con Carbone le cose non vanno troppo bene. Gli fa fare la fascia, a sinistra. Distante dalla porta. Benny gioca, ma non si diverte. E decide di andar via. Se ne pentirà amaramente. Perché pochi mesi dopo, con l’arrivo di Simoni e di un certo Ronaldo la musica, all’Inter, cambierà. E di parecchio.

Vuole cambiare aria, provare qualcosa di nuovo. E quando avverti questo bisogno, l’Inghilterra dà sempre l’idea di essere il posto giusto.

Un trequartista tra i fabbri

Va a Sheffield, sponda Wednesday, dove in 3 stagioni farà impazzire i tifosi degli Owls, insieme all’amico Paolo di Canio. E chi l’ha mai visto, d’altronde, a Sheffield un giocatore così? Loro sono abituati ai centrocampisti muscolari e cattivi, il ruolo del trequartista non lo contemplano nemmeno.

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Benito Carbone dà il benvenuto allo Sheffield Wednesday a Paolo Di Canio (Photo by Paul Barker - PA Images/PA Images via Getty Images)

Benito Carbone dà il benvenuto allo Sheffield Wednesday a Paolo Di Canio (Photo by Paul Barker – PA Images/PA Images via Getty Images)

Cambieranno idea, soprattutto dopo la partita contro lo United di Sir Alex Ferguson, in cui Carbone ridicolizza un certo Gary Neville prima di infilare Peter Schmeichel con un destro a giro che lo si potrebbe comporre in musica.

Capita qualche incomprensione con lo spogliatoio, e Benny decide che è ora di andar via di nuovo.

Da quel momento, ha 28 anni, non si fermerà più. Inizierà un lunghissimo girovagare che lo porterà a cambiare 10 maglie in 11 anni. Quasi fosse impossibile per lui mettere radici. 

Come se il suo talento fosse alla continua ricerca del posto perfetto in cui esprimersi. Come un pittore che gira centinaia di paesaggi diversi, con in mano cavalletto e tavolozza alla ricerca di quello giusto da immortalare. O come un predicatore, che vaga oltre i confini affinchè il suo verbo giunga più in là possibile. 

Alla ricerca del proprio mondo

Inizialmente rimane nella ormai “sua” Inghilterra. Aston Villa, Bradford, Derby County, Middlesbrough.

Poi il ritorno in serie A, al neopromosso Como prima e nel ricostruito Parma dopo.

Ci butta dentro: un ritorno in Calabria, per provare a mantenere il Catanzaro in Serie B; e una capatina a Vicenza, dove lascia intravedere sprazzi del suo enorme talento e dove la società vorrebbe tenerlo, per farne uno dei punti fermi per ritentare la cavalcata verso la A.

Ma lui alza di nuovo i tacchi e se ne va ancora, nel semisconosciuto campionato australiano, al Sydney. Prima di concludere al Pavia la propria vita da giocatore, per iniziare, sempre lì, quella da allenatore.

Mister Benny

E anche da Mister ha ricominciato il suo viaggio, che ora lo vede in Azerbaigian, come collaboratore del ct De Biasi, nell’attesa di ripartire.

Chissà se, l’artista che volle la 10 di Maradona, troverà mai lo scorcio di panorama giusto, dove sedersi e iniziare la sua opera. Quando accadrà, come è sempre avvenuto nelle varie tappe della sua tournè, non resterà che mettersi comodi… e godersi lo spettacolo.

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