David Ginola, Perché io valgo!
Al Parco dei Principi di Parigi sta scorrendo l’ultimo minuto di gioco. In campo ci sono Francia e Bulgaria, l’anno è il 1993, e le due nazionali si stanno affrontando in un sanguinosissimo spareggio per accedere ai Mondiali di USA 94.
Il risultato è di 1-1, punteggio che basterebbe e avanzerebbe ai transalpini per ottenere l’agognato pass. C’è un calcio di punizione per la Francia in zona d’attacco, che i galletti gestiscono nella maniera peggiore possibile.
Invece di tenerla sulla bandierina, per far trascorrere i secondi, la sfera viene crossata a casaccio verso un area di rigore a netta predominanza bulgara. Ne consegue un micidiale contropiede, che vede Kostadinov bersi il centrale del PSG Alain Roche come fosse un frappè, presentarsi davanti al pittoresco Bernard Lama e buttare letteralmente giù la porta con un destro secco che, dopo aver battuto sulla traversa, va a morire in fondo al sacco.
2 a 1. La Bulgaria si qualifica per i Mondiali (dove farà un figurone). La Francia è fuori. Eliminata.
Da quella sera tutti i francesi, primo fra tutti il c.t. Gerard Houllier, punteranno il dito contro un solo responsabile. Che da lì in poi verrà ostracizzato, demonizzato, mai più preso in considerazione.
L’autore di quel cross tanto inutile quanto controproducente: David Ginola.
Il bel David
Prenderesela con David Ginola, all’epoca, era piuttosto facile. Anzi, diciamo pure che qualcuno non vedeva proprio l’ora di infangare la sua immagine in qualche modo.
Perché David nasce, in Provenza, con una peculiarità particolare: quella di essere bello.
Essere bello e sapere pure divinamente giocare a calcio vuol dire inevitabilmente essere vittima di qualunque tipo di gelosia, invidia o antipatia che possa esistere. Come se, oltretutto, fosse una sua colpa. Quella di avere dei capelli che certi attori di Hollywood se li sognano, uno sguardo tenebroso ed intrigante, e un fisico sportivo, che a Parigi non sfigurerebbe in una qualsiasi delle passerelle.
Oltretutto lui è sempre stato molto abile a giocare con la sua immagine. E passa dall’essere il testimonial di punta della versione europea del videogioco FIFA 97, al pubblicizzare una nota marca di shampoo francese, che lo manda sui tubi catodici di mezzo mondo a dire: “ Perché io valgo!”
Ginola tanto bello quanto forte
Il fatto è che, lato estetico a parte, Ginola vale davvero. Anche da un punto di vista meramente tecnico.
Centrocampista offensivo (chiamatelo ala, chiamatelo trequartista o mezzapunta, sa fare quello che volete), piede sinistro con benedizione del padreterno, domina la scena, durante i primi anni ’90, con la maglia di un meraviglioso Paris Saint Germain. Una squadra dove ci si può fermare per fare rifornimento di “eccellenti individualità”: da Lama a George Weah, passando per l’istrionico brasiliano Raì.
Una squadra che, se in Francia vince praticamente tutto, in Europa vive una sorta di maledizione, dal momento che è costretta a fermarsi ogni volta, sia che si tratti di Coppa UEFA o di Coppa delle Coppe, o peggio ancora di Coppa dei Campioni alle semifinali.
Quelle stagioni, però, permettono al bel David di conquistarsi un posto fisso nello scacchiere della nazionale. Fino, almeno, a quella serata di novembre del 1993 a Parigi. Quando tutto cambiò per non tornare mai più come prima.
“E adesso vado via…”
Houllier non passa lo zucchero a velo davanti ai microfoni. Parla apertamente di “crimine contro la coesione del gruppo”, di scelta scellerata, di mancanza di rispetto. “La nostra eliminazione è tutta lì, in quella palla: che dalla bandierina del calcio d’angolo finisce direttamente alle spalle di Lama”.
I tifosi gli danno ragione, e chiedono che Ginola non vesta mai più l’azzurro della Nazionale.
Anche se nessuno arriverà mai da David a dirgli “qui per te non c’è più posto”, di fatto sarà così. Non andrà a Euro 96, e non sarà nella rosa della Francia campione del mondo nel 1998. Qualche altra sparuta presenza fino al 1995, che però non basta a lenire il dolore per quell’episodio. Insopportabile anche per lo stesso giocatore, che dirà di non chiudere occhio la notte senza ripensare a quel momento.
Che fare allora? Non resta che cambiare aria, cercare orizzonti nuovi.
Ci sarebbe il Barcellona pronto a tendergli una mano. L’allenatore dei blaugrana, un certo Johan Crujiff, è l’unico ad esporsi pubblicamente in sua difesa: “Signori, andateci piano. State pur sempre parlando del giocatore più forte al mondo”.
Solo che Ginola non ci va in Catalogna. Sceglie la direzione opposta, quella che sta al di là della Manica. Andrà in Inghilterra, a giocare per il Newcastle United.
Il Newcastle. The Entertainers
Già la mentalità con cui viene vissuto il football in Inghilterra, dove a nessuno frega quasi niente di quello che fai fuori dalle linee del campo, vuol dire per David lasciarsi alle spalle un bel fardello.
In più, va a giocare in Premier in una squadra dove lo spettacolo è di casa. Nel favoloso Newcastle di Kevin Keegan, che qualcuno chiama appunto “The Entertainers”, in grado di vincere un bel niente, ma che regala annate indimenticabili al pubblico dei Magpies.
Nemmeno l’arrivo di gente come Tino Asprillia o Alan Shearer servono a diventare campioni, dal momento che, con il ritorno dalla squalifica di Eric Cantona, il Manchester United di Sir Alex Ferguson prende le redini del campionato, per non lasciarle praticamente mai più.
Quando le cose sembrano girare davvero per il verso giusto, al St. James’s Park arriva in panchina Kenny Dalglish. Leggenda del Liverpool, in grado di vincere, con il modesto Blackburn Rovers (e con Shearer in campo) pochi anni prima uno storico titolo di Campione d’Inghilterra.
Allenatore molto più “british” del predecessore, King Kenny decide che di Ginola si può anche fare a meno. E, nonostante l’opposizione di buona parte del tifo dei Toons, David viene ceduto al Tottenham.
Ginola e la riscossa nel nord di Londra
È proprio questo che David trova nei due anni passati nella capitale: tutto ciò che il suo più grande amore, il calcio, poteva offrirgli.
Vince un titolo, la Coppa di Lega, da protagonista. E il suo gol, in semifinale contro il Barnsley, quando dalla fascia sinistra salta tutti prima di depositare la sfera in rete, ancora solleva i peli dalle braccia ai tifosi degli Spurs (e non solo).
Viene quindi nominato, a 32 anni, il miglior giocatore del campionato. Giudizio unanime, condiviso sia dall’associazione calciatori sia da quella dei giornalisti.
“E’ la tua coppa del mondo” gli dicono. E per David, se non è così, poco ci manca. Ripensa a quelle notti insonni, perse a pensare a cosa sarebbe potuto essere, a dove sarebbe arrivato senza quel cross disgraziato, regalato alla Bulgaria. A quella coppa del Mondo che ha visto alzare ai suoi ex compagni dalla tv, magari sarebbe potuto essere uno dei 23 del c.t. Jacquet (e se pensiamo che in quella rosa c’era gente piuttosto mediocre come i vari Guivarch, Dugarry o Diomede probabilmente tutti i torti non ce li ha).
La sua rivincita si è compiuta. A 32 anni è tornato a prendersi quello che gli spettava. Con tenacia e determinazione. In un campionato che agli inizi gli dicevano non fosse fatto per gente come lui.
Meno male che c’è Gazza
Se ne va dal Tottenham perché, a suo dire, “troppo amato dai tifosi”. Cosa che al nuovo allenatore George Graham non andava a genio. “Niente prime donne, via Ginola”.
All’Aston Villa (non ) gioca per due stagioni. Il tecnico John Gregory gli dà letteralmente del ciccione, dice che assomiglia a un pupazzo della televisione. Il bel David risponderà sul campo, segnando il gol del pari contro il Manchester City e togliendosi la maglia, per mostrare il pettorale scolpito.
È evidente che lo strappo a quel punto non si può più ricucire. A fine stagione Ginola se ne va.
Finisce all’Everton, per disputare la sua ultima stagione da professionista. A Goodison Park troverà un’altra “leggenda maledetta” del calcio britannico: Paul Gascoigne.
Inutile che vi spieghiamo come va a finire la storia.
Siete a corto di immaginazione? Ok, ci pensiamo noi.
Al suo arrivo, Gazza svolge un intera seduta di allenamento indossando una lunga parrucca bionda. A qualsiasi domanda che gli venga rivolta, indipendentemente che si tratti di un compagno, dell’allenatore o del presidente, risponde con un’unica frase: