Ailton, il golosone di brema
“Per giocare a pallone ad alto livello non puoi avere la pancia!”
“E chi l’ha detto? William Foulke, il primo capitano del Chelsea, pesava 150 chili ed era soprannominato ‘Fatty’, Il Ciccione”
“Si ma giocava a inizio ‘900, era un altro calcio”
“Vero. Pensa a Ferenc Puskas allora. È sempre stato un falso magro, e negli ultimi anni al Real Madrid aveva un discreto marsupio davanti”
“Si ma lui era Ferenc Puskas, poteva giocare con una gamba sola con la classe che aveva”
“Già, la sinistra possibilmente. Beh, allora pensa ad Ailton, del Werder Brema!”
Ailton Gonçalves da Silva è nato in Brasile, a Mogeiro, a metà luglio del 1973. Ha iniziato a giocare a pallone utilizzando il più famoso brand brasiliano in tema di calzature sportive, i piedi nudi, ed è arrivato a Brema, nel nord della Germania, nell’ottobre del 1998.
Lo ha voluto fortemente il manager dei bianco verdi, Wolfgang Sidka, che ne ha apprezzato le due stagioni fatte in Brasile, con le maglie di Santa Cruz e Guarani, da 20 gol l’anno. E che lo avrebbe voluto tesserare già l’anno precedente, salvo desistere per questioni di costi, con Ailton che finisce così al Tigres.
In Messico però non convince fino in fondo, con appena 5 gol marcati, e il prezzo del cartellino si abbassa. Sidka ne approfitta e convince la società a tesserare il centravanti, che approda dunque in Bundesliga.
Finalmente Brema. Un inizio difficile.
Ora, per un brasiliano qualsiasi trasferimento in qualsiasi altro posto che non sia il Brasile è sempre problematico (la saudade è uno stato d’animo che se non sei un verdeoro di nascita non puoi capire). Se poi lo spostamento comporta il trasferirsi nella gelida Brema, dove è inverno 10 mesi su 12, la cosa rischia di diventare addirittura traumatica. Così Ailton, che già non gode di una assimilazione di carboidrati degna di un atleta di tale livello, per le prime tre settimane si chiude in un hotel a trangugiare quantità industriali di spaghetti.
A un fisico che si arrotonda sempre di più, e che quando scende in campo fa scappare una sghignazzata soprattutto ai tifosi avversari, si aggiunge il fatto che il 22 ottobre il Werder esonera il suo mentore Sidka, complice una squadra invischiata nella relegation-zone, per affidarla a Felix Magath.
Uno abituato a non fare prigionieri. Secondo il carneade della Juve, nella Champions dell’82, se non sei in grado di praticare in campo lo stesso linguaggio verbale e tecnico dei tuoi compagni, non puoi giocare. La squadra a fine anno si salverà e vincerà la Coppa di Germania, ma Ailton sarà relegato a fare da tappezzeria.
La svolta con Thomas Schaaf
A due giornate dalla fine però in panchina è arrivato Thomas Schaaf. Allenatore di più ampie vedute rispetto al predecessore e convinto, nella stagione successiva, a dare una chance al brasiliano dalla pinguedine facile. Ne intuisce le qualità tecniche e realizzative, e pensa che, con un adeguata preparazione, Ailton potrà essere un ottimo elemento per la sua squadra.
La società nutre forti perplessità: “Va bene, se sei convinto tu… ma se arriva un’offerta decente, se ne va eh. Non vogliamo storie!”
L’offerta arriva, ed è del Botafogo. Ma Ailton non trova l’accordo. Il club, furibondo, decide di metterlo fuori rosa.
Alla quinta giornata, però, nella trasferta a Wolfsburg, si fa male l’attaccante titolare Bogdanovic. Schaaf guarda la panchina, sfogliando la margherita delle soluzioni in suo possesso. E decide di dare una possibilità al brasiliano. Entra lui.
Sarà la partita della svolta. Il Werder vince 7 a 2. Ailton segna un gol e fornisce due assist al partner offensivo Pizarro. Da lì in poi, il mister non ha più dubbi: “Abbiamo bisogno di uno così”.
Lui, Pizarro e Marco Bode, autentica leggenda del club, si integrano benissimo là davanti tra loro. A fine stagione il referto di Ailton segna 12 gol e 10 assist, con la squadra che si classifica al nono posto, si qualifica per la Coppa Uefa e arriva di nuovo in finale di Coppa di Germania, stavolta persa con un sonoro 3 a 0 contro il colosso Bayern Monaco.
Lui, Pizarro e Marco Bode, autentica leggenda del club, si integrano benissimo là davanti tra loro. A fine stagione il referto di Ailton segna 12 gol e 10 assist, con la squadra che si classifica al nono posto, si qualifica per la Coppa Uefa e arriva di nuovo in finale di Coppa di Germania, stavolta persa con un sonoro 3 a 0 contro il colosso Bayern Monaco.
Arriva la gloria, per Ailton e per il Werder
Nelle tre stagioni successive si capisce che a Brema sta nascendo un gruppo importante. Arrivano un settimo e due sesti posti. Ma soprattutto arrivano giocatori chiave che cambiano il modo di giocare della squadra: Andreas Herzog, Johann Micoud, Ivan Klasnic. E dal settore giovanile emerge un fenomenale metronomo del centrocampo come Tim Borowski.
Una squadra che ha in Ailton Gonçalves un fenomenale realizzatore. Segna 46 gol in 3 stagioni, conquistando il cuore di tifosi, compagni e società.
Brema lo adotta. I tifosi lo soprannominano “Lightning Ball” (quelli del Werder, per gli avversari resterà sempre “Il Gordo”), e gli perdonano tutto. Dagli eccessi (quasi 100 mila euro al mese spesi in capi d’abbigliamento) al fisico, migliorato ma sempre e comunque arrotondato, fino ai continui ritardi nel rientrare ogni volta che torna per un periodo nel suo Brasile.
La stagione 2003/2004 sarà quella della gloria per Ailton e il suo Werder. Vince la classifica cannonieri con 28 reti davanti a Roy Makaay; la squadra invece alza al cielo il suo quarto (e finora ultimo) Meisterschale, diventando Campione di Germania.
L’offerta intrigante dei minatori
Durante quell’annata, a gennaio, avviene però l’episodio che condizionerà per sempre il resto della sua carriera.
Ha il contratto in scadenza in data giugno 2004. La società se la prende abbastanza comoda nel proporgli un rinnovo, convinta da un lato che nessun top club europeo possa interessarsi a un attaccante prolifico sì, ma quantomeno pittoresco nella forma fisica(e che oltretutto ha già compiuto 30 anni), dall’altro che non vi sia squadra fuori dal Vecchio Continente in grado di proporgli un ingaggio adeguato.
Lo Schalke invece ci pensa eccome, e nell’intento di recuperare la trentina di punti che puntualmente, ogni anno, becca dalle prime, vuole costruire uno squadrone. E oltre al centrale serbo Mladen Krstajic, dal Werder vogliono acquistare proprio Ailton, a parametro zero.
Sul tavolo mettono un’offerta monstre. Gli propongono il doppio dell’ingaggio che percepisce a Brema.
E qui viene fuori la debolezza dell’ Ailton uomo. Gli succede la stessa cosa che gli è sempre successa di fronte a un buon piatto di pasta piuttosto che a un churrasco: si lascia ingolosire, e cede.
Firma per il club di Gelsenkirchen, mandando in frantumi tutto ciò che a Brema si era costruito. La fiducia di mister e società, l’amore dei tifosi e dei compagni, la centralità in un progetto tecnico, il sentir compresi i propri limiti e le proprie fragilità
Passerà, a suo dire, ore e ore seduto in bagno a maledire quella scelta. Schaaf continua comunque a schierarlo, il piatto di campione lo alzerà anche lui, prima di salutare tutti e volare in Renania.
Gelsenkirchen: scelta sbagliata. L’inizio del declino
A Gelsenkirchen non trova nulla di tutto ciò che aveva prima. Segna 14 gol, ma l’anno dopo è costretto a fare le valigie. In un valzer che lo porterà in costante peregrinazione, tra Turchia, Serbia, Ucraina e Cina.
Non verrà mai convocato in nazionale brasiliana. Si proporrà per giocare per la Germania, ma Rudi Voller farà sempre orecchie da mercante. Il Qatar gli proporrà persino dei soldi per giocare per la loro selezione, ma la Fifa si opporrà, perché, effettivamente, Ailton e il Qatar poco hanno in comune.
In ciascuno posto dove ha spostato i suoi quasi 90 chili per 177 centimetri avrà sempre trovato un bagno piuttosto che una sedia, dove sedersi e piangere. Lacrime amare. Maledicendo la sua eccessiva golosia, e quella scelta. Che lo portò lontano da Brema, e lontano dal cuore.