La Regina di Wembley
Ci sono notti che sfuggono al tempo, istanti in cui l’improbabile si fa possibile e una città intera trattiene il fiato. Il 27 marzo 1993, a Wembley, la Cremonese scrive quella che è probabilmente una delle pagine più sorprendenti e romantiche del calcio italiano, anche se spesso tendiamo a dimenticarcela.
È la finale della Coppa Anglo-Italiana, una competizione ormai dimenticata, archiviata e consegnata alla storia del calcio, ma che allora rappresentava un ponte tra due mondi: il calcio metodico e tattico dell’Italia e quello ruvido e passionale dell’Inghilterra.
I grigiorossi di Gigi Simoni arrivano a Londra con la leggerezza di chi non ha nulla da perdere. Di fronte c’è il Derby County, club storico, orgogliosamente inglese, che gioca “in casa” in uno degli stadi più iconici del mondo, forse . Sulla carta non c’è partita: Wembley è un tempio, la Cremonese un pellegrino. Ma proprio per questo, quella sera, il destino decide di cambiare le regole.
Una squadra normale in un luogo straordinario
La Cremonese del ’93 non è una corazzata, ma una squadra vera. In porta c’è Turci, in difesa Verdelli, poi Tentoni, Maspero, Florijancic: uomini abituati più alle battaglie di provincia che alle luci dei grandi stadi. Simoni, allenatore gentile e meticoloso, ha costruito un gruppo solido, che gioca semplice ma con un’idea precisa: coraggio, sacrificio, intelligenza.
Il viaggio fino a Wembley è già una favola. Nel torneo, i grigiorossi eliminano avversari più blasonati e arrivano in finale dopo un cammino di carattere. L’attesa è febbrile: per la città, per una squadra che rappresenta con orgoglio il suo piccolo pezzo di Lombardia.
27 marzo 1993 – la magia di Wembley
Lo stadio è gremito, l’aria tagliente di Londra vibra di emozione. Ai primi minuti la Cremonese non si fa intimorire e gioca il suo calcio, fatto di compattezza e ripartenze veloci. All’11’, su una palla inattiva, è Corrado Verdelli a staccare più in alto di tutti: 1-0. I tifosi italiani esplodono in un boato che rompe l’aria fredda.
Il Derby County reagisce subito con orgoglio e trova il pareggio poco dopo con Marco Gabbiadini: ironia della sorte, il gol degli inglesi viene messo a segno da un calciatore con nome e cognome italiani, nato a Nottingham da padre italiano e madre inglese.
È un primo tempo pieno di colpi di scena: passano pochi minuti e c’è già un’occasione per un terzo gol, perché il grigiorosso Giandebiaggi subisce un brutto fallo da dietro in area di rigore e l’arbitro Velasquez assegna un tiro dagli 11 metri alla Cremo. Se ne incarica Eligio Nicolini, che si concentra, prende la ricorsa e… calcia alla destra di Taylor, che però si distende e riesce a respingere.
Ma la Cremonese non molla. Simoni dalla panchina predica calma, e la squadra lo ascolta. Nella ripresa, una cavalcata di Tentoni si conclude con un dribbling ai danni del portiere Taylor, che lo stende in area piccola. Altro rigore per la Cremonese! Riccardo Maspero lo trasforma con freddezza glaciale: calcia sullo stesso lato di Nicolini, Taylor ancora una volta indovina l’angolo e si allunga benissimo, ma il tiro è troppo preciso e porta il punteggio sul 2-1. Wembley, incredulo, si zittisce per un attimo.
Poi, nel finale, arriva la rete che chiude la storia: un contropiede ottimamente orchestrato dei grigiorossi consegna la palla a Tentoni al limite dell’area. L’attaccante controlla e calcia di destro: il pallone entra all’angolino, 3-1. La Cremonese ha vinto.
Quando l’arbitro fischia la fine, i giocatori si abbracciano in lacrime, Gualco va a tendere la mano a un ottimo Gabbiadini, Simoni sorride in silenzio. A bordo campo, i tifosi sventolano le sciarpe grigiorosse come bandiere di un piccolo popolo che ha appena conquistato l’impero.
Oltre il trofeo
La Coppa Anglo-Italiana non sarà mai una Champions League, ma quella sera la Cremonese conquista qualcosa di più grande: la dignità eterna delle imprese impossibili. È una grande vittoria per il calcio di provincia, per chi non ha riflettori ma possiede un’anima.
Per Cremona, che si culla tra le melodie dei violini e la calma corrente del Po, è una scossa di entusiasmo e orgoglio. Per Simoni e i suoi uomini, un riscatto, un premio al lavoro e alla coesione. Per il calcio italiano, la prova che anche le squadre più piccole possono scrivere storie da tramandare.
Ancora oggi, a distanza di trent’anni, quella notte di Wembley resiste nella memoria dei più nostalgici: l’immagine dei grigiorossi che sollevano la coppa sotto l’arco dello stadio è diventata un’icona, la dimostrazione che, a volte, il cuore può battere la logica, e che nel calcio – come nella vita – la bellezza più autentica nasce anche dall’improbabile.
Racconto a cura di Andrea Possamai