Hajduk Spalato, la maledizione dei banditi
Il 13 febbraio 1911, a Praga, in pieno impero austro-ungarico, 6 studenti spalatini, dopo aver assistito a uno dei primi derby del calcio cecoslovacco tra Slavia e Sparta, si ritrovano alla birreria U Fleku e decidono di fondare una squadra di calcio nella loro città di origine.
Indecisi sul nome da affiancare a Spalato, decidono di chiedere consiglio a un professore dell’ateneo. L’eccitazione e la frenesia li porta, più che a entrare, a fare irruzione nell’ufficio di questo, senza bussare. E subito il prof consegna loro l’idea vincente: “Per come siete entrati qua dentro dovreste chiamarla Hajduk Spalato la vostra squadra”.
Dove Hajduk, in italiano “aiducco”, è un termine di origine turco-ungherese traducibile come “bandito”.
Squadra dunque fondata a Praga, con nome turco-ungherese, con colori croati e uno storico gruppo di tifosi dall’appellativo sudamericaneggiante (la celeberrima Torcida). Ma ciò nonostante con una fortissima identità e con un enorme senso di appartenenza.
Pochi club calcistici possono vantare una storia come l’Hajduk, che si snoda come una montagna russa tra le pagine della travagliata penisola balcanica. E che da anni, ormai, sembra essere colpita da una specie di maledizione.
L’Hajduk dice no
Dopo aver scelto il bianco e blu come colori principale delle proprie magliette, e aver inserito gli scacchi bianchi e rossi croati nel proprio stemma ufficiale, l’Hajduk già negli anni Venti conosce un primo momento di gloria, riuscendo a vincere due titoli del campionato jugoslavo e soprattutto a interrompere il dominio di Zagabria e Belgrado. Nel 1930 il primo grande gesto di dissenso, nel momento in cui i giocatori dello Spalato rifiutano le convocazioni con la Nazionale jugoslava per protestare contro la dittatura di matrice serba.
Negli anni del secondo conflitto mondiale la città viene occupata dal Regno d’Italia, con segni tangibili ancora oggi girando per la città. Sarebbe inevitabile la loro annessione alla Serie A del nostro paese. Ma il club rifiuta, dicendo “no, grazie” alla proposta della nostra Federazione Italiana Giuoco Calcio. Nel 1944 addirittura i giocatori scelgono di entrare clandestinamente nei partigiani jugoslavi, di stanza sull’isola di Lissa. Il che fa di loro la squadra dell’esercito jugoslavo di liberazione, con il nome di Hajduk-NOVJ.
Inizia così una specie di tournee, principalmente nel Sud Italia, che li vede impegnati contro squadre di milizie alleate. Il 13 giugno 1944, a Bari, battono 10 a 0 una rappresentativa della British Unit. Successivamente giocano a Foggia contro la Raf e di nuovo a Bari contro l’undicesima armata britannica.
Al termine del conflitto il club dice un altro “no” secco, stavolta nientemeno che a Tito, l’ex partigiano comandante unico della Jugoslavia unita, che aveva proposto lo spostamento a Belgrado per fare dell’Hajduk la formazione ufficiale dell’esercito. Destino che, invece, toccherà alla Stella Rossa, con il logico inizio di una faida tuttora infinita tra le due piazze.
Per capire quanto poco buon sangue corra tra le città vi basti pensare alla partita del 1970 tra l’Hajduk e l’OFK Belgrado, sospesa (con vittoria serba a tavolino) per un lancio di monetine in testa all’arbitro. Nei giorni successivi non si conteranno le auto con targa belgradina lanciate letteralmente in mare dai tifosi croati.
O vi sarebbe bastato chiedere al povero Vladimir Beara, oggi passato a migliori vita. Portiere, trasferitosi nel 1955 dall’Hajduk alla Stella Rossa, e che a fine carriera, tornato a Spalato, troverà una città non più disposta nemmeno a guardarlo in faccia.
Zlatna generacija
Negli anni ’50 la squadra vede la prima “generazione d’oro” della propria storia, che permette al club di vincere ben 3 campionati jugoslavi. E proprio nel 1950 vede la luce il primo gruppo ultras europeo della storia, la Torcida.
La prima apparizione, manco a dirlo, in una partita contro la Stella Rossa giocata allo stadio Stari Plac, il 29 ottobre 1950. Sul gruppo si poggiano subito gli occhi della polizia, preoccupata dal fatto che al suo interno possano radunarsi diversi elementi di spicco della malavita locale. E il primo arresto arriva proprio nel 50, quando finisce in manette uno dei fondatori, Vjenceslav Zuela.
Negli anni il gruppo, animato dal fuoco dei balcani, destinato ad accendersi di lì a breve, assumerà una connotazione politica sempre più tendente all’estrema destra, e diverrà uno dei più temuti del Continente dalle altre tifoserie. E pure uno dei più numerosi d’Europa. Ancora oggi, nel match day, si rimane impressionati dal numero di barche, navi e traghetti, provenienti dalle più disparate isole dalmate, che entrano in porto colme di tifosi pronti a recarsi al più moderno Poljud per andare a tifare.
Nel frattempo la squadra continua a vincere, grazie ad una seconda zlatna generacija (generazione d’oro) che negli anni ’70 porta in bacheca altri 3 campionati e 5 coppe di Jugoslavia.
Poi tornano a prendere il sopravvento le squadre di Zagabria e Belgrado, almeno fino al 1992, quando la scissione della Croazia dalla federazione jugoslava cambia il destino, di quella fetta di mondo e del calcio che vi si gioca.
Il dominio Dinamo
Fin dal momento della sua fondazione, la Hrvatska Nogometna Liga diventa subito un affare a due, tra Hajduk e Dinamo Zagabria. Il fuoco della rivalità, tra le due tifoserie, cresce sempre più, mentre i club si spartiscono il dominio sul neonato campionato.
La Dinamo, più ricca, fatica a contrastare il sempre più florido vivaio dello Spalato, capace di sfornare autentiche nidiate di giocatori fortissimi, pronti a fare le fortune dei principali club europei. Da Boksic a Stimac, da Rapaic a Tudor. Ma anche Bilic, Jarni, Asanovic, Kalinic e Pasalic.
Un settore giovanile in cui, oltre che a calciare il pallone, si insegna ai ragazzi il valore della maglia che si indossa, e che prende il nome da una leggenda del club come Luka Kalinterna, che i tifosi chiamavano simpaticamente “Barba Luka”.
Nel 2005 l’Hajduk, pur alternando 3 allenatori alla guida della prima squadra, trascinata dalle reti dell’ex Perugia Tomislav Erceg, conquista il suo sesto titolo croato, mettendo nel mirino i 7 titoli degli arci-rivali. Ma da quel giorno subentra una maledizione a Spalato che farebbe impallidire anche Bela Guttman.
Perché i bianchi non solo non riescono più nemmeno ad avvicinarsi al titolo, ma devono pure assistere alle continue feste della Dinamo, praticamente al termine di ogni campionato, come una specie di consuetudine. Prima uno, poi un altro, quindi il terzo… ad oggi a Zagabria sono finiti 17 titoli negli ultimi 18 anni! Unica squadra capace a spezzare il dominio: il Rijeka, che nella stagione 2016-2017 firma l’impresa e conquista il primo campionato della propria storia.
A Spalato, ancora oggi, non sanno più da che parte girarsi. I santi del calendario sono stati oramai interpellati tutti, ma il titolo non vuole saperne di transitare dalle parti del Poljud. Al netto degli investimenti fatti dalla proprietà, che quest’anno è riuscita addirittura a riportare a casa un vincente come Ivan Perisic, altro prodotto del vivaio. Ma niente da fare: la Dinamo resta troppo forte e inarrivabile.
Nonostante ciò, la Torcida continua a crederci. La ruota girerà, la maledizione finirà e quel dannato titolo arriverà. I banditi torneranno a ruggire.
E in attesa di quel momento centinaia di navi continueranno ad entrare, ad ogni gara, al Porto di Spalato. Pieni di cuori bianchi e di speranze, da ogni isola della Dalmazia.
Racconto a cura di Fabio Megiorin