Alex Pinardi, Un 10 per intenditori
Bresciano. In grado di farsi amare e rispettare a Bergamo.
Già questo basterebbe per far capire di quale tempra sia dotato l’uomo di cui vi stiamo parlando.
Convincere un bergamasco, tifoso dell’Atalanta, ad amare, o anche solo applaudire sinceramente, un bresciano non è cosa comune. È come andare in Vaticano e convincere il Papa che Dio non esiste. Paradossale, impensabile.
Se ci riesci, vuol dire che hai portato degli argomenti convincenti. E poi ci hai messo del tuo, a livello di carattere, carisma e forza di volontà.
Nel caso di Alex Pinardi gli “argomenti convincenti” di cui sopra sono 13 anni con la maglia della Dea. Dalle giovanili fino alla Serie A, con tanto poi di fascia di capitano.
Il resto, come detto, ce l’ha messo lui. Che dovunque è andato ha saputo farsi ricordare e lasciare il segno. Come giocatore, sì. Ma anche, e soprattutto, come uomo.
Padri professionali. Zdenek e il Vava
Il padre, Alex, lo ha perso quando era ancora molto giovane, troppo giovane.
Quando ti viene a mancare una figura di riferimento così importante devi trovare in altri ciò che la vita ti ha tolto. E devi avere pure la fortuna che questi “altri” siano anche le persone giuste sulle quali posizionare la bussola della tua vita.
Alex Pinardi di “padri” professionali ne ha avuti fondamentalmente due: Giovanni Vavassori e Zdenek Zeman. Due maestri, due profondi intenditori del calcio vero, quello della provincia, lontano dalle pressioni e dai riflettori.
Il primo, il Vava, è quello che lo ha allevato, che lo ha accolto bambino nel settore giovanile dell’Atalanta e che lo ha lasciato andar via uomo, quando ormai ha grattato la pentola delle motivazioni che lo hanno da sempre convinto a rimanere a Bergamo.
Il secondo, a Lecce, lo ha trovato già “fatto e finito”, ma gli ha regalato nuove prospettive, differenti visioni. Inserendolo come perno inamovibile del proprio biblico 4-3-3 e regalandogli, in questo modo, un elisir di lunga carriera.
Trequartista, ma non solo
A Bergamo era un trequartista. Classico numero 10 praticamente ambidestro. Molto promettente, dal momento che scala tutte le nazionali giovanili fino ad arrivare all’under 21.
Frenato forse solo dalla contemporanea presenza in maglia nerazzurra di Cristiano Doni, che gli ha spesso soffiato la maglia da titolare.
A Lecce diventa molto altro. Guadagna in versatilità, capisce che per vedere bene il gioco a volte bisogna giocare un pochino più distanti dalla porta. E impara quanto sia importante avere un’ottima condizione fisica (perché spesso i numeri 10 pensano che a calcio si possa giocare camminando, ma Zeman ti fa subito capire che non è così).
Sia con il Vava che con il boemo Pinardi diventa pedina inamovibile. Gli viene riconosciuto non solo l’indubbio valore tecnico, ma anche quello umano. E a Bergamo, con l’Atalanta in serie B, a 22 anni diviene uno dei più giovani capitani nella storia del club orobico.
Pinardi, il Sindaco di Modena
Si dice poi che nella vita un uomo abbia due case: quella dove nasce e cresce, e che sarà tale per l’eternità; e quella dove ti ci senti, che si incontra una volta nella vita, che te ne accorgi solo quando poi la perdi.
Nel caso di Alex Pinardi il concetto di “seconda casa” si colora di tinte gialloblu. I colori del Modena. Dove Pina approda nel 2006, rinunciando alla serie A, per rimettersi in gioco, e per accettare nuove sfide.
Se ne andrà una manciata di anni più tardi, con i tifosi dei canarini che lo chiameranno Sindaco, e che racconteranno ai propri figli che “dopo Milanetto, il più forte ad aver vestito quella maglia è stata proprio Pinardi”.
Si pentirà amaramente di lasciare l’Emilia, Modena, la seconda casa.
Un po’ perché non andrà per niente bene l’esperienza successiva, a Cagliari, né dentro né fuori dal campo. Con la famiglia che lo supplicherà di tornare “nel continente”. Un po’ perché la nostalgia la provi solo quando ti allontani anche solo per un attimo.
Imperativo: stare bene
Prova un ultimo tentativo di restare nel grande calcio, a Novara. Dove trova un tecnico competente e franco come Attilio Tesser, che molto candidamente gli spiega: “Pina, tu sei forte cazzo, niente da dire. Ma io non posso andare a giocarmela col trequartista. Siamo troppo sbilanciati, porta pazienza”.
Da lì in poi il suo unico pensiero sarà solo e soltanto uno: stare bene. Lui e la sua famiglia. Al di là del sogno, al di là della categoria.
Starà bene a Vicenza, anche se solo per una stagione, come a Cremona, a Salò e a Gorgonzola. Starà bene anche ad Adro,in serie D, di fianco casa, nell’ultima tappa della sua carriera.
Qualunque piazza abbia avuto il privilegio di vedere Alex Pinardi indossare la propria maglia conserva ancora un ottimo ricordo di lui. Il commento più ricorrente è sempre: “Pinardi? Gran bel giocatore, e gran bella persona”.
La natura, è vero, gli ha dato un dono grande. Ma il resto Pina… ce lo ha messo lui.