El gran derbi, Real Betis vs Siviglia FC
“Niente male! Davvero niente male questo ragazzo qui. Bel fisico, la palla la calcia molto bene. Dove ha detto che lo ha scovato, signor Eladio?”
“Giocava qui vicino, presidente. In un campetto periferico. È davvero forte, dovremmo tesserarlo”
“Sono d’accordo, decisamente. E mi dica un'altra cosa: che lavoro fa il papà di questo ragazzo?”
“L’operaio presidente. Lavora in una fabbrica a qualche chilometro da qui”
“Ha detto “l’operaio” per caso? Ma è impazzito, forse? No no no, niente da fare. ASSOLUTAMENTE NO. Un giocatore senza nobiltà non potrà mai, e dico mai, indossare la maglia del Siviglia”.
Siamo nel 1909, e da qui, e soprattutto dalle successive dimissioni di questo signor Eladio Garcia de la Borbolla dal consiglio direttivo del Sevilla Football Club, nasce uno dei derby più infuocati, di Spagna e d’Europa.
Perché il signor Eladio non solo si dimetterà, in totale dissenso con la politica della squadra, ma fonderà una nuova società, il Betis Football Club. Il quale, dopo una fusione con il Sevilla Balompiè, fresco vincitore della Coppa di Siviglia, darà vita al Real Betis Balompiè. Una squadra in cui anche gli operai possano giocare.
È il derby che incendia l’Andalusia. È il Gran Derbi. Siviglia contro Betis.
Football contro Balompiè. Un derby, 3 stadi
Le premesse per un derby davvero sentito ci sono tutte, quindi. Sin dalla fondazione.
Molto più antico il Siviglia, sorto già nel lontano 1890. E che nel nome completo conserva la chiara contaminazione inglese, con il “Football” che racconta le origini britanniche dei fratelli Carlos ed Enrique Welton.
Di tutta risposta, il più giovane Betis, che originariamente nient’altro era se non la squadra degli studenti dell’Escuela Politecnica, nel suo nome preferisce mettere Balompiè, un neologismo coniato da loro stessi, per prendere le distanze dagli altolocati cugini.
Gli anni trascorsi hanno, come ovvio, assottigliato questa differenza sociale tra le due tifoserie. Tanto che, ora, i tifosi del Siviglia tendono politicamente a sinistra, diversamente dai destrorsi sostenitori del Betis.
Ma la fame di calcio della città andalusa, quella no, non si è placata. E ogni qual volta i due club si scontrano, che sia al Sanchez Pizjuan, casa sevillista, piuttosto che al Benito Villamarin, tempio bianco verde, oppure ancora al Estadio de la Cartuja, l’impianto che il governo aveva pensato per ospitare entrambe le squadre, ma osteggiato dai tifosi, e per questo utilizzato solo occasionalmente, la città ribolle di passione.
Il caso-Antunez
Ad acuire un sentimento già di per sé forte, arriva un ulteriore episodio, nell’anno domini 1945.
La Spagna esce sconquassata da una fratricida guerra civile, e si “affida” alla dittatura di Francisco Franco per provare a ripartire.
Soldi non ce ne sono, tantomeno per il calcio, sport che, per quanto abbia attecchito tra la popolazione, ancora fatica a scaldare i cuori del mondo politico (la Nazionale Spagnola, a parte un argento ottenuto ai Giochi Olimpici di Anversa 1920 e un quarto di finale perso contro l’Italia ai Mondiali del ’34, vanta praticamente solo sporadiche apparizioni).
A soffrire del periodo di recessione è, in particolare, il Betis, le cui casse societarie sono vuote come un arena senza la corrida.
Un inaspettato salvagente lo offrono proprio i rivali di sempre del Siviglia Football Club, interessati a comprare il cartellino di un tal Francisco Antunez, pilastro della difesa bianco verde. Con i soldi incassati dalla cessione, il Betis non solo potrebbe sanare la propria situazione debitoria, ma anche investire in un nuovo progetto sportivo.
L’affare si compie, ma ciò che avviene subito dopo ha dell’incredibile: in tutta la città si moltiplicano i cortei, le manifestazioni di protesta, i sit-in. Il motto dei tifosi Heliopolitanos è: “Fallire sì, tradire mai”. La rabbia dei tifosi è tale da costringere l’allora presidente Manuel Roberto Puerto a provarle tutte pur di fare retromarcia: dice che la firma sul contratto è falsa, ma nessuno gli crede. E Antunez cambia lato della città.
Al danno si aggiungerà la beffa. Perché il Betis si salverà, effettivamente, dal fallimento, ma retrocederà amaramente. E dovrà sorbirsi la festa del Siviglia, che, anche grazie al nuovo acquisto, vincerà la Liga Spagnola, per la prima e unica volta nella propria storia.
I tifosi del Betis riusciranno comunque a ironizzare sulla vicenda. Il loro motto, da lì in avanti, sarà: “Viva el Betis, manque pierda!” (Viva il Betis, nonostante perda).
Bacheche diverse, glorie differenti
Il campionato spagnolo il Betis lo aveva vinto qualche anno prima, nel 1935. Una squadra fenomenale, quella guidata dall’irlandese ex Manchester United Patrick O’Connell, che vinse il titolo battendo 5-0 il Santander proprio il 28 aprile, quando nel capoluogo andaluso si celebra la Feria de Abril, la festa locale.
Si dissolverà nel giro di pochissimi anni, quel gruppo di eroi, nel continuo roller-coaster che contraddistingue la storia del Balompiè.
Più recentemente, i migliori ricordi sono legati al periodo in cui, sulla panchina bianco verde, siede Lorenzo Serra Ferrer, capace di condurre la squadra al terzo posto, nel campionato 1994-95, dietro a Real Madrid e Deportivo, e quindi in Coppa Uefa, perdendo oltretutto, due anni dopo, una Coppa del Re contro il Barcellona, complice la doppietta di un giovane Luis Figo.
Di ben altro tenore, soprattutto se si parla di Europa, la bacheca del Siviglia, che negli ultimi anni ha saputo conquistare ben 6 Coppe Uefa/Europa League, diventando il primo club al mondo a centrare tale traguardo.
Due le vince Juande Ramos, tre invece Unay Emery, divenuto vera leggenda del club. L’ultima, la più recente, nel 2020 la porta a casa Julen Lopetegui a scapito dell’Inter di Antonio Conte.
Anche il bilancio del Gran Derbi pende dalla parte biancorossa, con le 65 vittorie del Siviglia in tutte le competizioni, contro le 40 del Betis.
Il Gran Derbi più importante
Come sempre, purtroppo succede l’accesa rivalità ha delle conseguenze anche sugli spalti tra le due tifoserie.
Il caso più celebre, e deprecabile, è quello del quarto di finale della Coppa del Re del febbraio 2007, quando Juande Ramos, alzatosi dalla panchina per esultare a un gol di Kanoutè, viene centrato in pieno da una lattina scagliata da un tifoso rivale al Villamarin, stramazzando a terra privo di sensi.
Anche in tempi decisamente più recenti, nonostante la continua repressione attuata sugli spalti contro i più esagitati ultras, il Gran Derbi è stato sospeso, nel gennaio 2022, per una sbarra di plastica lanciata in direzione, e andata purtroppo a bersaglio, di Joe Jordan, centrocampista dal cognome ingleseggiante, ma catalano di nascita e crescita.
Molto più edificante, invece, la partecipazione di tantissimi tifosi del Betis ai funerali del povero Antonio Puerta, giocatore e bandiera del Siviglia il cui cuore cessa di battere, durante un match di campionato contro il Getafe.
A livello di calcio giocato, il momento più alto, probabilmente, del Grand Derbi in assoluto lo si è avuto nella stagione 2013-14. Quando un beffardo sorteggio dell’Europa League mette di fronte Siviglia e Betis agli ottavi di finale.
Se il clima, in campionato, è incandescente, nonostante raramente le due compagini si ritrovino in lotta per i massimi obiettivi, figuratevi in questa occasione.
E il campo, giudice supremo, contribuisce a scaldare gli animi.
Andata in un Sanchez Pizjuan completamente esaurito, e clamorosa vittoria Betis. 2-0, con reti di Leo Baptistao e Salva Sevilla (nel cognome, la beffa…).
Ritorno al Villamarin ancora più incredibile, con la rimonta del Siviglia, grazie ai gol del compianto Josè Antonio Reyes e del colombiano Bacca. Esito finale affidato alla lotteria dei calci di rigore.
Lì il protagonista assoluto diventa il portiere portoghese Beto, che para gli ultimi due penalties di Ndiaye e Nono, mandando avanti il Siviglia, che arriverà fino in fondo, vincendo poi la finale, sempre ai rigori, contro il Benfica, e mandando in crisi i 38mila del Benito Villamarin, che da allora altro non aspettano se non un occasione di rivincita.
Un altro Gran Derbi, magari europeo. Tra la squadra dove giocano anche gli operai, e quella dell’aristocrazia.
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