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Sébastien Frey, rialzarsi sempre

Dal 6 a 0 nel derby agli infortuni. Dalla poca considerazione in Nazionale al virus. Storie di vita e di campo di Sébastien Frey, e della sua capacità di rimettersi, sempre, in piedi pronto ad un’altra parata.
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Sebastien Frey - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Sébastien  Frey approda in Italia nel 1998, notato da due osservatori d’eccezione mandati dall’Inter in Francia, inizialmente per visionare Dabo e Silvestre, come Mazzola e Suarez, dopo che già la Juventus si era mossa in precedenza per tesserare il ragazzo, a quell’epoca giovanissimo e con alle spalle appena un pugno di presenze con il Cannes.

Da quel momento in poi diventa uno dei più forti portieri della serie A, riuscendo a imporsi in un movimento calcistico, quello italiano, in cui tra i tanti problemi i portieri forti non sono mai mancati.

Agilissimo tra i pali, strepitoso nell’uno contro uno, spiccata personalità che gli permette, fin dalla giovane età, di guidare i propri compagni da dietro. Ma su un fondamentale, in particolare, Seba è stato sicuramente, se non il migliore, uno dei migliori di tutti: il “doppio intervento”. Ossia la capacità di recuperare la posizione in estrema rapidità andando ad effettuare una ulteriore parata, immediatamente consecutiva alla prima.

Merito sicuramente di un fisico reattivo, ma anche del duro lavoro fatto durante gli allenamenti nel corso degli anni. Ma merito anche di una innata capacità di “rialzarsi”, sempre e comunque. Tra i pali come nella vita, reagendo alle varie difficoltà.

Dal “ko tecnico” subito nel derby alla rottura del crociato. Dalla indifferenza della propria Nazionale fino al terribile virus che ha rischiato recentemente di strapparlo all’amore dei suoi cari.

Non c’è mai stata nulla da fare: qualunque cosa abbia cercato di colpire Seba si è trovata la sua sagoma davanti, con le braccia larghe, a dirgli: “tu di qua non passi”

Il derby maledetto

Nel 1998, come detto, l’Inter acquista questo giovane portiere, inizialmente iscritto in rosa come terzo, dietro a Gianluca Pagliuca e ad Andrea Mazzantini. I nerazzurri, per convicerlo, hanno mobilitato persino una leggenda come Walter Zenga, volato in Francia per convincere il ragazzo, nipote e figlio d’arte (sia il nonno che il papà giocavano a pallone) a sposare la causa del “biscione”.

Della bravura del ragazzo già se n’erano accorti gli osservatori del club, che gli vedono sì prendere 6 gol in una partita, ma compiere almeno altrettanti interventi decisivi salvando la propria squadra dal tracollo, e il tutto senza mai perdere calma e lucidità.

Mentre tutti gli dicono “vai in prestito a farti le ossa” Seba decide di rimanere, almeno per un anno, alla Pinetina, senza mai entrare in campo, ad ascoltare i consigli di Pagliuca in particolare (perché Mazzantini, nel frattempo, è stato ceduto al Perugia).

L’anno seguente arriva il grande salto, con il trasferimento, in prestito secco, all’Hellas Verona. In gialloblù Seba è titolare inamovibile, e sulla salvezza della squadra di Cesare Prandelli c’è nettamente il suo zampino.

Un’annata talmente convincente da convincere l’Inter: sarà lui il titolare nella stagione successiva.

In nerazzurro Seba conferma le proprie doti: è davvero forte, e nonostante i soli 20 anni, è già pronto per giocare in una big. L’annata dei nerazzurri è tutt’altro che esaltante, iniziata con Marcello Lippi al comando e proseguita con Marco Tardelli fino al quinto posto finale. Ma forse sono proprio le lacune difensive dei nerazzurri ad esaltare le sue qualità.

Per risollevare la stagione, e per regalare una gioia ai propri tifosi, ancora alla ricerca dello scudetto smarrito dal lontano 1989, c’è una sola possibilità: vincere il derby.

L’11 maggio 2001 a San Siro la sfida tra l’Inter di Sébastien Frey e il Milan, che di sicuro non se la passa meglio dei nerazzurri, anzi in classifica è addirittura dietro. Quella partita, diretta da Pierluigi Collina, si trasformerà in una specie di ecatombe per tutto il popolo interista. Risultato finale: 6-0. Un k.o. tecnico, una superiorità quasi manifesta. In 20 minuti fa doppietta Comandini, che fino a quel momento, in rossonero, sarebbe stato candidato all’Oscar come miglior attore non protagonista. Serginho maltratta ripetutamente il capitano Javier Zanetti sulla fascia, con Il Pupi costretto la maggior parte delle volte a leggerli la targa. Segna Giunti su punizione, ed è 3 a 0. Poi sale in cattedra Shevchenko, doppietta, e basterebbe già il 5-0. Nel finale Serginho decide di andarsi a prendere il premio dell’MVP segnando il sesto gol.

Nella storia del derby di Milano c’è un prima e un dopo quell’11 maggio 2001.

Inevitabile la rivoluzione operata dalla società nerazzurra a fine stagione, anche per dare riscontro a una tifoseria che se avesse potuto spedire su Marte tutti gli artefici di quella disfatta lo avrebbe fatto. Nel borsone dei partenti finisce anche il povero Frey, forse il meno responsabile di tutti. Ma il calcio, si sa, conosce logiche talvolta impietose.

L'erede di Buffon

10 miliardi di vecchie lire più il cartellino di Sergio Conceiçao. Questo quanto sborsato dal Parma per accaparrarsi le prestazioni del giovane portiere francese. A Seba un compito difficilissimo: sostituire Gianluigi Buffon, già allora considerato il miglior numero 1 al mondo, e volato a Torino per scrivere la storia con la maglia della Juventus.

I ducali, tuttavia, stanno assistendo al tramonto dell’era-Tanzi. Sono lontani i tempi dei successi in Italia e in Europa, con Nevio Scala e Alberto Malesani. E ben presto verrà sollevato il tappeto sui conti della Parmalat, con logico conseguente sconquasso nelle casse del club.

In quegli anni Seba è forse l’unica certezza dei tifosi del Parma, in un continuo andirivieni di giocatori, talentuosi e meno talentuosi. Nel 2002, nonostante una stagione che travagliata è dir poco, con Ulivieri, Passarella e Carmignani ad alternarsi continuamente alla guida, proprio con quest’ultimo i gialloblù vincono una straordinaria Coppa Italia, battendo in finale con un gol di Junior la Juventus scudettata di Marcello Lippi.

Frey quel successo lo vive praticamente da comprimario, dal momento che, in coppa, il titolare è Claudio Taffarel. Ma il momento di mettere la propria firma nella storia del Parma arriva presto.

Nel 2004-2005 i ducali, infatti, vivono probabilmente la peggior stagione dei recenti 20 anni. Silvio Baldini viene presto esonerato, e per salvare il club si fa nuovamente affidamento su Pietro “Gedeone” Carmignani. La classifica finale ha un esito tetro e sinistro, con il Parma costretto a giocarsi la salvezza nello spareggio fratricida contro i rivali di sempre del Bologna, nel più acceso Derby d’Emilia di sempre.

Al Tardini vincono i rossoblù, con gol dell’albanese Tare. Ed è proprio Frey che tiene in piedi i compagni, parando tutto il resto. Al ritorno al Dall’Ara è più che una finale. Cardone, l’uomo che non ti aspetti, pareggia i conti dell’andata al 17esimo. Seba erige un muro invalicabile, sul quale vanno a scontrarsi i vari Bellucci, Tare e Ferrante. E Gilardino segna il gol che vale la salvezza, e un posto nelle pietre della storia.

L'amore in Viola

Quando Cesare Prandelli viene scelto come allenatore per guidare l’ambizioso progetto-Fiorentina della famiglia Della Valle, per il ruolo di portiere non ha dubbi: ha già allenato Frey a Verona, a inizio carriera, e successivamente anche a Parma. Non c’è nessuno meglio di lui, quantomeno alle cifre che i fratelli Della Valle possono permettersi.

La Viola che si presenta ai ranghi di partenza della stagione 2005-2006 è molto competitiva. Ci sono futuri campioni del Mondo come Luca Toni, alcuni tra i migliori prospetti messi in mostra, negli ultimi anni, dal nostro campionato (da Fiore a Jorgensen, da Dainelli a Bojinov) e giovani interessanti, come Montolivo e Pazzini.

Per Seba Frey è in realtà una falsa partenza, dal momento che si ammacca la tibia, a gennaio, in un sentitissimo match di Coppa Italia contro la Juventus in un contrasto con il Panterone Zalayeta, e deve lasciare spazio al vice Bogdan Lobont per quasi tutto il resto della stagione.

Durante l’infortunio gli corre in aiuto uno che sa come rialzarsi di fronte alle difficoltà: Roberto Baggio. È grazie al Divin Codino se Seba si avvicina alla religione buddista, Un aiuto ulteriore, per rimettersi in piedi e ripartire.

L’estate successiva la Fiorentina acquista anche il resto del cartellino del portiere. E l’investimento paga subito in dividendi, dal momento che quella Viola sarà la difesa meno battuta del campionato, anche grazie ai super interventi del buon Seba.

Negli anni diventa idolo indiscusso della Curva Fiesole, innamorata tanto delle sue parate quanto della sua acconciatura. Tanto da coniare il celeberrimo coro: “Quanta f**a che avrei coi capelli di Frey”

Il 3 novembre del 2010 l’idillio finisce. Lesione subtotale del legamento crociato anteriore: Seba è costretto all’intervento chirurgico, e ad affidare dunque al polacco Boruc le chiavi della porta Viola per il resto della stagione.

L’infortunio cambia il suo modo di essere portiere, per forza di cose, dal momento che il chirurgo stesso gli consiglia di evitare gli scontri e di limitare, dunque, le uscite basse uno contro uno contro l’attaccante, da sempre uno dei marchi di fabbrica di Seba, che riesce comunque a essere maledettamente efficace.

L’estate successiva si presenta in ritiro, pronto a riprendersi il posto. Ma Pantaleo Corvino non è d’accordo, e gli commina una multa per essersi presentato in leggero sovrappeso.

È la classica goccia che fa traboccare il vaso. Seba decide, a malincuore, di lasciare Firenze, una città che gli ha dato tanto se non tutto. Sposerà la causa del Genoa, a parametro zero.

Italiani? No, grazie

Per due anni il Grifone, con Frey, blinda la propria porta e si assicura la salvezza. L’ultima stagione Seba la gioca in Turchia, con il Bursaspor, prima di chiudere la propria onorevolissima carriera all’età di 35 anni.

Ma c’è un punto, che, nel racconto del suo percorso, resta in sospeso. La Nazionale Francese.

Ci siamo ormai abituati a considerare Seba come “uno di noi”, vista la sua lunghissima militanza in Serie A e la sua eccellente padronanza della lingua italiana. Quasi dimenticandoci che, il ragazzo, il 18 marzo 1980 nasce a Thonon-Les-Bains, in Alta Savoia, e dunque in territorio francese.

Lo score con i “galletti”, considerate le sue qualità, è davvero misero. Non tanto nelle nazionali giovanili, delle quali è stato un perno inamovibile, quanto per la Nazionale maggiore: appena 2 presenze. Esordio addirittura nel 2007, contro l’Ucraina, in un match di qualificazione all’Europeo del 2008. Poi 45 minuti giocati in amichevole contro l’Ecuador a Grenoble, prima di lasciare il posto a Steve Mandanda. Infine la convocazione come terzo portiere per lo stesso Europeo del 2008, dove finisce dietro, nelle gerarchie, anche a Gregory Coupet.

Il motivo? Per qualcuno la concorrenza, ed effettivamente fino al 2006 non è facile togliere il posto a una istituzione del calcio francese come Fabien Barthez. Secondo qualcun altro l’errore commesso all’esordio contro l’Ucraina, in occasione del 2-2 di Shevchenko, che ha contribuito a minare ulteriormente una già scarsa considerazione che la federazione aveva nei suoi confronti.

In realtà, più semplicemente, basta andare a vedere chi è stato il commissario tecnico dei transalpini dal 2004 al 2010: Raymond Domenech. Uno che guarda all’Italia esattamente come si guarda a un piatto di cavolfiori servito per merenda. E a cui la sconfitta di Berlino nel 2006 non è mai andata veramente giù.

Impossibile convincere Raymond che il successo del suo progetto tecnico possa passare dalle mani di un figlio adottivo del nostro Paese. Impossibile. E così il povero Frey si è dovuto accontentare, sostanzialmente, delle briciole.

L'ultima parata

Nel 2019 il nome di Sebastian passa nuovamente agli onori della cronaca, stavolta per una vicenda extracampo. Ben altra cosa rispetto alla storia del tuffo nella piscina vuota, che lui stesso ha definito “vigliaccata di un giornalista”.

Quella che pareva una banale influenza, con febbre e raffreddore, si rivela infatti essere un pericolosissimo virus, tale da paralizzarlo quasi completamente dalla testa in giù.

Arriva il ricovero in ospedale, la diagnosi e la terapia, volta a far ricrescere in lui le difese immunitarie necessarie a sconfiggere quella brutta bestia. Che nient’altro è se non l’ennesimo attaccante che si è presentato a tu per tu di fronte a lui.

Ci ha provato la prima volta, parata. Alla seconda era quasi sicuro di metterla dentro, salvo ritrovarsi Seba, nuovamente in piedi, a dirgli di no. Grazie a quella fenomenale capacità di rialzarsi sempre, di fronte a un avversario come di fronte alle avversità della vita

Racconto a cura di Fabio Megiorin

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