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José Luis Chilavert - Nessuno, tranne lui

Bravo con i piedi, con ben 62 gol all’attivo, ma anche con le mani. La storia unica del funambolico portiere paraguaiano, che quelli del Milan e Maradona ancora si ricordano.
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José Luis Chilavert - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Una storia come la sua non poteva non avere come scenario il Sud America. Terra caliente, terra di rivoluzioni. Perché mai come in questa porzione di Mondo si sono visti animi ribelli, pronti a dire “stop” e cambiare, nel bene e nel male, ciò che si era fatto fino a quel momento.

È la storia di un ragazzo paraguaiano di nome Josè Luis Felix in cui nessuno credeva.

Non credevano in lui i mercanti di Nù Guazù, poverissimo sobborgo di Luque, a poche miglia dalla capitale Asuncion (sì, siamo in Paraguay) che lo vedevano camminare scalzo tra le bancarelle, perché la famiglia non poteva permettersi nemmeno un paio di scarpe, intento a vendere il latte di mucca appena munto.

Non credevano in lui i compagni del campetto di suo fratello maggiore, che nelle mastodontiche partite 30 contro 30, giocate su terra rossa, manco fosse il Roland Garros, lo spedivano sempre ignominiosamente in porta, semplicemente in quanto “il più piccolo di tutti”. Salvo poi accorgersi che, quando c’era lui a difendere i pali, la palla non voleva saperne di entrare.

Non credeva in lui il Calcio Europeo. “Sì, bravino, ma troppo facile fare il portiere in Argentina e vincere tutto col Velez. Vieni a farlo nel Vecchio Continente se vuoi considerarti il migliore”.

Si troveranno costretti a consegnarli non uno, non due ma ben tre premi come “miglior estremo difensore dell’anno” tra il 1995 e il 1998.

Nessuno credeva possibile che un portiere potesse ritirarsi dopo aver gonfiato per 62 volte la rete avversaria. Su rigore, su punizione e persino su azione, sia con il club che con la Nazionale.

Nessuno, tranne lui. Che alla storia non è passato come un Josè Luis Felix qualsiasi. Ma con il cognome: Chilavert.

Ridicolizzando Higuita

27 agosto 1989. Stadio “Defensores del Chaco” di Asuncion, intitolato ai soldati paraguaiani che combatterono nell’omonimo conflitto, “la guerra del Chaco”. Di fronte, a giocarsi punti importanti per tentare la qualificazione ai mondiali di Italia ’90, i padroni di casa del Paraguay e la Colombia.

Il portiere della squadra ospite, i cosiddetti “cafeteros”, è Renè Higuita. A proposito di spiriti sudamericani rivoluzionari. L’uomo che sarà capace, qualche anno dopo, di irridere gli inventori del gioco nel proprio stadio di casa, il nobile Wembley, parando un centralissimo tiro dalla distanza di Jamie Redknapp con “il colpo dello scorpione”.

 

A difendere la porta dei padroni di casa è invece un esordiente Josè Luis Chilavert, allora 24enne, distintosi in Argentina con la maglia del San Lorenzo e da poco volato in Spagna, al Real Saragozza, per misurarsi con il ben più competitivo calcio europeo.

Partita tirata, tanto da quasi non sembrare una gara del solitamente spettacolare super girone di qualificazione sudamericano. Allo scadere si è ancora sull’1-1.

Poi Higuita, portiere estroso, spesso, e volentieri anche troppo, esce male su un avversario, e il direttore di gara assegna il calcio di rigore. A quel punto chi si aspetta un’alacre discussione tra candidati a tirare il rigore, rimane deluso.

Nessuno vuole tirarlo, tranne lui. Chilavert. Che parte dalla propria area di competenza, facendosi largo tra gli sguardi attoniti dei colleghi, e senza pensarci un attimo esclama: “Tiro io”

Mancino a spiazzare il malcapitato Higuita e vittoria del Paraguay per 2-1. Con gol del portiere.

Non servirà all’Albiroja per guadagnare il pass per la rassegna intercontinentale, ma già un episodio così particolare basterebbe a riempire le pagine di mezzo mondo.

In realtà è solo l’inizio. L’abc di una leggenda.

L’incubo del Milan

Mollato dal calcio europeo, molto tradizionalista e quasi imbarazzato dall’avere tra le proprie fila un “portiere goleador” (perché col Saragozza, contro i baschi della Real Sociedad, il Chila trasformerà un altro rigore), Josè Luis torna in Argentina, dove con il Velez Sarsfield vince praticamente tutto.

Ma proprio tutto. Campionato (4 volte), Copa Libertadores, Copa Sudamericana, Recopa.

Il 1 dicembre 1994 il suo Velez si appresta a giocare la gara unica dello stadio Nazionale di Tokyo atta ad assegnare la Coppa Intercontinentale, che nella visione degli inventori dovrebbe incoronare la squadra di club “campione del mondo”, dal momento che a sfidarsi sono: i vincitori della Coppa dei Campioni europea e i vincitori della gloriosa Libertadores sudamericana.

L’avversario d’El Fortin, quel giorno, è nientemeno che il Milan di Fabio Capello. Altra squadra, seppur ad altre latitudini, campione di tutto, con fenomeni come Maldini, Baresi, Boban e Savicevic.

Il Diavolo cadrà tradito da uno dei suoi giocatori più rappresentativi: Alessandro “Billy” Costacurta, autore probabilmente della peggior prestazione della propria nobilissima carriera.

Quel giorno, a Tokyo, Chilavert decide di limitarsi a fare il portiere. Addirittura, lascia che sia il capitano Roberto Trotta a trasformare il rigore concesso dall’arbitro colombiano Cadena per fallo proprio di Costacurta su Flores. Ma anche da “semplice” estremo difensore Josè Luis riesce a guadagnarsi le copertine dei giornali. Strepitose le sue parate su Daniele Massaro, ultimo ad arrendersi, ma costretto ad alzare le braccia di fronte all’apparentemente insuperabile paraguaiano. A inizio ripresa Costacurta completerà la frittata, sbagliando il retropassaggio verso Sebastiano Rossi e mandando, di fatto, in porta Asad.

2-0 e Velez ufficialmente campione del Mondo.

Nessuno ci avrebbe probabilmente creduto. Nessuno, tranne, come al solito, lui.

I record del Bulldog

Anche quando il suo piede fatato finisce di essere una sorpresa, Chilavert, chiamato anche El Bulldog per il suo carattere, diciamo, non sempre mite, non finisce di dispensare magie. E non smette di farlo nei palcoscenici più prestigiosi. Perché da buon ribelle sudamericano sa che se vuoi veramente convincere chi non crede nella fattibilità dell’impossibile, devi farlo nei posti dove nessuno si aspetterebbe mai che uno possa compiere certe imprese.

Contro il River Plate segna, su punizione, praticamente da metà campo. Punendo i distratti Millionarios, rei di aver lasciato la palla scoperta, senza minimamente aspettarsi una sabongia del genere.

Nel 1997 Diego Armando Maradona resta per qualche minuto immobile a chiedersi come abbia fatto quel dannato paraguaiano volante a levare dalla porta una punizione che il Pibe De Oro ha appena calciato in maniera semplicemente perfetta. Tanto che molti parlano di “parata del secolo”, paragonandola a quella effettuata dall’inglese Gordon Banks, diversi anni prima, su colpo di testa di un altro extraterrestre del pallone di nome Pelè.

Nel 1999 diventa l’unico portiere a mettere a referto una tripletta in una partita ufficiale. 3 reti, tutte su rigore, nel 6-1 inflitto al Ferro Carril Oeste. Quanto basta per irridere l’attaccante del Boca Juniors Martin Palermo, capace, qualche mese prima, di sbagliare nella stessa gara ben 3 penalty.

Tornerà a riprendersi l’Europa, nel 2000, sbarcando in Ligue 1 per difendere la porta dello Strasburgo.

Perché nessuno può permettersi di giudicarlo come portiere. Nessuno, tranne lui.

Lati oscuri

Non mancano ovviamente i lati oscuri di un carattere così febbrile e tormentato. Roba normale per chi è cresciuto nella miseria e il rispetto se lo è guadagnato spesso a costo di farsi sanguinare gli zigomi.

Dai pugni a un massaggiatore del Gimnasia La Plata agli sputi a Roberto Carlos e a Tino Asprillia. Dagli allenamenti imposti ai compagni di squadra della Nazionale alle 7 del mattino, per evitare il caldo e preparare al meglio il mondiale di Francia ’98 alle minacce di morte ricevute dai narcos colombiani.

È pur sempre il Sud America d’altronde. Dove la terra ti ribolle sotto ai piedi capitano, purtroppo, anche queste fattispecie.

Ma anche questi spigoli nient’altro fanno che alimentare un mito che resiste tuttora. Quando ancora oggisi vede un Hans Jorg Butt qualsiasi, calciare un rigore con la maglia da portiere, la mente corre a quel pazzo numero uno paraguaiano precursore dei tempi.

Figuriamoci nella modernissima concezione di football, dove tutti gli 11 in campo devono sapere ben trattare la palla con i piedi, estremo difensore incluso, quanto spazio avrebbe trovato uno con la sua precisione, da sempre insita nel suo piede sinistro.

I freddi numeri parlano oggi di lui come “il secondo portiere più prolifico della storia del calcio”. Da quando quel guastafeste di Rogerio Ceni si è messo in testa di celare la sua mediocrità tra i pali segnando a profusione rigori e punizioni.

Ma nel cuore dei romantici Chilavert rimane unico e inimitabile. Perché alla domanda se sia mai esistito un portiere pazzo e fortissimo allo stesso tempo, la risposta è scontata.

Nessuno, tranne lui.

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