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Claudio Taffarel, la mia religione

Taffarel e la Coppa del Mondo, il rigore di Baggio, il torneo della parrocchia. Ma pure l'accordo con l'Empoli saltato per un guasto all'auto: "Un segno divino".
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Cláudio Taffarel - Illustrazione Tacchetti di Provincia

Per raccontare chi è davvero Claudio Taffarel bisogna partire dalla fine. Da quando ha deciso di dire basta e chiudere con il mondo del calcio.

Estate 2003. Il portiere brasiliano, vincitore di un Mondiale, sì proprio quella maledettissima (per noi italiani!) USA 1994, si ritrova senza squadra. Svincolato. Siamo negli anni 2000 e c’è l’Empoli che lo vuole, memore del fatto che anche a fine carriera Claudio sa essere una garanzia e sa vincere titoli da protagonista: vedi la Coppa Italia alzata in faccia alla Juventus di Nedved qualche mese prima con il Parma. Durante il viaggio direzione Toscana però succede un imprevisto, ovvero un guasto alla macchina. L’auto si ferma e lascia il portiere a piedi. Capita, direte. Ma non l’ha pensata così Taffarel che, da buon religioso, non crede nel destino. “Chiedo scusa alla società, chiedo perdono a Dio… ho capito di aver chiuso con questo sport”. Sbam. Riavvolgiamo il nastro.

Dal Brasile a uomo immagine della Parmalat

Razionale, freddo, pararigori. Claudio non è il calciatore che ti ricordi perché fortissimo ma te lo ricordi perché passando dalla provincia è arrivato a toccare… una coppa del Mondo. Anzi, quasi due se non fosse stato per Zidane. Biondo, folkloristico con quelle tute colorate; ha sempre dato nell’occhio. Il debutto arriva con la maglia dell’Internacional poi ecco il trasferimento in Italia, a Parma, nel 1990. Un affare (soprattutto) commerciale: il proprietario dei Ducali, Tanzi, lo prese anche in quanto uomo immagine in Brasile per Parmalat. L’azienda gestita proprio da Calisto.

Le migliori parate di Cláudio Taffarel con le maglie di Parma e Reggina

Reggio Emilia e la 10 all'oratorio

Con il Parma Claudio vince tanto, la Coppa Italia nel 1992 e la Coppa delle Coppe nel 1993, e poi si trasferisce alla Reggiana, una neopromossa molto ambiziosa. L’obiettivo, in quel caso, era la salvezza, e lo centra con grande tranquillità. Pensate, Taffarel si prende talmente bene dell’Emilia Romagna che poche settimane dopo aver vinto il Mondiale, decide di disputare qualche partita della parrocchia, a Reggio, con la maglia numero 10 sulle spalle. Ruolo: attaccante. Obiettivo, divertirsi. Qualità… brasiliana.

La vittoria della Reggiana a San Siro contro il Milan

In giro per il mondo

Il viaggio di Taffarel proseguirà all’Atletico Mineiro e al Galatasaray ma da segnare in rosso c’è soprattutto la finale del mondiale di Francia 1998, persa in finale contro Zidane e compagnia bella. L’anno prima però, in Bolivia, aveva vinto la Copa America con la Seleção. Gioie e dolori. Ma sempre una grande umiltà. Sacrificio, lavoro e… religione. Ecco chi era Claudio Taffarel.

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