Usa '94, il Mondiale sciagurato
Nell’estate del 1994, il calcio arriva prepotentemente in America: un evento voluto dai grandi sponsor d’Oltreoceano, con la benedizione della FIFA. Deve essere una festa, ma il sapore amaro delle tragedie – quelle vere e non solo quelle sportive – trasforma il più importante avvenimento calcistico in un bollettino di cronaca nera.
Questo è il racconto di USA ’94: tra inseguimenti, massacri nei pub e l’uccisione di una stella in un parcheggio. E poi, il caldo torrido che condiziona l’andamento delle gare, la passeggiata finale del D10s portato alla gogna in mondovisione e un Divin Codino con le mani sui fianchi che meriterebbe la consacrazione nell’Olimpo mondiale.
17 giugno 1994
Che si tratta di un Mondiale pieno di colpi di scena lo si capisce fin dalle qualificazioni. Le clamorose eliminazioni di Inghilterra e Francia riscrivono la geopolitica del pallone nel Vecchio Continente.
Il giorno dell’inaugurazione è tutto pronto per il più classico degli show, in stile Super Bowl. L’idea è quella di replicare la magnifica rappresentazione vista alle Olimpiadi di Los Angeles nel 1984, in piena Guerra Fredda. Ma qualcosa inizia subito ad andare storto. La stella della disco e dell’R&B Diana Ross sbaglia clamorosamente il calcio al pallone che avrebbe dovuto aprire le danze alla cerimonia.
Il popolo americano è incollato alla TV ma non per l’intro di USA ’94: sta succedendo qualcosa di tragicamente clamoroso. Una Ford Bronco bianca è in fuga lungo le strade di Los Angeles, inseguita da volanti ed elicotteri della polizia. Dentro c’è O.J. Simpson, armato e sospettato di essere l’omicida dell’ex moglie Nicole Brown Simpson e dell’amante Ron Goldman.
La polizia non apre il fuoco davanti a 100 milioni di americani sintonizzati.
O.J. Simpson è una leggenda del football americano con un MVP NFL in bacheca e, al termine della sua carriera sportiva, la sua notorietà è cresciuta ulteriormente anche grazie a ruoli da attore in film e serie TV.
L’eroe diventato sospetto assassino ruba la scena alla FIFA e i grandi network abbandonano la cerimonia del Mondiale per raccontare agli americani ogni secondo di quell'inseguimento.
18 giugno 1994
Il giorno dopo, un’altra tragedia scuote l’opinione pubblica.
Si gioca Italia-Irlanda a New York. Scherzi del destino: italiani e irlandesi si affrontano al Giants Stadium nella città che, fin dal dopoguerra, accoglie entrambe le comunità di emigrati. Due popoli perfettamente integrati nella Grande Mela. Finisce 0-1, con un gol di Ray Houghton che vendica l’eliminazione ai quarti subita dagli irlandesi a Italia ’90.
La tragedia, però, si consuma dall’altro lato dell’Atlantico. In un pub di Loughinisland, nell’Irlanda del Nord, sei civili cattolici vengono barbaramente trucidati da un gruppo paramilitare lealista mentre stanno guardando la partita in televisione. Il terrorismo unionista decide che tifare Irlanda, per quei cattolici, è una colpa.
Il massacro viene considerato uno degli episodi più violenti dei Troubles, l’appellativo che definisce il lungo conflitto nordirlandese. Quel periodo e quella strage efferata sono perfettamente riassunti da Michael Philips nel settimo episodio del podcast “Troubles – Una storia irlandese” di Samuele Sciarrillo.
25 giugno 1994
Non può che essere un ultimo atto teatrale a chiudere il sipario tra il più grande genio della storia del pallone e il Campionato del Mondo.
Diego Armando Maradona arriva al Mondiale in forma strepitosa, grazie alle cure di un certo Daniel Cerrini e sotto la spinta del gotha del calcio, tra tutti João Havelange e Sepp Blatter.
L’esordio contro la Grecia è stratosferico: l’Argentina vince 4-0 anche grazie a un suo meraviglioso gol, un sinistro chirurgico all’incrocio. Resta impressa l’immagine della sua esultanza davanti alle telecamere, con occhi sbarrati e un urlo isterico e animalesco.
La caduta del D10s arriva dopo la seconda partita, contro la Nigeria, vinta 2-1. Maradona risulta positivo all’efedrina: è questa la notizia shock che ferma il mondo.
La sua ultima immagine ai Mondiali è melodrammatica: una donna della FIFA lo accompagna al controllo antidoping mano nella mano, come un bambino punito. Una gogna televisiva che rappresenta una prova di forza voluta dagli organi di potere del football.
Maradona serve per promuovere quel Mondiale, ma ora la FIFA vuole dimostrare di essere integerrima con chiunque. Una vera contraddizione. Diego considera quell’uscita di scena un complotto contro di lui. Il cammino dell’Argentina si chiude agli ottavi, eliminata dalla Romania.
2 luglio 1994
Una delle tragedie più note di USA ’94 è legata all’eliminazione della Colombia.
La colpa di quella mancata qualificazione agli ottavi viene attribuita, ingiustamente, al capitano Andrés Escobar, autore di un autogol contro gli Stati Uniti nella partita del 22 giugno a Pasadena, conclusa 2-1 per i padroni di casa.
Difensore elegante e talento sopraffino, Escobar conquista anche l’ammirazione di Arrigo Sacchi, che tenta più volte di portarlo nel suo Milan stellare.
Dieci giorni dopo quella gara, Escobar è a Medellín. Esce a cena con amici, ma percepisce subito un’aria tesa. Viene apostrofato come capro espiatorio della débâcle dei Cafeteros. La discussione degenera e, nel parcheggio, gli vengono esplosi sei colpi di pistola, accompagnati da un “Gracias por el autogol”.
Il movente, secondo molte inchieste, è legato alle scommesse perse dalla criminalità organizzata e alla rabbia popolare alimentata da un clima di violenza sistematica, fomentato anche dai media. La morte di Escobar diventa il simbolo della drammatica connessione tra sport e criminalità nella Colombia degli anni ’90.
Una fine assurda e tragica che avviene pochi mesi dopo la scomparsa dell’altro Escobar: Pablo, re del narcotraffico e proprietario negli anni ’80 del Nacional di Medellín, ucciso il 2 dicembre 1993 dalla polizia colombiana con il supporto dell’intelligence americana.
17 luglio 1994
La sciagura sportiva di Roberto Baggio a USA ’94 è uno dei momenti più dolorosi della storia del calcio italiano. Una ferita che ancora brucia nel cuore del Divin Codino e degli appassionati.
Quel Mondiale inizia in salita per Baggio. Viene sostituito alla seconda partita contro la Norvegia, dopo pochi minuti, a causa dell’espulsione di Pagliuca, e le telecamere lo colgono mentre pronuncia chiaramente: “Ma questo è matto”, riferito a Mister Sacchi.
Ma da quel momento, è lui a prendere per mano la squadra.
Negli ottavi, contro la Nigeria, pareggia su rigore al minuto 88 e poi segna il gol decisivo nei supplementari. Ai quarti, segna con glaciale freddezza contro la Spagna all’ultimo minuto. In semifinale, stende la Bulgaria con una doppietta.
La finalissima al Rose Bowl di Pasadena, il 17 luglio, si gioca a mezzogiorno con 40 gradi. Da Italia e Brasile ci si aspetta un match epico ma in campo va in scena una partita nervosa e priva di emozioni per 120 minuti. Per la prima volta nella storia, la Coppa del Mondo si decide ai rigori.
Tocca a Roberto Baggio calciare l’ultimo penalty, col Brasile già in vantaggio dopo gli errori di Baresi e Massaro. Il tiro è alto, sopra la traversa.
Baggio non è in perfette condizioni fisiche: ha concluso la semifinale quasi zoppo. Non dovrebbe neanche essere in campo. Quel rigore non è un errore tecnico, ma un atto di responsabilità sportiva.
Quel gesto non cancella la sua infinita grandezza: anzi, esalta l’umanità dell’imperfezione sportiva, intrisa di dignità e priva di alibi.
Il Brasile vince il suo quarto Mondiale. E proprio nel momento del trionfo, i verdeoro rendono omaggio a uno dei più grandi personaggi della storia dello sport: Ayrton Senna, scomparso appena due mesi prima sul circuito di Imola.
Lo striscione “Senna, abbiamo accelerato insieme, il quarto titolo è nostro!” mostrato da Dunga e compagni durante il giro d’onore diventa una delle immagini simbolo di USA ’94.
Forse perché è proprio quell’atto d’amore e riconoscenza verso un semidio nazionale a restituire un po’ di luce a un Mondiale segnato dal buio delle sciagure e delle tragedie.
Racconto a cura di Giuseppe Vassallo