Nicola de Simone, l'eroe di due città
La provincia del calcio italiano ha da raccontare tantissime storie. Storie di riscatto, di passione pura, di tifoserie calde, di calciatori che con una gavetta lunghissima arrivano nelle categorie che contano o rimangono come bandiere eterne di compagini di periferia. E poi ci sono quelle storie più nascoste, umili, ma piene dello spirito più puro che solo questo sport può regalare. E silenzioso e umile lo era anche un ragazzo originario di Castellammare di Stabia, unico figlio maschio tra cinque sorelle, cresciuto su una bicicletta, poi tramutatasi in Vespa 50, con la quale aiutava la famiglia a vendere formaggi per strada.
Nicola De Simone è nato il 13 gennaio 1954, ama la sua città, cui è legato da un affetto sentito, desidera di poterla portare lontano, vuole rappresentarla con orgoglio e senso di appartenenza. E come meglio ottemperare a questa sua missione, in una città che ha visto nascere Salvatore Di Somma, Roberto Amodio e Raffaele Ametrano, se non col calcio? Tra una consegna casearia e l’altra, Nicola gioca a pallone nell’oratorio salesiano del Solaro, e sente che quella è la vita che vuole vivere, il sogno che vuole inseguire.
La timidezza non lo rende debole agli occhi degli altri, anzi lo fa apprezzare, perché De Simone scopre presto che il suo ruolo è quello di inseguire gli avversari e rubargli il pallone, di non farli passare e non attaccare la porta. Non ha bisogno di far sentire la sua presenza chiamando l’uscita alta come un portiere, o il passaggio smarcante come un attaccante esige. Capisce che il suo posto in campo è quello del difensore puro, del marcatore taciturno ma assolutamente efficace e decisivo, duro ma corretto, lo stopper. Il suo compito è evitare i gol, non segnarli, è “ammutolire”, non fare esultare di gioia l’avversario, in particolare il centravanti.
Cresciuto con lo spirito di sacrificio cucito addosso, col coraggio di girare in sella per tutta la città ancora ragazzino, per quelle consegne da fare con precisione e velocità, gentilezza e serietà, porterà gli stessi princìpi sul rettangolo verde. Princìpi che non lo fanno passare inosservato.
L'opportunità di una carriera
Il piccolo Nicola cresce come un giovane di belle speranze, e a undici anni viene notato dalla seconda squadra più importante di Castellammare di Stabia, la Libertas Stabia, all’epoca capace di sfornare nuove leve interessanti. Qui trascorre cinque anni, tra il 1965 e il 1970, forgiandosi bene e distinguendosi per il suo impegno sempre alto. Per la stagione 1970/71, arriva una chiamata importante: la Fiorentina vuole scommettere su di lui, e lo tessera per il proprio settore giovanile.
E in quell’anno, la squadra viola vince il campionato Primavera. Come compagni De Simone avrà a fianco futuri campioni come il portiere Massimo Mattolini e il centrocampista Domenico Caso. La sua avventura a Firenze durerà tre anni, con la trafila dai Giovanissimi alla Primavera, senza però riuscire a esordire in prima squadra. E nella città sulle rive dell’Arno conoscerà la donna della sua vita, Adriana, che sposerà nel 1978. Nel 1973, viene ceduto alla Sessana, società casertana militante in Serie D, dove giocherà abbastanza frequentemente per due anni, mentre nel 1975 passerà al Benevento, che milita in C, compagine in cui non troverà spazio.
Ritorno alle origini
Nello stesso anno però, si apre un portone, quello agognato e sperato da tutta la vita: la Juve Stabia. Nicola De Simone approda in quella che è casa sua, tanto che anche amici e parenti possono seguirlo allo stadio, e fa il profeta in patria: diventa un pilastro della difesa, gioca da titolare il campionato di Serie D 75/76, che vede i gialloblù piazzarsi in un lusinghiero terzo posto, con la seconda miglior difesa del girone G.
De Simone si rivela un marcatore elegante, pulito, non è mai rude da venir sanzionato, contiene l’impeto nelle chiusure, mostrandosi sempre aggressivo ma corretto. E nel 1976/77, stavolta nel girone H, la Juve Stabia fa anche meglio, arrivando seconda a soli due punti dalla promossa Pro Cavese, con il terzo reparto difensivo meno battuto. L’apporto di quello che ormai è l’idolo locale, stabiese DOC, è sotto gli occhi di tutti, si è anche tolto la soddisfazione di realizzare sei gol in questi due anni.
C’è rammarico per aver sfiorato, assaporato così da vicino il gusto della promozione in Serie C, di riportare la sua squadra e la sua gente verso traguardi alti, verso la terza serie che era stata raggiunta per la prima volta dalle vespe solo nella stagione 1971/72. Per Nicola però, il sogno non è affatto sfumato: le sue partite, il suo essere ligio al dovere, ancora una volta, lo aiutano per effettuare il salto di categoria. C’è una squadra del sud, che sta costruendo in quegli anni un organico di tutto rispetto, pronta a dire la sua con carattere e determinazione. Questa società è il Siracusa, che cambierà per sempre la sua vita.
Dal gialloblù all’azzurro: la consacrazione
Nell’estate del 1977, viene ufficializzato l’approdo di Nicola De Simone, ventireenne, come nuovo difensore aretuseo. Le prospettive sono ottime: il presidente Antonio Fichera è ambizioso, convinto che il girone C vedrà la sua società protagonista e i nomi di punta dell’organico sono Antonio Bellavia, portiere nativo di Asmara e con un passato al Palermo (6 presenze in A, poi tanta Serie B); Siro D’Alessandro, centrocampista cresciuto nel Napoli e che aveva militato nella Juve Stabia; e capitan Amedeo Crippa, terzino milanese cresciuto nell’Inter, già da sette anni nelle fila siracusane.
De Simone viene lanciato con coraggio dal mister Alvaro Biagini, esordendo alla prima da terzino destro (ruolo cui occasionalmente si prestava) allo stadio Vetusti contro la Salernitana. La partita termina 0-0, e gli attaccanti granata trovano pane per i loro denti, col giovane difensore che risulta essere uno dei migliori in campo. De Simone conferma il suo rendimento, riceve solo due gialli in tutto il torneo e risulta un aiuto fondamentale per i suoi compagni di reparto. Il campionato del Siracusa, però, è sotto ritmo, deludendo le aspettative: l’attacco, specie in trasferta, è abulico e la squadra viene risucchiata nei bassifondi della graduatoria, nonostante una difesa che subisce solo trentuno reti, media da metà classifica e anche più su, per un girone con venti squadre.
Sono troppi gli 1-0 pro e contro (ben undici) mescolati con i pareggi per 0-0 (addirittura dodici). Biagini viene esonerato, arriva alla guida tecnica Paolo Lombardo, che conduce i suoi verso un sedicesimo posto, oro per come si era messa la stagione. Ma il problema sorge con la riforma del semiprofessionismo, che dal 1978 frammenta la C in C1 e C2. Le retrocessioni, o meglio, i declassamenti per formare la C2 sono addirittura otto per girone, e gli aretusei si ritrovano così nella terza serie più bassa, assegnati nel raggruppamento D.
Per la stagione 1978/79 il Siracusa cambia ancora pelle. Arriva un nuovo presidente, Carlo Cassone, che chiama in panchina un ex giocatore di Torino, Catania e Lazio, Carlo Facchin. Il mercato è spumeggiante, e per il pacchetto difensivo viene prelevato Luciano Favero, futuro terzino della Juventus, mentre a centrocampo il rinforzo è di alta categoria: Giorgio Biasiolo, ex Milan, scende dalla B, dove giocava per il Lecce, e si accasa con gli azzurri; approda anche l’ex Lecce Ubaldo Biagetti. La difesa diventa davvero un fortino, De Simone si riconferma al massimo del rendimento, solo due ammonizioni come l’anno precedente, coadiuvato poi da Favero, Crippa e Nunzio Restivo, coi gol del nuovo bomber Walter Ballarin e le geometrie di classe di Biasiolo, gli aretusei danno vita a un campionato avvincente, dopo una partenza stentata. Le vittorie contro Marsala e Trapani sono di prestigio in quanto ottenute in derby storici, ma De Simone e compagni stanno facendo faville anche nella Coppa Italia Semiprofessionisti.
Il girone eliminatorio lo hanno concluso al primo posto, a punteggio pieno, contro Ragusa e Vittoria. Nella fase a eliminazione diretta, regolano prima il Marsala (2-1 e 0-0) poi la Reggina che militava in C1 (1-0 e 3-0). Si sbarazzano anche del Sorrento ai quarti (2-0 e 0-0) e, in semifinale, dell’ALMAS, che dopo il 3-0 subìto a Siracusa, spaventa i leoni con l’1-3 del ritorno, unica sconfitta (indolore) nel torneo per la truppa di Facchin. Sono solo cinque i gol subìti nella Coppa Italia Semiprofessionisti, la squadra siciliana non aveva mai colto una finale in un torneo di questo tipo. Nicola De Simone e compagni sentono l’impresa a un passo.
Siamo al 2 maggio 1979, e può riprendere la marcia in Serie C2, quattro giorni dopo, con la vittoria ai danni del Potenza. La settimana successiva, i siciliani sono impegnati in trasferta a Palma Campania, contro la Palmese in piena lotta per non retrocedere.
La tragedia di Palmese-Siracusa
È il 13 maggio 1979, trentesima giornata, dopo questa mancheranno quattro partite alla fine e il Siracusa non vuole perdere di vista il Rende in vetta. La sfida è sulla carta spigolosa, i campani hanno bisogno disperato di punti, la classifica in basso è davvero corta. Gli azzurri sono nella loro formazione tipo, Nicola De Simone è come sempre titolare, in stagione è la sua quarantunesima presenza, ha saltato solo il derby col Trapani. Siamo al tredicesimo minuto, calcio d’angolo per la Palmese. Qui i racconti si fanno difficili da ricostruire, i tifosi siracusani presenti erano appena cinque e le cronache sono incerte. Sembra ci sia stato un batti e ribatti, che porta uno degli avanti di casa, Ferrari, a provare una rovesciata. Allo stesso tempo, si alza di testa proprio De Simone per contrastarlo.
La contemporaneità delle azioni dei due giocatori è tale che probabilmente nessuno dei due si rende conto che quanto stanno per tentare è pericoloso, forse anche per una probabile spinta di un altro calciatore della Palmese ai danni dello stopper siracusano, per disturbarne la giocata difensiva. L’impatto del piede di Ferrari sulla faccia di De Simone è grave, il difensore cade e pare abbia sbattuto la nuca per terra, o forse contro una recinzione, non è chiaro. Il campo di gioco, tra l’altro, non ha un manto erboso granché folto. La situazione appare subito disperata, Nicola rimane giù e ha perso i sensi. Arriva la barella e poco dopo l’ambulanza. Nonostante ciò, la partita va avanti, all’epoca non c’erano regole precise in caso di incidenti gravi occorsi ai calciatori in campo, e l’arbitro Ronchetti di Modena non ritiene idonea la sospensione. Il Siracusa perde 2-1, ma questo non conta, certamente e soprattutto per i compagni di De Simone, con i pensieri rivolti alla gravità di quanto accaduto. Intanto il giovane difensore è stato portato all’ospedale Cardarelli di Napoli, dove si evince un trauma cranico con lacerazione, che necessita di un delicatissimo intervento chirurgico.
Nicola va in coma, un’agonia terribile di diciassette giorni, che lo porta purtroppo alla morte il 30 maggio, a soli 25 anni. Le lacrime di parenti ed amici, increduli per la tragedia che si è consumata, il dolore della moglie Adriana, che aveva sposato Nicola nell’ottobre precedente, ora lasciata con una bimba in grembo, Sara, la quale vedrà la luce quattro mesi dopo senza essere amata e accolta dal suo papà, il cordoglio e la disperazione dei compagni di squadra, del tecnico Facchin e di tutta la società, affezionati al ragazzo, lodato per i suoi limpidi valori sportivi e umani. I funerali si svolsero il 3 giugno a Castellammare di Stabia, la sua città, e commovente fu il silenzioso arrivo di ventitré autobus da Siracusa, per dare un ultimo saluto al loro amato calciatore, alle cui esequie parteciparono più di cinquemila persone. Dopo essere andati al cimitero, i siracusani si dirigono a Sorrento, la propria squadra è impegnata in campionato, e a loro si unirà un pullman di tifosi della Juve Stabia. Un gesto non casuale.
Gli aretusei pareggiano in zona Cesarini, poi nell’ultima giornata battono la Casertana tra le mura amiche, consolidando il secondo posto che vuol dire promozione in Serie C1. Tutti avranno guardato il cielo e pensato che per quel risultato qualcuno da lassù aveva dato una mano. C’è ancora un ultimo traguardo da raggiungere, la Coppa Italia Semiprofessionisti. Il Siracusa gioca in casa la finale contro la Biellese, e la gara si rivela molto complicata ed equilibrata, ma all’89’ Walter Ballarin, con una semirovesciata spettacolare, regala una gioia indescrivibile ai ben 9000 sostenitori presenti, tra cui l’ex arbitro internazionale Concetto Lo Bello, siracusano DOC, e tutti in preda alla gioia osservano capitan Crippa alzare al cielo la Coppa, nell’annata più bella della storia del Siracusa, coronata da due sogni, ma anche da una immensa tragedia. Nemmeno in quella circostanza qualcuno aveva dimenticato Nicola De Simone, coi tifosi che sapranno sempre di dovere anche al loro stopper quella stagione grandiosa, che la giocò praticamente per tutta la sua durata in modo esaltante. Inoltre, i giocatori azzurri devolverono i loro premi partita del campionato e della coppa alla signora Adriana, la vedova di Nicola, in un gesto di solidarietà colmo pure di un alto valore simbolico, come a dire: “Nicola, tutto questo è grazie a te”. Ma i tributi non sono finiti qui.
La memoria dell’idolo di due città
Quell’autobus di stabiesi che si unisce ai ventitré siracusani nella trasferta di Sorrento è il segnale della nascita di un’amicizia profonda. Le due tifoserie sono gemellate sostanzialmente da quel 3 giugno 1979, ma ufficializzeranno tutto nel 1984, col diffondersi dei gruppi ultras allo stadio aretuseo. Da allora è nato Sirastabia, il nome coniato per sancire l’amicizia e la fratellanza tra le due tifoserie in ricordo di Nicola De Simone. E proprio lo stadio siracusano, sito nel quartiere Borgata, è stato rinominato Nicola De Simone, lo stesso anno della scomparsa del calciatore.
Negli anni 80 sono sorti Siracusa Club in onore dello sfortunato calciatore, come il Club Nicola De Simone e il Club Azzurro Nicola De Simone, che si sono poi fusi e prendono posto da sempre in gradinata, con una bandiera che riporta la foto dello sfortunato giocatore. A Castellammare di Stabia è invece stata fondata una scuola calcio a suo nome e gli è stata dedicata una via che porta allo stadio Romeo Menti. Una scuola calcio è stata fondata alla sua memoria in tempi recenti anche a Siracusa, e il 30 maggio 2022 essa si è affiliata alla Juve Stabia. Il ricordo è talmente vivo che persino le due città sono gemellate, dal 21 dicembre 2020. Purtroppo, il 10 maggio scorso gli ultras aretusei, per motivi di tafferugli con i tifosi del Real Casalnuovo, si sono sentiti traditi dagli stabiesi, a loro detta rei di non averli avvertiti dei possibili scontri con una tifoseria geograficamente vicina a loro. Per questo uno dei gemellaggi più lunghi della storia, dopo 45 anni, è stato sciolto, anche se entrambe le parti hanno assicurato di tramandare il nome e la storia del loro ragazzo.
Epiloghi che francamente non vorremmo raccontare, perché di quel giovane alto, fiero, coi capelli ondulati al vento, stopper eccellente, riservato e generoso con tutti, deve rimanere solo una testimonianza vera, sentita, che vada oltre il calcio e le rivalità. Deve restare impresso il carattere in campo, il temperamento nella marcatura e l’impegno, il coraggio mostrato in ogni partita, che avrebbe potuto portarlo lontano, ed espresso pure in quell’intervento di testa, con cui ha sacrificato sé stesso per difendere ancora una volta la porta del suo Siracusa, come aveva salvaguardato quella della Juve Stabia, la missione di tutta la sua breve ma gloriosa e indimenticata vita. Per sempre un solo nome, due città: Nicola De Simone, Sirastabia.
Racconto a cura di Carmelo Bisucci