Angel Di Maria, sulla Sierra col Fideo
Nella zona nord di Rosario, nel barrio la Ceramica, c’è un piccolo cancello con una scritta “El Torito” al centro. Il cancello dà accesso ad un campo da calcio malmesso con una piccola baracca adibita a spogliatoio. Quel campo è il teatro dei sogni di un giovane Angel Fabiàn Di Maria.
Angel inizia a giocare a calcio grazie ad un medico che, per placare la sua vivacità, consiglia ai genitori di fargli fare qualche sport. Il calcio, si sa, è parte integrante del dna di qualsiasi argentino insieme alla famiglia e al mate e, perciò, mamma Diana e papà Miguel iscrivono il piccolo Angel tra le file del Torito.
L’estro, la frenesia e l’irrequietezza diventano da subito gli ingredienti alchemici fondamentali di quella “pozione” di talento che il piccolo sembra aver bevuto fin dalla nascita. Viene subito notato dagli osservatori del Rosario Central che decidono di “rubarlo” al Torito.
Il passaggio nelle giovanili del Central è un aneddoto curioso che affresca perfettamente la realtà modesta dei suoi esordi: il passaggio di “proprietà” avviene in cambio di 26 palloni che, secondo la “leggenda”, non sono mai stati consegnati.
Sulle orme del mito
Per capire cosa significa, per un rosarino, giocare nel Central, è necessario conoscere il legame indissolubile tra il calcio e la città. Rosario è la città dove è nata la bandiera argentina, creata, secondo la tradizione, nel 1812 da Manuel Belgrano (di origini liguri). Al centro della bandiera, in corrispondenza della banda bianca, c’è il Sol de Mayo (simbolo dell’indipendenza dalle dominazioni spagnole) ma potrebbe esserci chiaramente un pallone da calcio. Rosario è, infatti, una sorta di microcosmo in cui questo sport rappresenta molto di più di un semplice passatempo: è parte integrante dell'identità collettiva, una passione che si intreccia con la storia, la cultura e persino la politica della città.
Immaginate Rosario come una città divisa letteralmente in due: da una parte i “Canallas” sostenitori del Central, dall’altra i “Leprosos”, tifosi dell’altro club più importante della città, il Newell’s Old Boys. I soprannomi delle due tifoserie sembrano derivare dalla mancata partecipazione del Central ad una partita di beneficenza organizzata dal Newell’s per i lebbrosi. Le due tifoserie, da quel momento rispettivamente “canaglie” e “lebbrosi”, si dividono i territori emozionali del tifo rosarino.
“Rosario Central no tiene historia. Tiene mitología” (“Il Rosario Central non ha storia. Ha mitologia.”) diceva Roberto Fontanarrosa, fumettista, scrittore, intellettuale, uno dei principali figli illustri di Rosario (Messi, Ernesto Che Guevara, Josè Valdano, El Trinche Carlovich tra gli altri). Come diceva Fontanarrosa, la città è permeata di leggende e tradizioni come quella, tanto celebre quanto bizzarra, di rievocare ogni anno, alle 19:09 del 19 dicembre, a partire dal 1972, la Palomita di Poy, cioè l’iconico goal di Aldo Pedro Poy contro il Newell’s nella semifinale del Campionato Nazionale Argentino, vinto poi dal Central.
È in questo contesto così follemente appassionato che Di Maria, ormai chiamato El Fideo, cioè spaghettino, a causa del suo fisico quasi filiforme, si forma calcisticamente. La famiglia Di Maria compie enormi sacrifici per far giocare Angel: papà Gabriel riempie sacchi di carbone nel giardino di casa, mamma Diana lo accompagna al campo su una bicicletta scalcagnata. Ha il viso annerito dal carbone e lo sguardo di chi sogna ad occhi aperti quando viene notato da Don Angel Tullio Zof, allenatore della prima squadra del Centrale e autentico totem del calcio rosarino.
Zof è incantato dalla personalità del Fideo, dalla sfrontatezza con cui dribbla sempre in direzione della porta e decide di convocarlo in Prima Divisione. Il 14 Dicembre del 2005 esordisce in prima squadra a Buenos Aires contro l’Indipendiente. Il Fideo entra nel secondo tempo con la leggerezza di un veterano: chiede palla ai compagni, non ha paura di tentare il dribbling, vede in anticipo lo spazio per la giocata. In due sole stagioni diventa chiaro a tutti che “il magrolino” non è un talento comune e il Central, che non naviga in acque tranquille, decide di monetizzare cedendolo al Benfica.
Transatlantica
Lasciare l’Argentina, la propria famiglia, gli amici di una vita non è facile per un giovane di diciannove anni. Angel inizia subito bene ma, nonostante la vittoria alle Olimpiadi di Pechino grazie ad un suo goal in finale contro la Nigeria, non trova continuità: sente psicologicamente il peso della distanza, dei sacrifici dei suoi genitori, teme che l’avventura europea possa essere un fallimento e pensa, più volte, ad un possibile ritorno in Argentina.
Determinante è l’inizio della relazione con Jorgelina e il suo arrivo in Portogallo. Da quel momento inizia a giocare titolare, a segnare - è per lei che nasce la celebre esultanza col cuore - a trascinare un Benfica non povero di campioni, tra cui i connazionali Saviola e Aimar, alla vittoria del campionato. Di María è uno dei protagonisti assoluti del successo con 44 presenze totali e 10 gol tra campionato e coppe. Il Benfica è la scuola in cui apprende le sfumature tattiche del calcio europeo: Jorge Jesus lo aiuta a migliorare nella fase difensiva e a gestire meglio le sue corse in fase offensiva, trasformandolo in un esterno completo, capace di coprire tutta la fascia e di essere decisivo in entrambe le fasi del gioco.
Maradona, in qualità di commissario tecnico della nazionale Argentina, se ne invaghisce. È lui a dare al Fideo l’occasione di vestire la camiseta dell’Albiceleste in occasione dei Mondiali del 2010 in Sud Africa. La stagione, nonostante la disfatta contro la Germania ai quarti di finale, consacra Di Maria tra i giovani al vertice del calcio europeo e mondiale. Nell’estate 2010 il Real Madrid di Mourinho, fresco di triplete con l’Inter, lo acquista dal Benfica.
“Non avevo dubbi dal punto di vista fisico. Non avevo dubbi dal punto di vista tecnico. Quello su cui stavo riflettendo, prima di prendere la mia decisione, era la personalità e, quel ragazzo, non aveva paura” dice Josè Mourinho nella serie documentario “Di Maria: romper la pared”, uscita su Netflix in questi giorni.
Il Fideo diventa da subito un elemento imprescindibile per l’allenatore portoghese che lo schiera come ala destra in un tridente letale e spettacolare completato da Cristiano Ronaldo come ala sinistra e Benzema o Higuain come centravanti. Mourinho migliora ulteriormente il gioco di Angel che diventa un’autentica spina nel fianco per le difese avversarie. Di Maria ha la velocità di un’ala, la capacità di dribblare in velocità, di andarsene nello stretto, di seminare in campo aperto e, contemporaneamente, cosa che lo rende un giocatore raro nel panorama mondiale, di leggere il gioco e servire assist come un trequartista puro. Ha una velocità nel gioco di gambe che ipnotizza gli avversari. Col piede sinistro, poi, è in grado di fare qualsiasi cosa: lanci d’esterno, tiri da distanza siderale, passaggi millimetrici, goal al volo e rabone, uno dei suoi colpi più iconici. Il suo contributo è fondamentale per la vittoria della Copa del Rey nel 2011 e per il ritorno alla vittoria in Liga con il record storico di 100 punti nella stagione 2011-2012.
Florentino Perez, presidente del Real Madrid, punta, però, alla vittoria della Champions. Chiude, perciò, il contratto con Mourinho, assume Carlo Ancelotti come allenatore dei Blancos e conduce una campagna acquisti faraonica. Il cambio di allenatore e l’arrivo di Bale tra le fila del Real, porta a delle piccole incomprensioni tra Angel e Ancelotti. Di Maria non prende bene le ripetute sostituzioni e le mancate titolarità di quel periodo ma, nonostante tutto, trova il modo di chiarirsi con Ancelotti che inizia a schierarlo nell’insolito ruolo di mezzala di centrocampo. El Fideo si adatta benissimo a giostrare più palloni nella zona nevralgica del campo diventando, poi, a tutti gli effetti, nonostante i ripetuti infortuni, un elemento chiave. La squadra di Ancelotti vola: funziona tutto alla perfezione in campo e fuori e il risultato è la vittoria della Champions League, la decima per il Real Madrid.
Allucinazione collettiva
"Di Maria è sempre stato una cometa scintillante alla quale non abbiamo mai prestato la dovuta attenzione; forse perché intanto, nel firmamento, imperversavano tempeste solari. " dice Fabrizio Gabrielli su l'Ultimo Uomo.
Al Benfica gioca all'ombra di Aimar, al Real di Cristiano Ronaldo e Bale, al PSG di Neymar e Messi. È, per anni, un giocatore determinante come pochi, il più determinante dopo i mostri sacri citati precedentemente, eppure, la percezione comune di tifosi e addetti ai lavori è totalmente alterata.
Tutto inizia con l'annata maledetta in Premier League che sembra dare la prima molecola di ossigeno alla malsana idea che El Fideo sia una meteora la cui luce ha smesso di brillare. L’esordio in Inghilterra, in realta, è da sogno: Di Maria è praticamente sempre il migliore in campo nelle sue prime apparizioni con la maglia dei Red Devils. La storia, però, è un continuo susseguirsi di corsi e ricorsi storici e l’esperienza inglese del Fideo è un autentico deja vu.
Ancora una volta Van Gaal entra in contrasto con un giocatore argentino: era successo con Riquelme, con Demichelis, con lo stesso Messi (tramite numerose dichiarazioni al vetriolo del tecnico olandese). La deludente avventura inglese si conclude a fine anno ma gli strascichi di quella stagione deludente marchiano a fuoco la sua carriera. Nonostante il trasferimento al PSG, con cui vince ben 18 trofei, riconfermandosi come fuoriclasse indiscusso, la sua aura sembra aver perso d’intensità, complici, anche e soprattutto, le delusioni in maglia Albiceleste.
Per capire quanto sia profonda, irrazionale e spropositata la “macchina del fango” che riceve negli anni El Fideo, basta pensare che stampa, giornalisti e media vari ne chiedono, più volte, l’esclusione dalla nazionale. Una vera e propria allucinazione collettiva: il Fideo è tecnicamente e tatticamente un titolare inamovibile della nazionale, è leader in campo e fuori, è quasi sempre tra i migliori. Manca, soltanto, quel qualcosa capace di regalare quel trofeo che gli argentini desiderano da troppi anni.
È una maledizione che sembra tormentare tutti i più grandi talenti della sponda argentina del Rio de la Plata dal dopo Diego. Si sono succeduti, come leader tecnici, campioni del calibro di Riquelme, Crespo, Ortega, Pablo Aimar, Batistuta e tutti si sono scontrati con questa vera e propria maledizione.
Il Mondiale 2014 sembra essere l’occasione giusta per rompere il sortilegio: l’Argentina ha una squadra di grande talento, Messi è in stato di grazia e la sintonia con Di Maria è devastante per qualsiasi avversario. Di María si mette in evidenza nella fase a eliminazione diretta, in particolare negli ottavi di finale contro la Svizzera, dove segna il gol decisivo nei tempi supplementari grazie a un assist di Messi. Purtroppo, però, subisce l’ennesimo infortunio muscolare nei quarti di finale contro il Belgio che gli impedisce di giocare le semifinali e, soprattutto, la finale persa contro la Germania.
L’anno successivo Di María e l’Argentina hanno l'opportunità di rifarsi in Copa América. Ancora una volta crollando in finale, questa volta contro i padroni di casa del Cile. Il destino sembra accanirsi di nuovo contro di lui. Durante la finale Di María si infortuna nuovamente ed è costretto ad abbandonare il campo in lacrime. La finale, infatti, termina 0-0 dopo i tempi regolamentari e supplementari, e viene decisa ai calci di rigore. Il Cile vince 4-1, e l’Argentina manca ancora una volta il titolo.
Nel 2016, Di María e l’Argentina cercano ancora una volta di vincere la Copa América Centenario, un'edizione speciale per celebrare i 100 anni del torneo. Dopo un cammino impressionante che vede l'Argentina arrivare ancora in finale, la squadra crolla nuovamente in finale contro il Cile e, ancora una volta, il Fideo è vittima di un infortunio alla vigilia della gara conclusiva.
Per Di María e i suoi compagni, la sconfitta è devastante. L’Argentina ha perso tre finali importanti in tre anni (due di Copa América e una di Mondiale), e la pressione sui giocatori, in particolare su Lionel Messi, diventa così insostenibile da dichiarare anzitempo il suo addio alla nazionale – decisione che poi sarà revocata.
La vetrina del Mondiale 2018 in Russia è un altro capitolo della dolorosa maledizione Albiceleste. Di María gioca una delle sue migliori partite con la nazionale agli ottavi contro la Francia, segnando un magnifico gol da fuori area, uno dei più belli del torneo, per il momentaneo pareggio sull'1-1. Tuttavia, la Francia, guidata da un giovane Kylian Mbappé, prevale 4-3.
El ultimo baile
La generazione di fenomeni sembra ormai destinata a non capovolgere il corso degli eventi quando, a sorpresa, sulla panchina della nazionale arriva Luis Scaloni. Il tecnico argentino, circondandosi di vecchie glorie come Aimar, Ayala, Samuel, crea, dalle ceneri delle delusioni, un gruppo solido e coeso. Sono la forza del gruppo, le disfatte subite, le critiche a cementificare la fratellanza in quella che viene chiamata La Scaloneta.
Nel 2021 l’Albiceleste torna a vincere un trofeo, eliminando il Brasile in finale di Copa America. Nello stesso anno annichilisce l’Italia nella finalissima tra Campioni d’America e Campioni d’Europa. Il 2022 è, poi, l’anno in cui i sogni diventano realtà: l’Argentina, al termine di un mondiale incredibile, diventa Campione del Mondo. Copa America, Finalissima, Mondiali: tre finali, tre gol di Di Maria, tre trofei.
L’abbraccio in lacrime tra il Fideo e Messi al termine di quella che è, senza ombra di dubbio, la finale più bella di sempre è simbolicamente la chiusura di un cerchio apertosi alle Olimpiadi del 2008, quando Di Maria aveva deciso la partita proprio su assist di Messi. E’ il calcio che reclama a gran voce la sua insita giustizia, è il verso giusto della storia, la parola fine ad una storia di delusione, rivincita e amicizia.
Ma, a volte, poche a dir la verità, la storia ha finali migliori di quelli che già sembrano pura perfezione: è il 15/07/2024, l’Argentina gioca la finale di Copa America contro la Colombia. Al minuto 112’ Lautaro Martinez, capocannoniere della competizione, segna il gol vittoria. Al minuto 117’ Di Maria esce dal campo, per l’ultima volta, con la maglia Albiceleste. Un finale degno delle migliori favole per un addio sentito da tutta la nazione, anche da chi, per anni, aveva ingiustamente “chiesto la sua testa”.
Nel momento in cui sto scrivendo Di Maria è nuovamente al Benfica dopo una breve e non soddisfacente esperienza alla Juventus. I palloni che sta toccando sono, potenzialmente, gli ultimi della sua carriera. Contemporaneamente, a Miami, Lionel Messi, sta regalando le ultime serpentine su un campo di calcio. Stiamo assistendo agli ultimi regali del più grande giocatore dell’ultimo ventennio (senza scomodare “la storia”) e dell’ala più forte del calcio moderno.
Le giocate, le esultanze, i colpi di genio, le vittorie, le sconfitte che ci regaleranno in questa stagione sono momenti da non perdere. Sono i passi di quello che è “el ultimo baile” (l’ultimo ballo), un tango passionale che ci ha incantato, stupito, migliorato e che ha cambiato, per sempre, la storia del gioco.
Racconto a cura di Emilio Picciano