Vitor Baia, il porto sicuro
Titanic. In America esce il brano We Are The World, scritto e cantato da Michael Jackson e Lionel Richie, assieme ad uno straordinario parterre-de-roi di artisti statunitensi, mentre il mondo del calcio è scosso da una doppia tragedia: l’incendio nello stadio del Bradford e la strage dell’Heysel, poco prima del fischio d’inizio della finale di Coppa dei Campioni tra Liverpool e Juventus.
Nel 1985 all’allora sedicenne Vitor Manuel Martins Baia viene consigliato di smettere con il gioco del calcio, a causa di un brutto infortunio alla mano che, se non curato, rischia di provocargli una permanente invalidità. Vitor si sta splendidamente destreggiando come portiere nelle giovanili del Porto, dove entra alla tenera età di 13 anni. Ma, al di là dell’infortunio, e al netto di eccellenti doti di reattività e acrobazia, qualcuno nutre dei dubbi sul futuro del ragazzo nativo di Sao Pedro de Afurada, soprattutto per il suo mancato “sviluppo verticale” (non supererà mai i 185 centimetri di altezza, che per un portiere che ambisce al professionismo sono decisamente pochini).
La fortuna, e l’incontro con determinate figure chiave nel corso della sua vita, faranno sì che Vitor Baia i guanti al chiodo li appena solo nel 2007, 22 anni dopo. Con una bacheca personale che si è man mano riempita di 33 trofei. E con la certezza di aver messo in sicurezza il destino del Porto, prima, e della nazionale portoghese subito dopo.
Nella mischia
La prima figura chiave per l’esplosione della carriera di Vitor si chiama Joaquim Lucas Duro de Jesus, meglio conosciuto come Quinito. Allenatore chiamato a guidare il Porto nel 1988 per un breve interregno.
Quinito perde infatti il portiere titolare dei Dragoni, l’impronunciabile polacco Jozej Mlynarczyk, per una brutta frattura alla spalla. Per sostituirlo chiaramente si dà fiducia al secondo Zè Beto, per il quale saranno tra l’altro le ultime presenze della carriera, dal momento che due anni più tardi un terribile incidente d’auto se lo porterà via.
Come nuovo secondo portiere il tecnico decide di attingere dal sempre florido settore giovanile del club lusitano, ed ecco che viene convocato per la prima volta tra i “grandi” il giovane Vitor Baia. Prima l’esordio in campionato, poi quello in Europa, in Coppa Uefa, contro i rumeni del Flacara Moreni.
In poco tempo, soprattutto dopo il ritorno sulla panchina del Porto di Artur Jorge, campione d’Europa con il club nel 1987, il ragazzo diventa titolarissimo nello scacchiere dei Dragoni, tanto da rinunciare alla convocazione del Mondiale Under 20 per rimanere a difesa della rete del Porto.
Fino al 1996 Vitor conquista 5 campionati di prima divisione portoghese, e mette a referto un record di imbattibilità lungo ben 1191 minuti, resistito fino al 2015.
Mala suerte!
Nel 1994 sulla panchina del Porto arriva quella vecchia volpe di Bobby Robson, ex allenatore dell’Ipswich dei miracoli, oltre che della Nazionale Inglese fino a Italia 90. Il vecchio Bobby rimane impressionato dalle doti di Vitor Baia, tanto da decidere di portarlo con sé, nell’estate del 1996, quando il tecnico inglese assume la guida del Barcellona.
Quella che, per Vitor, assomiglia tanto all’occasione della vita, si trasforma ben presto in un incubo a occhi aperti. Prima i problemi al ginocchio, che ne limitano, e di parecchio, l’utilizzo nelle prime stagioni.
Poi pure le cervellotiche decisioni di Louis Van Gaal, successore di Robson, che gli preferisce prima l’olandese Ruud Hesp, talvolta addirittura Francesc Arnau, quasi come avesse un conto personale aperto con l’estremo difensore portoghese, e senza da questi venire in alcun modo pagato in dividendi in termini di buone prestazioni.
Meglio tornarsene a casa, a questo punto.
Nel 1998 Vitor ottiene il tanto agognato ritorno in prestito al club che lo ha reso grande. Al suo arrivo a Oporto rinuncia alla maglia numero 1, prende la 99 e promette ai tifosi di essere tornato per restare.
Il disastro mondiale
Nella valigia che compie il viaggio da Barcellona a Oporto trovano purtroppo spazio anche i tanti problemi fisici che lo attanagliano da diversi anni. Il ragazzo però si è posto un obiettivo: i Mondiali di Corea e Giappone del 2002. Ed è disposto a tutto pur di salire sull’aereo insieme ai vari Figo, Rui Costa, Simao, Sergio Conçeicao e Nuno Gomes (la cosiddetta “generazione d’oro” del calcio portoghese).
Ha la fiducia del commissario tecnico Antonio Oliveira. Tanto che bastano un paio di partite con la squadra B del Porto per ottenere il pass di convocazione. Non solo: il ct lo lancia addirittura come titolare, panchinando Ricardo, portiere del Boavista.
La spedizione nipponica del Portogallo si rivelerà un fallimento totale. L’eliminazione arriva già nella fase a gironi, per mano oltretutto di avversari discretamente abbordabili per una rosa con tutto quel talento: Corea del Sud, padrona di casa, e Stati Uniti.
La squadra lusitana, al ritorno in patria, finisce sul banco degli imputati, e la panchina di Olivera salta in favore di Felipao Scolari. L’unico a salvarsi, secondo l’opinione pubblica, nella campagna asiatica è proprio Vitor Baia, finalmente ritrovato.
Gli anni d'oro
La delusione mondiale dà la spinta, a Vitor e a molti compagni di squadra, per ciò che avviene di lì a breve.
Con Josè Mourinho alla guida, e Baia in porta, il Porto centra una clamorosa doppietta in due anni: Coppa Uefa prima, Coppa dei Campioni dopo.
Un’apoteosi che, se da un lato fa decollare definitivamente la carriera del tecnico che in poco tempo tutti riconosceranno come Special One, dall’altro riporta agli onori della cronaca proprio Vitor Baia, un’autentica sicurezza per i compagni.
Nel 2004 il Portogallo si appresta a disputare, da padrone di casa, il Campionato Europeo. E tra i tifosi lusitani è netta la percezione dell’”o adesso o mai più”. La generazione d’oro è chiamata a scrivere, una volta per tutte, il proprio nome nei libri di storia del football. Altrimenti verrebbero costantemente ricordati come una squadra “bella ma che non balla”.
Tutti vogliono Baia come titolare. Scolari però non ci sente. Il numero uno sarà Ricardo. Per Vitor non c’è nemmeno spazio nei 23. Una scelta che suscita una certa indignazione popolare.
A spazzarla via ci penserà il cammino di Pauleta e compagni, giunti fino alla finale prima di inchinarsi a una delle più belle favole del calcio contemporaneo, la Grecia di Otto Rehagel.
Il karma, dirà qualcuno. Poco male comunque per Vitor, che per altri 3 anni continuerà a rendere sicuro il Porto, ritirandosi da autentica leggenda.
Per le altre storie dei Portieri Leggendari del calcio, clicca qui