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Ulf Kirsten, il panzer della DDR

È stato, dopo Gerd Muller, il più letale predatore d’area che la Germania, unita e non, abbia mai visto. Ma la vera gloria non l’ha mai trovata. La storia di Ulf Kirsten, il panzer che buttò giù, a suon di gol, il muro di Berlino.
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Ulf Kirsten - Illustrazione di Tacchetti di Provincia

9 novembre 1989. Cade il muro di Berlino. È un fondamentale punto di svolta. Per la Germania, per l’Europa, per il Mondo in generale.

Un evento che fa scorrere i titoli di coda su un lungo periodo di tensioni, nate dalle ceneri della Seconda Guerra Mondiale e cresciute a livello esponenziale nel corso dei decenni seguenti.

Sarà un momento epocale per tutti i tedeschi, e per uno in particolare: è nato in Sassonia, a Riesa, e di mestiere fa l’attaccante. Anzi, il numero 9.

Si chiama Ulf Kirsten. E da quel momento in poi inizierà la sua conquista, a suon di gol, della nuova Germania unita.

Kirsten Die Schwarze

Proprio così: più che l’attaccante Ulf Kirsten fa il numero 9. Che più numero 9 non si può.

Molto forte fisicamente, nonostante una statura minuta (175 cm). Nel suo bagaglio tecnico ha tutto quello che un goleador di razza deve possedere per ambire ai più alti livelli: istinto, fiuto del gol, esplosività, colpo di testa, rapidità nello stretto, lettura dell’azione.

A giugno del 2003, quando il suo fisico sarà ormai troppo logoro per poter sopportare un’altra stagione da professionista, si ritirerà dopo aver messo in fila qualcosa come 260 gol. O giù di lì. Di questi, 35 li mette a segno con la maglia della Nazionale. Anzi, delle 2 Nazionali con cui ha giocato. La Germania Est, fino alla fatidica caduta del Muro. La Germania unita, Die Mannschaft, nel decennio seguente.

I suoi tratti somatici lo facevano sembrare più latino che teutonico. Con quei capelli neri (tanto che il suo soprannome è sempre stato “Schwarze”, ossia “Il Moro”), con quel vello che gli sbuca quasi sempre dal colletto della maglietta.

Di germanico però aveva tutto il resto. La determinazione, la forza di volontà, la precisione (soprattutto sotto porta).

Nuove frontiere

Il giorno in cui Berlino, e con lei tutta la Germania, torna ad essere unita, la carriera di Ulf Kirsten cambia radicalmente.

Fino a quel momento, infatti, ha sempre e solo vestito la maglia giallo nera della Dinamo Dresda. Gol segnati: tanti, fin da subito, fin dal suo esordio, nel lontano 1983. Titoli vinti: pochi, quasi nessuno.

La non eccessivamente competitiva Oberliga di quegli anni, ossia il campionato di calcio del settore est della Germania, è dominata in lungo e in largo dalla Dinamo Berlino, capace di mettere in fila ben 10 titoli consecutivi tra il 1979 e il 1988.

Un monopolio che la Dinamo Dresda interromperà nell’88, quando nel frattempo è esploso il proprio attaccante principe. Che riesce finalmente a mettere le mani su un trofeo, segnando caterve di gol a tutte le avversarie di quel mini-campionato.

Dopo la riunificazione, Ulf decide di mettersi alla prova nella neo-nata Bundesliga. Le offerte, per lui, non mancano. La più convincente pare essere quella del Bayer Leverkusen. La squadra del colosso farmaceutico. Che lo accoglie tra le proprie fila nel 1990, augurandosi di aver trovato il cannoniere in grado di far cominciare un lungo periodo di successi per i rossoneri

La Maledizione delle Aspirine

Sul fatto di aver trovato un bomber formidabile, ci avevano senza dubbio azzeccato, dal momento che Ulf Kirsten vince per ben 3 volte il titolo di capocannoniere del massimo campionato tedesco.

Quanto ai successi, beh…. Un giorno probabilmente si parlerà de “La Maledizione del Bayer Leverkusen”. Una squadra da sempre ricca di talento e ben allenata, ma quasi mai in grado di compiere quel salto in più tale da permetterle la conquista di un grande titolo.

Le aspirine si colorano di argento tante, troppe volte. Sovente ottengono la piazza d’onore, ma mai riescono a laurearsi campioni. Quando il Bayern Monaco, quando il Borussia Dortmund, poi addirittura il Kaiserslautern. Puntualmente arriva qualcuno in grado di mettere il muso davanti a Ulf e compagni.

I migliori gol e giocate di Ulf Kirsten con la maglia del Bayer Leverkusen

Nella stagione 2002-2003, l’ultima da giocatore di Kirsten, anche se in quell’anno vede il campo solo 3 volte, arriva un’altra medaglia d’argento, ancor più beffarda. Questa volta nel palcoscenico più importante, quello europeo della Champions League.

Nella finale di Hampden Park, grazie a un sontuoso eurogol di Zidane, a imporsi, infatti è il Real Madrid. Sembrava tutto pronto per l’addio al calcio di Ulf. Il bomber, il panzer che saluta vincendo la tanto agognata coppa. E invece no.

Nella sua bacheca, tolti i titoli federali, non resterà altro che una Coppa di Germania vinta nel 1993. Stop.

Ulf Kirsten il bomber delle cause perse

In Nazionale il copione è lo stesso. Kirsten gioca e segna, tanto. Ma la gloria se la prendono gli altri.

Emblematico il caso del 1996. Il 9 del Leverkusen è membro stabile del gruppo di Berti Vogts.  Segna gol decisivi, nelle qualificazioni per l’Europeo, contro Albania, Moldavia e Georgia.

Ma sull’aereo che porta la Mannschaft in Inghilterra non ci sale. Il suo posto se lo prendono, oltre al titolarissimo Oliver Bierhoff e al veterano Jurgen Klinsmann, Fredi Bobic dello Stoccarda e Stefan Kuntz del Besiktas. 

Un vero peccato. Perché nel volo di ritorno, che riporterà la squadra a Berlino, su quell’aereo ci sarà un passeggero in più: la coppa di Campioni d’Europa.

Una beffa per un ragazzo che, due anni prima, non era mai sceso in campo, pur convocato, ai mondiali americani del 94. E che due anni dopo, nella rassegna francese, giocherà 4 partite senza mai fare gol.

Su Euro 2000, invece, meglio stendere un velo pietoso. Kirsten ovviamente convocato, ma Germania ultima nel raggruppamento con Portogallo, Romania e Inghilterra ed eliminata già nella fase a gironi.

Alla fine farà cifra tonda. 100 presenze tra le due Nazionali. Ma nessun titolo in bacheca.

Come con il Leverkusen. Dove le presenze saranno 250, 181 invece le reti. Un bottino ragguardevole, ma vano. Per coloro che, diversamente da noi, si fermano solamente a contare i trofei.

Ma se, alla fine, non è la destinazione ma il viaggio che conta, allora noi possiamo dire grazie a Ulf. Perché il suo percorso è stato davvero una stupenda avventura.

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