Bodo Illgner, il guanto d'oro
Nel marzo del 1997 Bodo Illgner, portiere tedesco, approdato da pochi mesi nel club più prestigioso del mondo, si presenta con aria alquanto sbigottita, per non dire esterrefatta, nella sede delle Merengues, per parlare con il presidente Lorenzo Sanz.
“Presidente, io mi trovo bene qui a Madrid. La squadra è forte, ci sono tutti i presupposti per fare bene quest’anno. Ma, per caso, non è che riuscirebbe a pagarmi lo stipendio? Per caso eh, mi dica lei”
Al momento della firma con la Casa Blanca, Illgner aveva firmato un contratto da 1,8 milioni di marchi tedeschi (al cambio attuale poco più di 900 mila euro). Nulla di esorbitante, soprattutto parlando di un portiere già titolarissimo nella propria Nazionale e già votato dagli addetti ai lavori come “migliore al mondo nel proprio ruolo”. Ma fino a quel momento il buon Bodo non ha visto il becco di un quattrino, nonostante sia conscio di giocare nel più importante club del mondo.
Alla sua richiesta il presidente Sanz, dopo qualche tentennamento, si reca verso la cassaforte, la apre, e mette due tranche di stipendio in una busta di plastica, consegnandole direttamente nelle mani del proprio portiere. Il quale non può non notare di come, tolti quei soldi che ha ora tra le sue mani, nella stessa cassaforte non rimanga nemmeno l’ombra di una pesetas.
Scoprirà poco dopo di essere stato il primo della squadra ad essere pagato, a certificare la non felice situazione finanziaria del club. Il quale però, nella persona dello stesso presidente Sanz, si è accorto subito di aver trovato, in porta, una specie di Re Mida, capace di trasformare in oro tutto ciò che tocca.
E allora prima è meglio sistemare il nostro “Guanto d’Oro”. Poi penseremo a Raul, Roberto Carlos, Seedorf e a tutti gli altri.
Ora tocca a me, Toni
Il 22 febbraio 1986 all’Olympiastadion di Monaco di Baviera si gioca un match di Bundesliga tra il glorioso Bayern Monaco e il Colonia. Partita difficile per i renani, che a un tratto si vedono pure espellere il proprio portiere, il leggendario Harald Schumacher, detto Toni come Toni Turek, il portiere della Germania nel Miracolo di Berna del 1954. Schumacher è da anni stabilmente il numero uno titolare della Nazionale, campione d’Europa nel 1980 e vicecampione del mondo sia nel 1982 che nel 1986.
Quel giorno al suo posto entra un giovane e imberbe ragazzino, di nome Bodo Illgner, nato a Coblenza, cresciuto tra Westerburg e Bonn, ma formatosi calcisticamente proprio nelle giovanili del Colonia. Di lui si parla molto bene tra gli addetti ai lavori, ma non potrà nulla quel giorno di fronte allo strapotere di un Bayern per di più in superiorità numerica, e che infatti trionferà per 3-1.
Ma quello che il povero Toni Schumacher non sa è che la sua pluriennale esperienza nel Colonia inizia a tramontare proprio quel giorno. Perché il ragazzino, piano piano, partita dopo partita, gli rosicchierà sempre più spazio. Fino all’estate del 1987, quando il board decide di fare definitivamente girare la porta. Schumacher ceduto a titolo definitivo allo Schalke04, maglia da titolare a Illgner.
Da lì in poi, a suon di parate e grandi prestazioni, Bodo inizierà realmente a trasformare letteralmente in oro tutto ciò che tocca. Diventando uno dei portieri di riferimento della fine del secolo.
Le prestazioni al Colonia gli valgono pure l’esordio con la Nazionale, in un amichevole del settembre del 1997 vinta dai tedeschi contro la Danimarca. Anche con la Mannschaft stessa cosa: piano piano ruba sempre più spazio al titolare Eike Immel (l’europeo dell’88 lo gioca come secondo del portiere dello Stoccarda. Poi compie il balzo e si prende tutto. Tanto da convincere anche il Kaiser Franz Beckenbauer, che non esita un secondo nella propria decisione: a Italia ’90 il titolare della Germania sarà Bodo Illgner!
Italia '90
Una scelta non scontata, dal momento che in Bundesliga sta crescendo anche il talento di un certo Andreas Köpke, più anziano di Bodo e già nel mirino di diversi club europei. Ma Beckenbauer ha, per così dire, abbastanza voce in capitolo nel football tedesco per poter andare diritto per la propria strada.
Nel Mondiale italiano la Germania passa agilmente il girone, rifilando rispettivamente 4 e 5 reti prima alla Jugoslavia (tutt’altro che una squadretta) e poi agli Emirati Arabi Uniti, pareggiando solo l’ultima gara contro la Colombia, subendo gol allo scadere. Nella fase a eliminazione diretta butta fuori anche l’Olanda, nonostante a San Siro tutti tifino per Gullit, Van Basten, Rijkard e gli altri Orange, e la penultima Cecoslovacchia del calcio europeo.
In semifinale i tedeschi trovano gli inglesi, i nemici di sempre. Bella squadra anche la Nazionale dei Tre Leoni, guidata in panchina da Sir Bobby Robson e in campo dal talento Gary Lineker, David Platt e Paul Gascoigne. Si gioca a Torino, nel neonato Stadio Delle Alpi. La Germania passa a metà ripresa grazie a un calcio di punizione dell’interista Andreas Brehme deviata beffardamente dalla barriera disposta da Shilton. A 10 dalla fine proprio Lineker pareggia i conti, sfruttando un’errata lettura difensiva di Kohler.
Si va ai supplementari, dove Illgner compie un mezzo miracolo, spedendo sul palo un diagonale di Waddle, quindi ai rigori. Impeccabili dagli 11 metri Lineker, Beardsley e Platt per gli inglesi, Brehme, Matthaus e Riedle per i tedeschi. Poi tocca a Stuart Pearce, difensore mancino del Nottingham Forrest. Esecuzione classica, centrale e di potenza, che si infrange però contro il ginocchio di Bodo. Thon mette a segno il quarto rigore della Germania. Quindi Waddle manda nella stratosfera l’ultimo e decisivo penalty, regalando ai rivali di sempre un biglietto per la finale di Roma contro l’Argentina, e costringendo il povero Lineker, a fine partita, a pronunciare la sua famosa frase: “Il calcio è un gioco semplice: si gioca 11 contro 11 e alla fine vincono i tedeschi”.
In finale i ragazzi di Beckenbauer imbrigliano anche Maradona e soci. E un rigore del solito lucidissimo Brehme regala alla Mannschaft il terzo titolo mondiale.
L’anno successivo Illgner verrà premiato come miglior portiere del Mondo dall’Istituto Internazionale di storia e statistica del calcio. Nel 1992, sempre in Nazionale, nell’Europeo giocato in Svezia ci sarebbe pure margine per un clamoroso bis. Ma quell’estate gli Astri hanno deciso di scrivere la straordinaria favola della Danimarca, dalle vacanze al titolo. E allora sarà solo medaglia d’argento.
Illgner gioca da titolare anche il futuristico mondiale americano del 1994. Ma dopo l’eliminazione ai quarti e indissipabili malumore con il nuovo CT Berti Vogts, uno che la diplomazia e la capacità di comunicazione non l’ha mai portata in valigia, decide a soli 27 anni di dire addio alla Nazionale. Lasciando a Köpke il ruolo da titolare, ma più in generale la sensazione, a tutto il popolo tedesco, di aver perso un grande, grandissimo portiere, ancora nel pieno della propria maturità.
Hala Madrid!
30 agosto 1996. La Bundesliga è già cominciata. Il Colonia vince le prime 3, contro Fortuna Düsseldorf, Monaco 1860 e Friburgo, ma perde inopinatamente in casa contro l’Hansa Rostock.
Poi arriva un fax da Madrid, che convince il board a cedere il proprio gioiello. Bodo Illgner si trasferisce così al Real, dopo aver scritto la storia in riva al Reno, mettendo a referto più di 300 presenze.
Le Merengues sono definitivamente un altro mondo, l’apice del calcio, la squadra in cui tutti coloro che hanno dato calci ad un pallone vorrebbero giocare, anche solo un giorno, un minuto.
Quel Real, però, è reduce da una delle peggiori stagioni della propria storia, con il sesto posto dell’anno prima in Primera Division e, oltre al danno la beffa, l’umiliazione di aver dovuto assistere, dai balconi della capitale, alla festa dei cugini dell’Atletico, laureatisi campioni di Spagna.
In panchina ecco che arriva allora Fabio Capello, uno, per così dire, non abituato a fare prigionieri. A dispetto delle non propriamente capienti casse del club, il mercato è faraonico. I talenti di Hierro, Raul, Amavisca e Redondo le Merengues li hanno già in casa. Dalla campagna acquisti, oltre a Illgner, arrivano un prolifico attaccante croato di nome Davor Šuker, acquistato dal Siviglia, il montenegrino Mijatović, l’anno prima al Valencia, e, soprattutto, arriva un laterale mancino che in Serie A non ha rispettato nemmeno la metà delle aspettative: Roberto Carlos. E tutto il resto è storia…
Ilgner, come al solito, arriva e si prende tutto. Pensione anticipata per il vecchio Buyo, che dopo un anno da numero 12 appenderà scarpette e guanti al chiodo. E, con il tedesco in porta e la sapienza di Capello in panchina, il Madrid ricomincia subito a vincere.
Liga vinta il primo anno. Poi, dopo l’addio di Don Fabio, pure il trionfo in Champions League, al termine della tiratissima finale di Amsterdam contro la Juventus di Lippi, decisa da Mijatović (in furorigioco). Coppa Intercontinentale portata a casa grazie a Raul, che castiga il Vasco da Gama. Infine, nel 99-00, altra Coppa dei Campioni vinta, stavolta a Parigi nella fratricida sfida spagnola contro il Valencia di Hector Cuper.
Ma quell’anno qualcosa è cambiato. Il nuovo allenatore, Vicente Del Bosque, appena insediatosi ha deciso, senza ascolta mezza voce dell’esigente critica madrilena, di puntare tutte le proprie fiches su un ragazzo di appena 18 anni. È cresciuto nella Castilla, le giovanili dei Blancos, e si chiama Iker Casillas Fernandez.
Il ragazzo ha talento da vendere, e lo dimostra subito, fin dalla prima stagione. Nel lato oscuro della luna, invece, Illgner si ritrova per la prima volta nella propria carriera, spodestato dal proprio trono, non più capace di trasformare in oro ogni cosa toccata.
Non ha mai accettato né compromessi né di essere una seconda scelta. E, dopo aver lasciato la nazionale a 27 anni, decide di lasciare il Madrid con 34 primavere sulle spalle.
Prossima destinazione? A posto così. Finisce qui. Come se sì, effettivamente, col proprio guanto d’oro si fosse, nel frattempo, fatto abbastanza.
Racconto a cura di Fabio Megiorin